Cominciamo con una battuta. “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è un piano senza piano”. Barbara Pizzo, con questo gioco di parole, intende criticare una modalità di intervento sulla città ormai predominante. Si va avanti a emergenze (traffico, rifiuti, inquinamento, abitazioni) e misure straordinarie, in genere interpretate come “occasioni” economiche da sfruttare, come i grandi eventi sportivi o religiosi. “Invece di progettare la città partendo dai bisogni dei cittadini e con uno sguardo al futuro, si tentano di cogliere le ‘occasioni’ che si creano con i grandi investimenti pubblici o con la realizzazione delle infrastrutture per i grandi eventi come il Giubileo o l’Expo”. Barbara Pizzo, urbanista alla Sapienza di Roma e presidente dell’Associazione Roma Ricerca Roma, ha ripetuto questi concetti in varie occasioni pubbliche, quando si è trattato di analizzare il rapporto tra gli investimenti in arrivo e i lavori da realizzare.
Tra Caput Mundi e Cinecittà
I progetti legati al Pnrr per Roma sono di due tipologie principali: alcuni fanno capo al Comune, altri allo Stato e sono gestiti dai ministeri competenti (come Turismo e Cultura). Per il settore del turismo c’è il progetto “Caput Mundi”, per la Cultura si lavora a un progetto “Cinecittà” sul cinema. Ma complessivamente i progetti, sia quelli ministeriali sia quelli comunali, sono molto oltre il centinaio. In campo culturale, grazie a uno dei “progetti integrati” pure previsti, si sta lavorando per esempio alla costruzione (e ricostruzione) di una grande rete delle biblioteche comunali, che si pensa di far diventare delle vere e proprie “Case di quartiere”, dei poli civici locali. Ci si può informare sui progetti (anche se con qualche ostacolo e restrizioni) sui siti dei soggetti istituzionali in campo, e su Openpolis, anche se il problema della trasparenza delle informazioni sul Pnrr a Roma è stato sollevato da più parti (per esempio dall’associazione Carte in Regola). Sono due i problemi principali che, ad oggi, si riscontrano: da una parte, il coinvolgimento diretto dei cittadini; dall’altra, la mancanza di “prospettiva”.
“Il ‘Piano’ implicito nel Pnrr – spiega meglio Barbara Pizzo – viene rimandato a un dopo. Siccome per accedere ai fondi, rispettando i tempi, c’era la necessità di realizzare subito i progetti preliminari (di ‘assetto’), si sono dati gli incarichi rimandando il coordinamento a un secondo momento. Alle nostre obiezioni sulla necessità di avere un quadro d’insieme, nel quale dar senso ai singoli progetti, ci è stato sempre risposto che il lavoro di ricucitura potrà avvenire appunto in un secondo tempo. Si è parlato più volte di una razionalizzazione ex post”. Un’altra questione riguarda poi, dopo la progettazione e la realizzazione delle singole opere, l’individuazione dei soggetti che gestiranno materialmente le opere e le strutture. In questo senso, per l’associazione Roma Ricerca Roma, sarà necessario un coinvolgimento diretto delle organizzazioni del Terzo Settore.
C’era una volta il manicomio
Un esempio concreto, a dimostrazione di quanto appena esposto, potrebbe essere il progetto per la riqualificazione del Santa Maria della Pietà, la struttura che ospitava a Roma il manicomio prima della chiusura decisa con la legge Basaglia. Ebbene, anche in questo caso, l’iniziale coinvolgimento del quartiere e delle tante associazioni e comitati che rappresentano i cittadini a un certo punto si è interrotto, e ora, dopo la redazione del progetto preliminare, forse ripartirà, ma con le decisioni più importanti già prese. Un discorso analogo si può fare per tanti altri progetti ed esperienze importanti. Tanto per fare qualche nome: Corviale, Tor Bella Monaca, la rete delle biblioteche (peraltro tutti parte di “progetti integrati”). Ma questo è il piano del coinvolgimento della società e del funzionamento della democrazia di base. Che succede sul piano dell’economia e del conflitto con i cosiddetti poteri forti? Chi avrà la forza di condizionare le scelte della realizzazione dei progetti del Pnrr e influenzare il disegno del volto della città futura?
Chi ci guadagnerà?
“Per rispondere alla domanda – dice Pizzo – dobbiamo riprendere la premessa, il discorso iniziale. In mancanza di una visione d’insieme e della capacità (e volontà politica) di elaborare un qualche ‘piano’, si va avanti a ‘occasioni’. E sappiamo che le occasioni le sanno sfruttare al meglio i soggetti portatori di forti interessi economici e che puntano al profitto, che ragionano a breve termine. La politica delle occasioni favorisce una sorta di ‘assalto alla diligenza’. Si devono mettere le mani sulla cassetta d’oro che sta transitando sulla diligenza di turno. Sappiamo che la tendenza a ragionare a breve termine si spiega anche con i mandati a tempo dei sindaci. Diventa molto raro, infatti, trovare decisori politici e amministrazioni che sappiano guardare in grande verso il futuro, con una visione di respiro. In genere, si ragiona e decide sulle contingenze e sugli interessi del momento. Oggi i progetti a lungo termine non vanno più di moda, e questa capacità, che è propria dell’urbanistica, è ormai sottovalutata”. Detto ciò, la conseguenza è abbastanza scontata. A trarre profitto dal fiume di soldi che sta per scorrere tra le vie della città eterna saranno prima di tutto il settore immobiliare (real estate), i costruttori (soprattutto quelli più potenti), le banche e gli intermediari finanziari.
Torna la rendita, ma non è più quella che conoscevamo
Torna la rendita, o per meglio dire non se n’è mai andata, anche se gli studiosi e i politici l’hanno messa prudentemente nel cassetto da parecchi anni. Meglio non parlarne. Dopo la crisi finanziaria del 2008, sono ripresi però gli studi a livello internazionale (studi che vedono, tra l’altro, uno spiccato protagonismo femminile: Barbara Pizzo ricorda in particolare Anne Haila). Si riparla della centralità della rendita fondiaria, di classe dei rentier, ma soprattutto delle nuove forme della rendita. Un importante filone di ricerca riguarda le piattaforme digitali. La vecchia rendita (come il lupo e la nonna) assume oggi nuove sembianze, spesso mascherate da sharing economy. Si basa su meccanismi analoghi tutto il sistema dell’affitto delle case da piattaforme, tra cui Airbnb. “In campo scientifico – dice Pizzo –, e per merito di alcune studiose, ci si è accorti delle trasformazioni del capitalismo e della nuova centralità della rendita, che assume appunto sembianze diverse, ma che perpetua i meccanismi classici basati su un capitale che, come ha osservato Piketty, tende per sua natura all’accumulazione e a produrre rendite”.
E come cambiano i meccanismi, che coinvolgono anche l’economia immateriale, così cambiano anche i rentier. Marx (ovviamente nell’Ottocento) non poteva immaginare le forme variegate della rendita nel capitalismo finanziario e di piattaforma. Nella figura del rentier vedeva soprattutto il proprietario terriero. “Oggi la classe dei rentier – spiega Pizzo – è sempre più variegata e ingloba figure sociali diverse. Ma è una ‘classe’ perché ci sono interessi trasversali che la uniscono”.
Quanto conterà il partito dei rentier?
La faccia della rendita cambia, ma gli interessi in gioco sono sempre gli stessi e sono trasversali. La novità del mondo contemporaneo è la diffusione capillare della logica della rendita. Per esempio, chi entra nel giro degli affitti brevi gestito dalle grandi piattaforme inizia a ragionare da rentier. L’illusione di tanti di poter “vivere di rendita” (e questo è un concetto chiave nel lavoro recentemente pubblicato da Barbara Pizzo, Vivere o morire di rendita, Donzelli) non rende visibile il potere enorme, che è monopolistico, di chi gestisce le piattaforme digitali e di chi ha le leve vere del real estate. Non esiste, dunque, una classe omogenea dei rentier, ma esiste una sorta di “partito” della rendita, costituito da tutti coloro che vogliono assicurarsi e conservare quanto acquisito, anche in termini di posizioni di privilegio e nelle relazioni di potere. Questo “partito” ha sempre pesato e sta pesando ancora nelle scelte su Roma e il suo futuro. Anche in questo caso, l’egemonia culturale non è più nelle mani della politica. E la politica, soprattutto nelle formazioni che oggi hanno nelle mani la guida del Paese, non può che essere subalterna alle scelte dei veri poteri forti che non sono affatto stati superati.
Lo abbiamo visto per esempio con il tentativo di Mario Draghi (nel governo precedente a quello guidato da Giorgia Meloni) di revisionare e aggiornare il catasto (vedi qui). C’è stata contro di lui e i suoi tecnici una vera e propria rivolta. E a capo di quella rivolta all’insegna di “la proprietà non si tocca”, c’era proprio Giorgia Meloni. Anche in quel caso, il trionfo della propaganda del “siamo tutti sulla stessa barca”. Il piccolo proprietario di casa messo sullo stesso piano dei grandi proprietari immobiliari. Tra l’altro, quella riforma non avrebbe toccato i piccoli proprietari. Ma la propaganda acceca.
Magia dell’urbanistica
A questo punto potremmo dire: tutti a casa, non si può fare più niente, visto che le forze in campo sono così potenti e visti i limiti sempre più evidenti della politica. E invece a noi piace ripartire da chi crede ancora nella possibilità di un cambiamento. Per questo crediamo – anche nel caso della realizzazione, della “messa e terra” del Recovery Fund – che debbano avere un ruolo importante gli studiosi e le persone competenti come gli urbanisti.
“Si tratta prima di tutto di cambiare il modo di pensare – dice Pizzo –, cambiare l’approccio ai problemi della città ricominciando ad avere il coraggio di immaginare qual è la città che desideriamo, da perseguire pensando a soluzioni che, passo dopo passo, realizzano il futuro. Servono sia competenze tecniche sia idee coraggiose per cambiare la città, prima di tutto rendendo esigibili i diritti fondamentali. Si tratta di superare lo schema che lega tutte le scelte ai meccanismi di ‘estrazione del valore’ piuttosto che non alla realizzazione di condizioni per produrre ‘valori’ nuovi . Un esempio di come vorremmo cambiare l’approccio sta nel progetto “Caput Mundi”, che interpreta Roma come città turistica. Ecco, tipicamente quando si fanno comparazioni per mostrare le debolezze di Roma rispetto alle performance turistiche, la si paragona con le altre grandi capitali, come Londra e Parigi. Ma dimenticando un fondamentale ‘particolare’. Londra e Parigi non sono città turistiche. In quelle capitali il turismo funziona meglio che da noi, perché funzionano meglio le città complessivamente; si pensi solo all’accessibilità, alla mobilità pubblica, all’offerta di servizi e all’offerta culturale. Non ti stanchi mai di andare a Londra e a Parigi perché scopri sempre cose nuove, sono città vive, che cambiano continuamente”. Da noi siamo ancora al turismo da selfie al Colosseo.
(3. continua)
Nella foto: l’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà