Due notizie riguardanti l’attuale conflitto russo-ucraino, ma trattate in modo diverso dai media: di una, giustamente, si parla molto in questi giorni, mentre l’altra (che meriterebbe altrettanta attenzione) è stata quasi totalmente ignorata. La prima è il crollo della diga di Nova Khakovka, che sta provocando nuovi spaventosi danni e sofferenze alle popolazioni ucraine della riva destra del Dnipro (ma anche a quelle russofone della riva sinistra, si può presumere). Com’è noto, entrambe le parti in causa si rimpallano la responsabilità dell’evento, anche se qualcuno fa una terza ipotesi, cioè che la diga non sia stata fatta esplodere intenzionalmente, ma abbia ceduto perché già gravemente danneggiata. L’intelligence statunitense sembra essere in possesso di elementi che attribuiscono la responsabilità alla Russia: e, per quanto chi scrive non sia minimamente esperto di strategie militari (come peraltro molti che intervengono sulla questione, nelle sedi più varie), un semplice sguardo ai libri di storia fa pensare che l’allagamento del terreno convenga molto di più a un esercito che deve difendersi rispetto a uno che deve attaccare.
Per rimanere a casa nostra, all’inizio della seconda guerra d’indipendenza (1859) le risaie tra Piemonte e Lombardia furono allagate appositamente dai piemontesi per impedire un’avanzata dell’esercito austro-ungarico; e in questi giorni si è appreso che proprio la diga di Nova Khakovka fu già fatta crollare dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale, per frenare o almeno rallentare l’avanzata tedesca. Quindi, dato che in questo momento è l’Ucraina ad avere lanciato la famosa controffensiva di cui si parla da mesi, sembra più ragionevole assumere, fino a prova contraria, che il crollo sia stato causato dalle mine russe.
Quello che però sembra più preoccupare la maggior parte dei media italiani è il fatto che molti nostri connazionali tendano a pensare il contrario, cioè che il crollo sia responsabilità degli ucraini. Questo era, per esempio, uno degli argomenti di “Radio anch’io” dell’8 giugno, a cui partecipavano, intervistati dal conduttore Giorgio Zanchini, due inviati di guerra in Ucraina (del “Corriere” e di “Repubblica”) e un “esperto”. Zanchini ricordava come di recente sia emerso, proprio grazie a notizie più o meno riservate carpite ai servizi segreti americani, che la responsabilità dell’attentato dell’autunno scorso al gasdotto russo nel Mar Baltico, che inizialmente si era tentato di attribuire ai russi, è in realtà da ascrivere agli ucraini: e questo potrebbe spiegare il perché dello scetticismo di molti in merito alle responsabilità della Russia quanto al crollo della diga. L’inviato di “Repubblica” replicava che non si può credere all’intelligence statunitense solo quando ci fa comodo: è un evidente errore di logica. Il ragionamento in sé è inoppugnabile, ma trascura un dettaglio fondamentale: la responsabilità è stata attribuita immediatamente alla Russia in entrambi i casi. Così, molti hanno forse ragionato come segue: “Dato che nel caso del gasdotto si è subito additata come responsabile la Russia e poi si è visto che non lo era (o, comunque, ci sono più probabilità che lo sia l’Ucraina), perché non dovrebbe essere lo stesso nel caso della diga?” Il ragionamento è certamente fallace, ma non ingiustificato.
Una spiegazione, probabilmente, la troverebbe l’“esperto” che partecipava alla trasmissione, secondo il quale ci sarebbe una sorta di “russofilia”, connaturata in buona parte della popolazione italiana, che ispirerebbe i cosiddetti pacifisti (naturalmente dileggiati con l’epiteto di “pacifinti” dall’esperto in questione). Questa russofilia, sempre secondo l’esperto, è diffusa tanto a sinistra (per ovvi motivi) quanto a destra: l’Italia fascista, ricordava, fu il primo Paese a riconoscere l’Unione sovietica, nel 1924 (non abbiamo controllato l’esattezza dell’informazione, ma non abbiamo motivi per metterla in dubbio; non è comunque rilevante per il nostro discorso). In ogni caso, quello che più preoccupa l’esperto è la “propaganda, l’unica cosa in cui i russi sono maestri”: sarebbe quindi tale propaganda, facendo leva anche sulla connaturata russofilia di buona parte degli italiani, a fare mettere in dubbio le autentiche responsabilità del crollo della diga. Quindi, nonostante la stragrande maggioranza dei media italiani sia schierata decisamente contro la Russia, la “propaganda” di quest’ultima sarebbe in grado di condizionare buona parte dell’opinione pubblica. Mi permetto però di domandare agli “esperti”: quali sono i canali di tale così efficace propaganda? Qualche esempio sarebbe gradito.
Ciò di cui invece ben poco si parla, sui nostri media, sono le proposte di pace: e qui si arriva alla seconda delle notizie a cui facevamo riferimento all’inizio. Si apprende infatti, da un articolo di Raniero La Valle sul “Fatto quotidiano” del 7 giugno, che “l’Indonesia (…) ha proposto un piano di pace per l’Ucraina”, che “prevede l’immediato cessate il fuoco, il ritiro delle truppe russe e ucraine di 15 km per parte, il territorio così smilitarizzato presidiato da forze di pace Onu e nei territori contesi un referendum indetto dall’Onu stessa per accertare la volontà delle popolazioni sul loro futuro”. La Valle scrive poi che “la proposta è stata immediatamente respinta dall’alto rappresentante dell’Unione europea per gli Esteri, Josep Borrell, perché non introdurrebbe un discrimine tra aggressore e aggredito e non postulerebbe la pace ‘giusta’ che ‘l’Europa vuole’”. Raniero La Valle, naturalmente, sarà immediatamente collocato tra i “pacifinti” (anzi, probabilmente già lo è), ma la sua autorevolezza e il suo prestigio costituiscono una buona garanzia dell’attendibilità di queste notizie; e, in ogni caso, di questo piano di pace non sembra che si sia parlato molto, eventualmente anche in termini negativi. L’Europa (nel senso di organismi direttivi dell’Unione), comunque, non vuole sentire parlare di pace; e la quasi totalità dell’informazione (almeno in Italia) asseconda questo desiderio.