La riforma fiscale del governo Meloni è pronta: è in perfetta continuità con le politiche neoliberiste dell’epoca berlusconiana. Il governo che (a parole) si ispira alle culture della “destra sociale” è pronto a sacrificare un pezzo consistente del welfare per ridurre le tasse alle fasce più ricche dei contribuenti e alle imprese, diminuendo drasticamente le entrate per finanziare sanità, scuola e servizi. Dietro l’apparente egualitarismo della tassa piatta (flat tax), si nasconde infatti la più pericolosa operazione fiscale degli ultimi anni. Neppure il mitico Tremonti si era spinto così in avanti. Ma vediamo a che punto siamo.
Con l’approvazione del disegno di legge delega il governo Meloni ha tracciato i contorni della riforma fiscale, ma l’opera non è ancora compiuta. Votata la delega (dal Senato e dalla Camera) sarà la volta dei decreti legislativi che l’applicheranno e quindi modificheranno il sistema tributario. Al quadro finale si arriverà dunque solo dopo l’ok di entrambi i rami del parlamento. Si prevede entro luglio. E poi ventiquattro mesi per l’applicazione.
Niente sarà più come prima
La riforma parte dalla rivoluzione dell’Irpef, con la riduzione delle aliquote da quattro a tre. La flat tax resta però il vero obiettivo di legislatura. Mentre per i dipendenti arriva la flat tax incrementale, per le imprese arriva la nuova Ires a due aliquote per far pagare di meno chi più assume e investe; si punta poi al graduale superamento dell’Irap con priorità per le società di persone, gli studi associati e le società tra professionisti. Prevista anche una forte dose di condonismo. Ci sarà infatti il concordato preventivo biennale e un rafforzamento dell’adempimento collaborativo: “Si riscrivono le regole della lotta all’evasione fiscale – dice il Mef – che diventa preventiva e non più repressiva”. Il governo vuole anche rimettere mano a tutto il sistema sanzionatorio tributario. In particolare, per le sanzioni penali, si userà un occhio di riguardo per chi si trova impossibilitato a pagare il tributo per fatti a lui non imputabili: nella valutazione della “rilevanza penale” del fatto si terrà conto anche dei casi in cui siano stati raggiunti accordi in sede amministrativa e giudiziaria. Previsto anche un alleggerimento delle sanzioni penali, in particolare quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, per le imprese che aderiscono alla cooperative compliance, e che hanno tenuto comportamenti non dolosi e lo comunicano tempestivamente al fisco. Un altro effetto “premiale” per chi aderisce all’adempimento spontaneo è poi l’ulteriore riduzione delle sanzioni amministrative (che può arrivare fino all’integrale non applicazione) per i rischi di natura fiscale comunicati preventivamente in modo “tempestivo ed esauriente”.
Una riforma “necessaria”
Della riforma – sostiene il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ovviamente deve pensare anche al proprio futuro – “c’è necessità”. E aggiunge: “da cittadino” rilevo come un “buon segno” il fatto che si tratti della “prima volta, dopo molto tempo, che una riforma fiscale arriva a inizio legislatura”.
Applausi dai partiti di maggioranza, quasi a suggello della continuità di questo governo non tanto con l’esecutivo Draghi, quanto con quelli del ventennio berlusconiano. Nella difesa della legge delega in primo piano, guarda caso, c’è Forza Italia: “Questo è solo il fischio di inizio. Poi dovranno seguire i decreti attuativi, è un lavoro che ha una prospettiva di legislatura” – sottolinea il presidente dei deputati azzurri Alessandro Cattaneo. Ovviamente non la pensano così al Nazareno. “È una baggianata dire che si abbassano le tasse a tutti”: così si “favorisce chi sta meglio, chi ha redditi più alti vedrà maggior guadagno” – ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein. “È una riforma recessiva” – sostiene il leader 5 Stelle Giuseppe Conte, pronto a scendere in piazza con i sindacati.
Il no della Cgil: è una controriforma
Molto critica la Cgil. Secondo il responsabile delle politiche fiscali, Cristian Perniciano, “anche i provvedimenti fiscali migliori di questo governo (l’intervento sul cuneo fiscale, ndr) vengono attuati all’interno di un progetto sbagliato e pericoloso. La prima ipotesi di estendere la decontribuzione da parte di questo esecutivo la troviamo, infatti, nel Def dello scorso aprile, nel quale si esplicita chiaramente che il progetto è quello di utilizzare il taglio delle imposte al fine di ‘evitare incrementi salariali e la spirale salari-prezzi’. Usare quindi la riduzione delle imposte con l’esplicito fine di evitare che i salari lordi aumentino. Questa visione ora appare ancor più rafforzata dalla legge delega per la riforma del fisco”.
Sempre secondo Perniciano, nella riforma “troviamo tutto l’armamentario tipico di una visione di destra non solo del fisco, ma in generale della funzione dello Stato. Si punta infatti alla flat tax, alla riduzione delle imposte sulle imprese, ad aumentare le imposte cedolari e separate rafforzando la tendenza, già in atto da anni, di relegare l’Irpef e la sua residua progressività ai soli redditi da lavoro e da pensione. Si prevede di abolire l’Irap, di favorire l’elusione fiscale sui redditi di capitale e le plusvalenze, di porre in atto, dopo i tanti condoni già approvati nei primi sette mesi di governo, il “concordato biennale preventivo”, di fatto un condono preventivo generalizzato per i lavoratori autonomi e le piccole imprese, i quali definiranno in anticipo il loro reddito presunto, e su quello andranno a pagare imposte anche se l’effettivo fosse superiore”.
Ma dove si trovano i soldi?
Se lo chiede – tra gli altri – l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb): “Va peraltro segnalato che non viene esplicitamente escluso che i decreti attuativi possano essere finanziati anche ricorrendo all’indebitamento netto. Come già osservato, si tratta di una modalità di finanziamento inappropriata per le conseguenze negative che essa determinerebbe sull’equilibrio dei conti pubblici e sulla loro sostenibilità nel medio-lungo termine”.
“Occorre infine rilevare – si legge nel documento Upb – che gli interventi sui tributi che la delega definisce con maggior dettaglio sembrano complessivamente rivolti a una riduzione progressiva e non trascurabile del prelievo. Per quanto osservato in precedenza, tale esito potrà essere raggiunto solo attraverso una riduzione permanente della spesa pubblica che, anche alla luce dei bisogni che saranno determinati in prospettiva dall’invecchiamento della popolazione, richiederebbe plausibilmente una ridefinizione del livello dei servizi pubblici e delle platee dei beneficiari”.
Le critiche di Bankitalia
Anche la Banca d’Italia “richiama la necessità che la delega fiscale trovi le opportune coperture. Molti degli interventi prefigurati comporteranno perdite di gettito. Al momento coperture sono previste solo per il superamento dell’Irap attraverso la nuova sovraimposta all’Ires”. Lo ha spiegato il capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, Giacomo Ricotti, durante l’audizione alla Commissione finanze della Camera. Per Ricotti “non è chiaro né quali incentivi fiscali saranno oggetto della razionalizzazione, né quindi l’entità delle risorse che potranno essere recuperate”. Ma non basta. “Il modello prefigurato dalla delega fiscale come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un Paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica” – dice Ricotti, secondo cui “comunque ne andranno attentamente valutati gli effetti redistributivi”. Alla fine, nelle more dell’introduzione della flat tax, “l’estensione dei regimi sostitutivi potrebbe ridurre l’equità del sistema”.
E l’Europa scuote la testa
Esprimendosi sul Documento programmatico di bilancio, lo scorso dicembre, Bruxelles già richiamava l’attenzione sulla necessità e sull’urgenza di rimettere in moto la macchina della riforma fiscale che si era arenata con la crisi di governo della scorsa estate. Ora che il nuovo esecutivo ha messo nero su bianco le direzioni di intervento sul sistema tributario, sulle intenzioni del governo arrivano precise raccomandazioni dalla Commissione Ue. Per Bruxelles, la corretta attuazione della legge delega passa attraverso la tutela della progressività del sistema fiscale e il miglioramento dell’equità, in particolare mediante la razionalizzazione e la riduzione delle spese fiscali, comprese l’Iva e le sovvenzioni dannose per l’ambiente, e anche dalla riduzione della complessità del codice tributario e dall’allineamento dei valori catastali ai valori di mercato correnti.
Ma c’è di più: alle indicazioni sulle linee da seguire si aggiungono le preoccupazioni per le linee che l’Italia sta già seguendo e che riguardano proprio l’appiattimento della tassazione: le prime novità, in questo senso, sono arrivate con la Legge di Bilancio 2023, che ha introdotto la flat tax incrementale e ha ampliato il regime forfettario; le prossime sono contenute proprio nel disegno di legge delega. “L’estensione del regime forfettario (flat tax) ai lavoratori autonomi desta preoccupazioni circa l’equità e l’efficienza del sistema fiscale. Per di più l’introduzione di un nuovo regime forfettario sugli incrementi di reddito per il 2023 ha reso il quadro ancora più complesso. Nel marzo 2023 il governo ha adottato una nuova legge delega di riforma generale del sistema fiscale. Questa legge dovrebbe affrontare alcune carenze di lunga data, anche riducendo le imposte sul lavoro e razionalizzando e ottimizzando le spese fiscali e le imposte sulle società”.