“È arrivato il momento di concentrarsi su un nuovo storytelling”: lo ha scritto il nuovo amministratore delegato della Rai scelto dal governo Meloni, Roberto Sergio, in una lettera ai dipendenti. L’episodio è apparentemente del tutto scollegato dalle vicende dell’alluvione in Emilia- Romagna. Eppure leggendo le parole post-alluvione di Matteo Salvini, una sola persona ma tre poltrone di gran peso (segretario della Lega, ministro delle Infrastrutture, vicepresidente del Consiglio), un collegamento ci è parso di intravederlo: “Paghiamo decenni di troppi no che hanno bloccato il Paese a tutti i livelli”, ha sentenziato.
Non è un caso isolato: sembra quasi che nella maggioranza di destra-centro che si è affermata nelle elezioni dello scorso settembre si siano passati parola. Le catastrofi naturali come questa ultima alluvione non sono, secondo questo “storytelling”, motivo per mettere in discussione, almeno correggere in corsa il modello di sviluppo che quantomeno contribuisce al cambiamento climatico; né per frenare la selvaggia cementificazione del territorio che tanta parte ha avuto in eventi come quello recentissimo dell’Emilia-Romagna e di qualche provincia confinante. No no, la colpa è degli ambientalisti: quelli storici come i Verdi, tornati in parlamento grazie al patto con Sinistra italiana e Pd, quelli di più recente affermazione che si annidano nelle file del Movimento 5 Stelle, qualcuno nello stesso Pd certamente è considerato da Salvini e dai partiti di maggioranza come un pericoloso nemico delle ruspe. Nei mesi scorsi sono state accollate ad ambientalisti e “grillini” le difficoltà patite dall’Italia negli approvvigionamenti energetici in seguito all’esplosione della guerra aperta in Ucraina. Nulla da dire invece sul ritardo nell’incentivazione delle fonti rinnovabili come eolico e solare, che pure stanno crescendo in tutto il mondo, in qualche caso, come in Cina, a ritmi sostenuti. Su questo tema, evidentemente, l’approccio ideologico della destra può essere considerato un residuo del passato, un legame nostalgico con l’era della crescita illimitata alimentata dalle fonti fossili: ma non si può dire che sia del tutto infondata come lettura della realtà. Attribuire all’ecologismo le alluvioni, invece, si presta al rischio che il nuovo “storytelling” invocato dal capo azienda della Rai (e praticato nel discorso pubblico dalle destre) sconfini nelle fake news se non addirittura nel pensiero magico.
Il ministro della Protezione civile Nello Musumeci ha denunciato, parlando in aula al Senato delle cause degli eventi luttuosi in Emilia-Romagna, “le procedure autorizzative, che, soprattutto sul fronte ambientale, costringono ad attese assolutamente disarmanti ed estenuanti. Non è possibile – ha puntato il dito il rappresentante del governo – che per un certo ambientalismo fondamentalista – chi vi parla si considera ambientalista ordinario, normale –, per certe esasperate punte di fondamentalismo, laddove gli argini dei fiumi debbono essere realizzati con pietrisco, cemento armato, con gabbie preconfezionate, si ricorre all’uso della terra, accusando poi le nutrie, le talpe, i roditori in genere di aver reso fragile l’argine”. La soluzione, par di capire, non è una politica di bacino più sana, spazi di compensazione per le piene: la soluzione alla quale si guarda è quella di spazzare via ogni residua resistenza a tutela degli ecosistemi locali a favore di una rapida ed efficiente cementificazione. Ulteriore. E chi si oppone è un “fondamentalista”. Niente di meno. La discussione si è incrociata, per un curioso scherzo del destino, con l’approvazione del decreto che resuscita la società che dovrebbe realizzare il leggendario ponte sullo Stretto di Messina. Il momento più alto della discussione, in questo caso, si deve ancora a Salvini, che ha tirato in ballo addirittura il Rinascimento, Michelangelo, Raffaello e Leonardo da Vinci: “Se ci fossero stati all’epoca i 5 Stelle, noi milanesi – ha tuonato il ministro tracciando un paragone un tantino azzardato fra gli attuali decisori politici e le glorie italiche del passato – le chiuse sui Navigli di Leonardo Da Vinci non le avremmo mai viste, per intenderci. Ci sarebbe il comitato anti-Leonardo: questo è un matto, vuole fare le chiuse sui Navigli, fermatelo, è denaro speso male”.
L’anti-ambientalismo delle destre, naturalmente, si nutre anche dell’ostilità ai movimenti di protesta più o meno giovanili venuti alla luce di recente. In un articolo di qualche mese fa avevamo già notato (vedi qui) lo zelo francamente eccessivo di esponenti politici e istituzioni nello stigmatizzare, nel condannare preventivamente, nell’invocare interventi repressivi apparentemente sproporzionati contro le nuove forme di manifestazione del disagio relativo alla crisi ambientale. Il che non significa rinunciare a ogni critica verso forme di protesta che sembrano investire più i cittadini comuni o i beni comuni che i responsabili reali della devastazione ambientale e della crisi climatica. Ma sarebbe assurdo non notare che la scorciatoia di cercare capri espiatori, armi di distrazione di massa per attenuare l’attenzione sull’azione di governo (basti pensare alle clamorose difficoltà incontrate sui fondi del Pnrr) inizi a delinearsi come una strategia politica e di comunicazione ben precisa. Una strategia che le forze che si oppongono all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni dovrebbero iniziare ad avere come primo bersaglio della loro battaglia.