Ma il Pd è riformabile? Il quesito è probabile che inizi a porselo lo stesso segretario Enrico Letta. Lui ci mette passione, cultura, visione europea e buona volontà che non bastano. Il “soggetto” è quello che è, sedimentato in quasi un quindicennio di correnti e correntine costrette a convivere in un amalgama mal riuscito (lo ammise D’Alema), dove – a parte episodi ai tempi dell’Ulivo vincente di Romano Prodi – la strada è stata sempre in salita (come dimostrano gli otto segretari prima di Letta). L’illusione iniziale, un vero peccato originale, fu far convivere con la bacchetta magica “sinistra” e “centro” in un unico partito, per giunta sul modello statunitense e senza nessun radicamento in questa versione nella storia della politica italiana.
Letta annaspa già in queste prime settimane. Come vicesegretari ha scelto Irene Tinagli e Giuseppe Provenzano, la prima neoliberale ed ex collaboratrice di Mario Monti, il secondo un po’ collocato a sinistra: il bilancino tra opzioni diverse. Intanto, ha orientato su ius soli e voto ai sedicenni la stella cometa di nuovi diritti (benissimo il primo, discutibile il secondo), che tuttavia non incrociano l’agenda politica fatta di pandemia e crisi economica potenzialmente catastrofica quando finirà il blocco dei licenziamenti. Poi ha provato a mettere le donne in pole position alla guida dei gruppi parlamentari scatenando la battaglia tra correnti. Debora Serracchiani (Camera) e Simona Malpezzi (Senato) sono frutto di fragili mediazioni. Le donne ora hanno un ruolo di rilievo al prezzo di condizionamenti reciproci e non di un reale rinnovamento di metodo e convivenza nello stesso partito. Dentro il Pd ci sono ancora tanti cavalli di Troia renziani pronti a intralciare Letta sulle scelte di fondo.
Infine, il neo segretario avrebbe voluto sbrogliare la questione della candidatura a sindaco di Roma con una sua proposta. Non è stato possibile. Si è trovato di fronte alla candidatura già bella e impacchettata dell’ex ministro Roberto Gualtieri (dicono che sia un regalo di Goffredo Bettini, ex consigliere di Zingaretti, costretto ad abbandonare il ruolo di suggeritore strategico).
Si potrebbe quindi parlare – a voler essere cattivi quel che basta – di buchi nell’acqua per i tentativi del nuovo segretario di invertire metodi di gestione e di linea politica affermando un suo ruolo dirigente come leader super partes. Unico buon risultato, almeno finora, è quello di aver confermato l’alleanza con i 5 Stelle guidati da Giuseppe Conte, nonostante i mugugni di ex renziani e di qualche altra correntina (non si vedono alternative, se non nell’illusoria “vocazione maggioritaria”). Quell’alleanza presuppone tuttavia “un nuovo centrosinistra largo” – come ha avuto modo di spiegare lo stesso Letta – che può andare da Sinistra italiana e Articolo Uno fino a Calenda e Italia Viva con perno in un Pd rinnovato e brioso di iniziative che per ora è solo una chimera, malgrado il cambio al vertice con Letta.
Il Pd, in ogni caso, continua a costituire un problema per chi racconta, fa o pensa la politica. È la massa critica elettorale maggiore in opposizione alla destra. Qualsiasi ipotesi di rinnovamento o di rifacimento della sinistra e del centrosinistra non può escluderlo a priori. A meno di scegliere un ruolo di testimonianza, a cui forse l’andamento delle cose potrà condurci un giorno o l’altro non per scelta bensì per costrizione.
Per questo: provaci ancora, Letta… Nel film di Woody Allen, il protagonista (una sorta di Humphrey Bogart dei poveri) riusciva a conquistare la bellissima Diane Keaton.