È terribile che nessuno lo abbia denunciato prima, prima che fosse troppo tardi. Ma come! Nel mondo della comunicazione globale e in tempo reale, due detenuti si lasciano morire di fame per protestare contro un mondo di ingiustizie che si è scaraventato loro addosso, e nessuno, nessuno che sia stato in grado di fare qualcosa? Di impedire la loro morte? Che ha fatto il direttore della casa di reclusione di Augusta? Cosa l’ispettore regionale, fino allo stesso ministro della Giustizia, Carlo Nordio? Due detenuti – uno da sessanta e l’altro da quarantuno giorni – sono morti per fame. E per lavarsi la coscienza sporca sono morti in ospedale, ricoverati il giorno prima, quando non c’era più nulla da fare. Come dire che non sono deceduti in carcere, perché nessuno possa accusare la struttura detentiva di responsabilità.
Siamo al tempo di Alfredo Cospito, l’anarco-insurrezionalista che ha saputo gestire la comunicazione con l’esterno, costruendo una solidarietà sincera con una parte importante di opinione pubblica. Per sostenere la sua forma di lotta estrema, lo sciopero della fame, per vedersi riconosciuti i suoi diritti di cittadino detenuto (e la battaglia non si è conclusa, lui e l’opinione pubblica sono ancora in attesa delle decisioni del guardasigilli Carlo Nordio per capire se sarà cancellato il 41-bis che gli è stato comminato: vedi qui).
Questi, invece, erano due poveri cristi. Liborio Zarba di Gela, ergastolano per un omicidio che – giurava – non aveva commesso. E voleva gridare che era stato condannato per errore. Che quella detenzione era ingiusta. E piano piano, giorno dopo giorno, ha deciso di sospendere l’alimentazione, forma estrema di lotta. Di lotta si tratta, e non di suicidio, perché i detenuti che non sopportano più le condizioni di vita terribili in carcere, si legano un lenzuolo al collo e la fanno finita. O riescono a tagliarsi le vene dei polsi. Lo sciopero della fame è una forma di lotta estrema per vedersi riconosciuti i propri diritti; e Liborio Zorba se n’è andato il 25 aprile, giorno della Liberazione, avendo perso venti chilogrammi.
L’altro ergastolano era un detenuto russo, Victor Pereshchako. Chiedeva da cinque anni di poter scontare la pena in un carcere russo, per poter incontrare i suoi familiari. Due mesi di sciopero della fame, ma poi anche per lui è arrivata la morte. A far conoscere la terribile vicenda, è stata una interrogazione parlamentare, dopo che un sindacato di polizia penitenziaria ne aveva parlato pubblicamente.
Mauro Palma, il Garante dei diritti delle persone detenute, ha scritto sulla “Stampa”: “In queste ore altri quaranta detenuti hanno deciso di intraprendere lo sciopero della fame come forma di protesta. L’importante è l’ascolto, che non significa accogliere le richieste formulate dai detenuti”. Ma neppure l’ascolto è un diritto riconosciuto. Questo governo è terribilmente sordo. Palazzo Chigi e via Arenula si stanno trasformando in una fabbrica di leggi sempre più punitive e vendicative.