Il fronte tecnologico è in grande ebollizione. L’avvento sul mercato dei modelli individuali di intelligenza artificiale sta riclassificando i rapporti fra i grandi gruppi multinazionali, ma costringerebbe anche istituzioni e politica ad assumere posizioni precise – e soprattutto a darsi strategie e regole per arginare il nuovo potere. Siamo su uno stretto crinale, ormai, dove i saperi informatici stanno combinandosi con la struttura biologica della specie umana. Il naturale diventa artificiale, ci ricorda Bernard Stiegler, nella sua analisi contenuta in La società automatica. La pervasività di queste procedure, che estendono e integrano i comportamenti neurologici, specialmente se guardiamo allo scenario con uno sguardo prospettico, che lascia intravedere già nei prossimi cinque anni, con l’irrompere di ulteriori ed esponenziali capacità artificiali, e con l’espandersi di generazioni che nascono e crescono con questi processi di alfabetizzazione, che ogni nostro comportamento sarà rigidamente impaginato da sistemi predittivi e prescrittivi. Proprio l’esplosione dei dati di profilazione, che determinano una conoscenza intima di ogni essere umano, da parte di chi li raccoglie e può elaborarli, è la novità che ha cambiato lo scenario tecnologico.
ChatGPT esiste perché oggi è possibile addestrarla meticolosamente su ogni desiderio umano, in virtù di un infinito tappeto di dati e informazioni prodotto dalle nostre vite. In questo quadro, la dimensione pubblica arranca, e sembra sparire ogni ipotesi di attrito sociale, che può originare mediazione politica e, dunque, dialettica democratica. La crisi globale della sinistra postfordista ha questa matrice, che scompone ogni radicamento sociale coerente, spingendo le formazioni politiche in un limbo eclettico ed evanescente, in cui una generica difesa di diritti civili sostituisce l’organizzazione di un conflitto strutturale, che contesti la legittimità del primato delle attuali gerarchie.
In pochi mesi, la svolta di ChatGPT, e più in generale delle forme di intelligenza artificiale decentrate all’individuo, hanno ulteriormente accelerato questa tendenza, spostando nel campo della proprietà il centro dello scontro. Microsoft, proprietaria di ChatGPT, e Google – che sta lanciando Bard, il suo sistema intelligente – sono oggi in contrapposizione e competizione per il controllo globale dei meccanismi di supporto alle nostre decisioni. Vaghe le reazioni politiche, e ancora tenui quelle istituzionali. Il garante della privacy, in Italia, ha sollevato qualche eccezione (vedi qui), limitando, almeno provvisoriamente, la discrezionalità dei proprietari nell’uso dei dati personali; ma certo non è lui che può contrapporsi a un sistema economico e culturale quale quello che è in campo. L’Europa cerca un modello alternativo, tentando intanto di imbrigliare i monopoli con norme di garanzia. Ma a decidere è la politica, non i regolamenti: quali interessi e quali prospettive politiche possiamo mettere in campo? Uno spiraglio viene proprio dal cuore della rete.
In un resoconto dell’agenzia Bloomberg si rivela che, da qualche giorno, lo stato maggiore di Mountain View, la sede del gruppo Alphabet, proprietario del motore di ricerca più grande del mondo, è molto preoccupato sul fronte dell’intelligenza artificiale. La causa delle angustie non è la popolarità di ChatGPT, che sta oscurando e trasformando la stessa idea di ricerche online, quanto un fenomeno che rischia di sgretolare il potere delle grandi piattaforme digitali. Come spiega Luke Sernau, un ingegnere del vertice di Google, nel resoconto di una riunione interna intercettata proprio da Bloomberg, mentre i grandi marchi competono per il dominio sul mercato, sta crescendo in rete un movimento che attraverso l’open source sta ridisegnando proprio il cuore del sistema dell’intelligenza artificiale.
Dobbiamo ricordare che le tecnologie informatiche nascono – lo spiegava, nel lontano 1959, proprio in Italia Adriano Olivetti – come fenomeno collaborativo in cui si raggiunge una grande potenza di calcolo, facendo convergere una moltitudine di programmatori in rete. Negli anni Sessanta, in California, sorge il movimento free soft come forma di una esigenza tecnica: il software deve essere costantemente aggiornato, e solo una condivisione pubblica lo permette a basso costo e alta trasparenza. Poi venne la gelata privatizzatrice degli anni Settanta e Ottanta. Oggi riparte lo scontro.
I dispositivi di intelligenza artificiale devono essere addestrati con poderose iniezioni di dati, e un impegno di esperti prolungato ed estremamente costoso. Microsoft calcola che in questa fase ancora minimale – solo per aggiornare ChatGPT – spende settecentomila dollari al giorno. Ora, il prolungarsi all’infinito di questo impegno diventa insostenibile perfino per dei giganti. Per questo ritorna attuale il modello partecipativo, che sostituisce la proprietà con la condivisione. Ancora il dirigente di Google, citato da Bloomberg, afferma “la scomoda verità è che non siamo nella posizione per vincere questa corsa agli armamenti, e nemmeno OpenAI. Mentre litigavamo, una terza fazione ha tranquillamente consumato il nostro pranzo. Sto parlando, ovviamente, dell’open source”.
Secondo gli osservatori più accreditati, proprio la struttura e la logica dei sistemi di intelligenza artificiale, basate sul cosiddetto Pre-trained (addestramento preventivo), rendono difficile e costoso per un apparato proprietario gestire internamente tutte le fasi della progettazione, formattazione, formazione e collaudo di un tale sistema. Mentre la potenza di una rete, con milioni di tecnici e di partner che concorrono a dialogare con il dispositivo intelligente, permetterebbe con grande agilità organizzativa e convenienza economica la messa in funzione di sistemi affidabili. La considerazione, ovviamente, non vale solo per Google, ma riguarda la stessa OpenAI, proprietaria di ChatGPT, e il gruppo Facebook che sta elaborando un proprio sistema.
La preoccupata constatazione dell’ingegner Sernau non riguarda solo la capacità dell’open source di addestrare più convenientemente i sistemi di intelligenza artificiale, ma anche la struttura e la natura di questi modelli. Infatti, proprio un accesso generalizzato e differenziato, da parte di molti operatori, dei quali ognuno è in grado di dare un certo imprinting al complesso tecnologico intelligente, porta a una segmentazione dei meccanismi. Avremo – spiega il tecnico di Google intercettato da Bloomberg – sempre più una pluralità di applicazioni, ognuna specializzata su un tema, un problema, una comunità o una categoria, rompendo quella forma generalista e monopolista che veniva intravista con i primi nuovi sistemi sperimentali. E per questo – aggiunge Sernau – “la nostra migliore speranza è imparare e collaborare con ciò che gli altri stanno facendo al di fuori di Google”.
Gli sviluppatori di tecnologia open source non sono proprietari e rilasciano il proprio lavoro affinché chiunque possa utilizzarlo, migliorarlo o adattarlo come meglio crede. Esempi storici di lavoro open source includono il sistema operativo Linux e LibreOffice, un’alternativa a Microsoft Office. L’ingegnere citato ha affermato che gli sviluppatori di intelligenza artificiale open source ci stavano “già lambendo”, citando esempi che includono strumenti basati su un modello di linguaggio di grandi dimensioni, sviluppato da Meta di Mark Zuckerberg, che è stato reso disponibile dalla società su un “non commerciale” caso per caso, a partire da febbraio e trapelato online poco dopo.
L’elemento che ha reso possibile questa socializzazione dell’innovazione, per molti esperti, sta nella decisione di Facebook di rendere accessibile il proprio sistema linguistico LLaMA, che interfaccia il linguaggio naturale, gestendo le infinite formule semantiche. Da quel momento, tutto cambia e si innesta la magia della miniaturizzazione che rende l’informatica, come sosteneva Adriano Olivetti, una tecnologia di libertà. Infatti, e si spiega proprio con il decentramento dell’accesso a LLaMA, si produce un fenomeno per cui “la barriera all’ingresso per lavorare sui modelli di intelligenza artificiale è scesa dalla produzione totale di un’importante organizzazione di ricerca a una persona, una serata e un robusto laptop”.
Un cambio di scena radicale che, in poche settimane, trasforma completamente lo scenario che sembrava irrimediabilmente destinato a un duopolio gestito da pochissimi proprietari. A questo punto vanno riviste le considerazioni sulle famose cautele che gli stessi vertici dei gruppi che sviluppano intelligenza artificiale – da Elon Musk al Ceo di Google, Pichai – hanno fatto circolare. A chi parlavano i proprietari delle grandi piattaforme private, quando chiedevano di rallentare la ricerca e di regolamentare il sistema tecnologico? Forse chiedevano alle istituzioni di frenare questa straordinaria corsa che sta portando, ancora una volta, la rete a rompere compatibilità e gerarchie, rendendo più articolato il mercato e più trasparenti i prodotti?
Su questo snodo, l’Europa potrebbe giocare realmente la sua partita. Invece di inseguire meccanicamente una impossibile competizione con i giganti americani e cinesi, il vecchio continente potrebbe diventare il vero partner dell’open source globale, dando spazio e codificando modelli ed esperienze, a partire dai propri apparati sanitari e universitari, per far crescere queste esperienze e fornire massa critica alle sperimentazioni più interessanti.
Torna in campo la politica e la sinistra potrebbe riprendere la parola, rompendo un avvilente silenzio su questi temi, lanciando una grande alleanza fra lavoro, istituzioni democratiche e il popolo dell’open source come base di un nuovo e adeguato patto di produttori del sapere. In Italia il Pd di Elly Schlein potrebbe declinare in questo campo la sua ansia di novità, senza avvizzirla in una sterile e asettica predicazione liberal sui diritti civili. La nuova segretaria potrebbe anche farsi prendere in braccio da un programmatore indipendente, lanciando la sfida ai poteri proprietari. La “talpa” riprende così a scavare: l’intelligenza artificiale come fenomeno sociale propone una straordinaria idea di aggregazione e di contaminazione del mercato. Chi è pronto a rispondere?