L’Italia si è messa in movimento. Domenica 7 maggio, con la staffetta dell’umanità, il Paese è stato attraversato da Aosta e da Bolzano, da Palmanova del Friuli fino alla Sicilia, da decine di migliaia di persone. È stato l’inizio di un bel giorno. Come se una slavina avesse iniziato a scongelare, a sciogliere un Paese bloccato, ghiacciato, immerso nella sfiducia e nel vuoto di sentimenti e di programmi. L’Italia, che ha fatto ben oltre il suo chilometro di cammino, non si riconosce nelle scelte compiute dalle forze di governo e di opposizione, che spingono all’escalation e allontanano la pace. Del resto, da tempo, l’astensionismo elettorale che ha raggiunto una maggioranza di italiani, ci segnala uno scollamento.
Ecco perché dà fiducia la risposta di migliaia di uomini e donne, giovani e vecchi, all’appello firmato da una ventina di promotori: da Michele Santoro a Pax Christi, da Piergiorgio Odifreddi a Fiorella Mannoia, da Alex Zanotelli ad Alessandro Barbero, da Massimo Cacciari a Emiliano Brancaccio, ad Ascanio Celestini. È utile fermarsi a discutere su quanti fossero, se tutte le quattromila caselle dei quattromila chilometri siano state riempite, se nei luoghi di transito si sono creati veri e propri cortei, sit in, manifestazioni, se tutto questo è stato davvero una felice sorpresa? Tutto il cosiddetto “campo largo” farebbe bene a non sottovalutare questa risorsa della democrazia e del Paese. Va riconosciuto che, anche senza bandiere, molti militanti e dirigenti di Sinistra italiana, Rifondazione, Polo progressista, il gruppo dell’europarlamentare Massimiliano Smeriglio, Unione popolare, il gruppo di Luigi De Magistris, si sono messi in cammino con questa Italia che chiede lo stop all’invio delle armi e la trattativa per la tregua tra l’Ucraina e la Russia.
Una, tra le tante, è l’immagine che ha colpito più delle altre: il dialogo tra il laico Piergiorgio Odifreddi e monsignor Luigi Bettazzi, l’ultimo vescovo testimone del Concilio Vaticano II. Sui problemi della società moderna è come se le culture politiche di laici e religiosi si fossero fuse. Mancheremmo di rispetto se non riconoscessimo le differenze storiche, le missioni del cristianesimo e di una cultura laica fondata sull’idea di progresso; ma quello che ormai sembra un terreno comune consolidato è che sui temi della pace, della solidarietà – per citarne solo due – cattolici e laici lavorano insieme, producendo un’unica cultura del fare e dell’essere.
Palmanova e i confini con le terre slave? A Nova Gorica e Gorizia, dove non passava la staffetta, se la sono fatta loro, la marcia della pace; anche alla Maddalena è partito un corteo con le bandiere della pace, dalla tomba di Gian Maria Volontè al Comune. All’Aquila sono arrivati tre bus carichi di profughi ucraini e rifugiati afghani. In Calabria gli ucraini hanno sfilato con i vestiti tradizionali chiedendo la pace. In un’Italia incapace di reagire, muta, irriconoscibile, ieri è iniziato un nuovo modo di essere protagonisti. Tutti i sondaggi ci hanno segnalato, dall’inizio della guerra (febbraio 2022), che c’è una maggioranza di italiani che non apprezza l’invio di armi. Oggi non è vero che se vuoi la pace devi fare la guerra. Chi vuole la pace deve lavorare per la pace e non inviare armi. Da Bolzano a Palmanova, da Aosta alla Sicilia, a Portopalo e a Lampedusa, è questo il messaggio lanciato dalle migliaia di persone che hanno deciso di attraversare il Paese per unirlo. Un’esperienza destinata a non finire nel cassetto dei ricordi. Sul web migliaia e migliaia di frequentatori dei social chiedono di andare avanti.