Segretaria Fracassi, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rivendica le misure decise dal governo il primo maggio come un esempio della politica “dei fatti e non delle parole” a favore dei lavoratori e delle famiglie. È davvero così?
Distinguiamo prima di tutto il metodo e il merito. Questa “operazione primo maggio” della presidente del Consiglio noi l’abbiamo criticata perché avviene senza confronto con i sindacati, e il Consiglio dei ministri il giorno del primo maggio è pura propaganda. L’hanno detto anche chiaramente, senza temere l’offesa: loro fanno canti e balli, noi facciamo i fatti. E allora la prima critica è che questo “fare” arriva un po’ in ritardo. Anzi, molto in ritardo perché si poteva fare nella legge di Bilancio, si poteva a gennaio, a febbraio. Si tratta dunque di un’operazione politica e strumentale. Questo per quanto riguarda il metodo. Sul merito: da un lato, una parte dell’intervento è una risposta dovuta ai lavoratori sul versante della riduzione del cuneo fiscale, ma, dall’altro lato, l’intervento è una risposta sbagliata perché peggiora le regole e aumenta la precarietà del lavoro. Non aiuta un Paese che vede proprio nella precarietà e nella discontinuità le leve principali dell’impoverimento generale del lavoro.
Il governo parla del più grande taglio delle tasse della storia. Solo propaganda?
Anche qui bisogna fare molta chiarezza. L’intervento deciso nel decreto riguarda solo la parte contributiva delle buste paga, non le tasse in generale. Sulla parte fiscale c’è un disegno di legge delega in parlamento, e noi avremo su quello un’audizione giovedì. Sulla parte di riduzione dei contribuiti l’intervento del governo si va a sommare a quelli precedenti del governo Draghi (riduzione di due punti). Ora si interviene con le risorse disponibili, ovvero circa quattro miliardi per fare un’operazione che è temporanea, una tantum (da luglio a novembre) come l’ha definita giustamente il “Sole 24 ore”. Come misura temporanea si aumenta di quattro punti il taglio della contribuzione fino a 25mila euro (una riduzione che si somma a quella del 3% già esistente). Mentre per la platea 25-35mila euro arriverà a sei punti percentuali di riduzione. Ma quello che produrrà veramente lo potremo verificare solo se diventerà strutturale. Per noi, comunque, la riduzione del cuneo fiscale va bene perché la chiediamo da due anni. Si tratta in sostanza dell’unico intervento possibile per ridurre la pressione fiscale, perché la somma delle detrazioni fiscali renderebbe impossibile paradossalmente un aumento delle detrazioni per una consistente fascia di lavoratori con redditi bassi. L’abbiamo visto con il governo Conte, quando si è trattato di intervenire sul bonus Renzi, a proposito della platea di riferimento. Ci sono stati casi di richiesta di restituzione di soldi ai lavoratori da parte dello Stato. Ci sono salari troppo bassi che non hanno capienza fiscale.
Cgil, Cisl, Uil chiedono da tempo una vera riforma del sistema fiscale. Che cosa avete chiesto durante l’ultimo incontro a Palazzo Chigi?
Abbiamo di nuovo posto il problema della riforma. Ma non c’è stato un dialogo. In questi incontri c’è solo una comunicazione delle scelte già fatte. Così non va bene, perché non serve al Paese. E non va bene neppure l’impianto della loro riforma fiscale, perché diversifica la tassazione sulla base del tipo di lavoro, autonomi, dipendenti, imprese, ecc. Con tassazioni diverse e con interventi di favore solo per alcune categorie. Ricordo, per esempio, l’aumento della flat tax a 85mila euro. L’obiettivo sarebbe quello di una riduzione generalizzata delle tasse, ma com’è noto è un obiettivo che non può essere esercitabile a meno che non si decida di tagliare per sempre una parte delle risorse che servono per finanziare lo Stato sociale. Perché reperire queste risorse da altre parti mi pare oggi, con questo governo, molto improbabile. Quindi la riduzione delle entrate fiscali si tradurrà in tagli alla sanità, all’istruzione, all’assistenza. Inoltre la flat tax introduce nuove ingiustizie: si favoriscono i redditi più ricchi, perché si fa pagare la stessa percentuale di tasse ai ricchi e ricchissimi come ai più poveri, mentre non si fa nulla contro l’evasione fiscale. Anche la stessa riduzione a tre aliquote, di berlusconiana memoria, avvantaggia i redditi più alti. Gli interventi già messi in campo non contrastano l’evasione. Anzi, la si favorisce come è successo con il condono penale che è stato varato con il decreto bollette.
Il segretario generale, Maurizio Landini, ha polemizzato con Giorgia Meloni perché non riconoscerebbe il ruolo dei sindacati e del dialogo. Il Congresso di Rimini sembra molto lontano. Una nuova stagione di concertazione era dunque solo un miraggio?
In realtà, una stagione di concertazione negli ultimi anni non si è mai vista. C’è stato solo un breve periodo durante la fase della pandemia, quando tutti insieme, tutte le parti sociali con il governo e le imprese, decidemmo le misure dell’emergenza. Ci fu un grande protagonismo, con accordi sulle regole, il blocco dei licenziamenti, il varo dei protocolli sulla sicurezza nei posti di lavoro. Furono tutti interventi concordati. Anche con le parti datoriali. La stagione è finita presto, ed è iniziata la cosiddetta stagione del dialogo, ovvero una sorta di comunicazione rafforzata. Con Draghi abbiamo siglato tre protocolli, abbiamo avuto un confronto, ma anche quel modello era lontano dal confronto e dalla negoziazione che vorremmo. Adesso siamo a una fase altra: nessun confronto. Siamo di nuovo in una stagione di disintermediazione. Peggiorata dalla propaganda. Il governo, per esempio, si appropria del taglio al cuneo fiscale quando lo sanno anche i sassi che le proposte sulla decontribuzione sono del sindacato e, in particolare, della Cgil.
Pensi che sia opportuno rispondere alle provocazioni di alcuni dirigenti della Lega e di Fratelli d’Italia che accusano i sindacati e la sinistra di perdersi in chiacchiere inutili, mentre questo governo è l’unico soggetto politico che si preoccupa veramente di migliorare le condizioni di chi lavora?
Potrei rispondere, ma non lo faccio. A proposito del governo del fare e non fare, ripeto quello che ho detto a proposito dei ritardi e degli errori clamorosi sul Documento di economia e finanza, e dello spettacolo dato da quel gruppo politico. Segnalo poi che in piazza, ieri, nelle tantissime manifestazioni del primo maggio, c’erano migliaia di lavoratori e pensionati (magari anche qualcuno che li ha votati). Consiglieri quindi maggiore prudenza nei giudizi che si danno, prima di offendere milioni di persone senza motivo.
Nel pacchetto di misure varato dal governo non c’è solo il cuneo fiscale, ma anche la fine del reddito di cittadinanza e l’allargamento delle forme di lavoro precario. Qual è il vostro giudizio?
Questi sono i punti chiave che ci fanno dire che questo intervento proprio non va bene: da una parte si dà, dall’altra si toglie. Molto grave il fatto di avere liberalizzato le causali dopo i dodici mesi per i contratti a termine. Siamo anche molto preoccupati per il fatto che si demanda alla contrattazione individuale, tra lavoratore e datore, in una chiara condizione di subordinazione. Non abbiamo poi capito se verrà confermata la reintroduzione dei voucher. Per noi sarebbe un fatto grave che la dice lunga, su come si intende affrontare i problemi dell’occupazione. Non ci sono poi norme che incidano davvero sulla sicurezza sul lavoro, in un Paese in cui muoiono tre lavoratori ogni giorno. Totalmente sbagliate le decisioni sul reddito di cittadinanza, si continua a scaricare sui poveri la colpa della povertà. La scelta di cancellare l’unica misura di contrasto alla povertà è stata molto grave. Siamo l’unico Paese in Europa a non avere strumenti universali di contrasto alla povertà.
Quali saranno ora le azioni che il sindacato metterà in campo, anche considerando le diverse posizioni espresse dalla Cisl dopo l’incontro del 30 aprile?
Si va avanti con le mobilitazioni unitarie già decise da Cgil, Cisl, Uil, con gli appuntamenti dei prossimi tre sabato di maggio. Ma ci dobbiamo preparare soprattutto per i prossimi mesi, quando i nodi verranno al pettine sulla sanità, l’istruzione, le pensioni. Il momento della verità sarà quello della prossima legge di Bilancio. Si vedrà allora se il governo sarà in grado di trovare le risorse per rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale. Oggi c’è solo uno scostamento di bilancio. Poi vedremo quello che riusciranno a fare sulle pensioni. La riforma, per ora, è stata accantonata.
A proposito di pensioni, molti si chiedono come mai non succede in Italia quello che sta succedendo in Francia? Come mai il nostro Paese non reagisce?
Questa è una domanda posta male, perché non si possono fare paragoni tra l’Italia e la Francia. I francesi si sono mobilitati contro una riforma che peggiora le condizioni aumentando l’età pensionabile. In Francia c’è stata una scintilla molto forte su questo. In Italia non siamo in presenza di interventi che peggiorano le pensioni (le grandi riforme sono state già realizzate negli anni Novanta e con la legge Fornero del governo Monti). Da noi, al contrario, siamo in presenza di mancati interventi per migliorare le condizioni dei lavoratori e dei pensionati. Si devono risolvere nodi che si trascinano da anni. In ogni caso ieri, primo maggio, abbiamo visto manifestazioni molto partecipate e una forte voglia di continuare la mobilitazione per raggiungere gli obiettivi. Per questo, per ora i paragoni diretti tra Francia e Italia sono forzati.