Negli ultimi giorni, l’attenzione per il disegno di legge Calderoli sulle autonomie regionali è passata in secondo piano, a favore di altri argomenti di attualità più stringente, come il “decreto Cutro” sull’immigrazione, le difficoltà di attuazione del Pnrr, e, per quanto possa apparire surreale (e lo sarebbe del tutto, se non ci fosse di mezzo la morte del povero podista aggredito dall’altrettanto povero animale), il destino dell’orsa Jj4. Si potrebbe osservare, malignamente, che il desiderio di esecuzione, da parte del presidente leghista della Provincia e di altri, è un po’ una compensazione per l’impossibilità di applicare la pena di morte agli esseri umani, che l’allora Movimento sociale, durante gli “anni di piombo”, aveva proposto di reintrodurre, in spregio all’articolo 27 della Costituzione, che esplicitamente la vieta.
La questione dell’orsa e del suo presunto delitto induce però a ritornare sul disegno di legge Calderoli e, più in generale, sul problema dei poteri da assegnare alle Regioni: la Provincia autonoma di Trento ha, di fatto, le competenze di una Regione, come quella attigua di Bolzano (la Regione Trentino-Alto Adige, ormai, è poco più che una finzione giuridica). Il progetto Life Ursus, che ha portato alla moltiplicazione incontrollata dei plantigradi, è un esempio di incapacità di gestione del territorio: se infatti l’orso era quasi sparito dalle valli in cui aveva il suo habitat naturale, ciò era evidentemente dovuto alla crescente antropizzazione, che rendeva molto difficile la convivenza tra questa specie animale e la nostra.
Tuttavia, il progetto fu inizialmente salutato con grande favore, perché si pensava che l’aumento degli orsi avrebbe rappresentato un’attrattiva turistica in più (in una provincia, peraltro, già abbondantemente sfruttata dal turismo). Evidentemente, tanto gli amministratori quanto la maggioranza della popolazione avevano un’immagine dell’orso basata sui cartoni animati di Walt Disney, anziché su seri studi relativi al comportamento dell’animale. Questa incapacità di gestione del territorio – è bene ricordarlo – è stata mostrata soprattutto da giunte di centrosinistra, che hanno amministrato la provincia dal 1999 (anno in cui il progetto Life Ursus fu avviato) fino al 2018: l’attuale giunta a guida leghista, dunque, ha soltanto ereditato questo errore, peraltro perseverandovi, in quanto non ha avvisato la popolazione delle cautele da adottare (a differenza di quanto ha sempre fatto il Parco nazionale dell’Abruzzo, territorio nel quale, sarà un caso, casi gravi come quello da cui siamo partiti non si sono mai verificati).
Finora, la maggior parte delle critiche rivolte al disegno di legge Calderoli si sono concentrate sull’argomento che una sua attuazione aggraverebbe lo squilibrio già esistente tra Regioni del Nord e Regioni del Sud. Tale argomento è giustissimo e fondatissimo, ma a volte sembra sottintendere l’idea che le regioni del Nord siano bene amministrate, e che quindi, per loro, l’accresciuta autonomia possa essere un vantaggio. Questa idea, a mio parere, si fonda su un sostanziale equivoco: buona amministrazione, a livello comunale, implica automaticamente buona amministrazione a livello regionale. È indiscutibile che la maggior parte dei Comuni del Nord abbia dimostrato un’efficienza molto superiore alla maggior parte di quelli del Centro-Sud, non solo dalla nascita della Repubblica, ma in tutta la storia dell’Italia post-unitaria: ma compiti dei Comuni e compiti delle Regioni sono molto diversi, soprattutto se alle Regioni si vuole assegnare una parte sempre maggiore di quelli precedentemente assegnati allo Stato (già ridotti con la sciagurata riforma del Titolo V, voluta anch’essa da un governo di centrosinistra).
Certo, in Italia la gestione dello Stato ha sempre dimostrato gravi carenze, dovute principalmente a una burocrazia inefficiente, incapace, e spesso anche corrotta: ma se non si è mai riusciti, in più di centocinquant’anni, a creare una burocrazia efficiente a livello centrale, per quale improvviso miracolo ne dovrebbero sorgere ventuno diverse, oppure anche soltanto una decina (quelle del Centro-Nord)? Pensiamo forse che tutte queste Regioni e Province autonome siano in grado di istituire centri di formazione del personale amministrativo di alto livello, come la Ena o la École Polytechnique in Francia, quando non c’è mai riuscito lo Stato centrale? Sarebbe piuttosto quest’ultimo da riformare veramente, smettendo di andare a caccia di un “federalismo” irrealizzabile.
Indro Montanelli una volta osservò (quando si cominciavano a chiamare “governatori” i presidenti di Regione, forse pensando che bastasse cambiare una parola per trasformare l’Italia negli Stati Uniti) che gli Stati federali nascono dall’associazione di entità prima autonome l’una dall’altra, mentre è molto rara la nascita di una federazione da uno Stato in precedenza unitario. Una possibile eccezione è il Belgio, ma la situazione di quel Paese è assolutamente particolare, a causa della divisione linguistica tra fiamminghi e francofoni; e che la trasformazione di quel Paese da Stato unitario a Stato federale sia stata tutt’altro che positiva è stato messo in rilievo da Tony Judt, storico inglese di origine belga (si veda Lo Stato senza Stato: perché il Belgio è importante?, in Le età dell’oblio, Laterza, 2008, pp. 226-241).