E perché dovremmo preoccuparci del fatto che nel 2100, con i ritmi attuali delle nascite e delle morti, l’Italia avrebbe cinquanta milioni di abitanti anziché i cinquantanove che ha adesso? Perché sarebbe importante l’incentivo a fare figli, detassando chi ne ha più di uno, come vorrebbe il ministro leghista dell’Economia? Sarebbe così decisivo avere nel prossimo secolo ancora un cospicuo numero di abitanti nel nostro Paese, e più in generale in Europa? O non è piuttosto vero il contrario, e cioè che, a livello planetario, con una popolazione complessiva arrivata a otto miliardi, e in presenza di risorse ambientali sempre più limitate, si dovrebbero avviare semmai politiche di denatalità? E non sarebbe forse più etico prendersi cura di chi c’è già, anziché mettere al mondo altri poveri diavoli (tali, in fondo, anche quando si trovino a vivere in condizioni non disagiate)? Non sarebbe più economico immaginare grandi migrazioni (del resto già in atto) dai luoghi più poveri e affollati della terra verso quelli più ricchi e meno affollati? Non sarebbe l’attivazione di una politica migratoria, che governi per quanto possibile i flussi, l’unica chance delle regioni più sviluppate del pianeta per invertire, in parte, la tendenza all’invecchiamento della loro popolazione?
E ancora: chi ha detto che, se i giovani saranno sempre di meno, a un certo punto non sarà più possibile pagare le pensioni di anziani che, in media, vivono più a lungo? Le pensioni, come l’intero welfare, vanno finanziate con la fiscalità generale, non soltanto da chi lavora. Si mettano in campo una tassazione fortemente progressiva, una patrimoniale, e così via, e l’invecchiamento generazionale non farà più paura. Di più: la proprietà privata, così com’è concepita, appare un pregiudizio del passato. Tutte le proprietà (a parte ovviamente quelle riguardanti i piccoli oggetti ed effetti personali) dovrebbero essere a tempo (diciamo non più di una cinquantina d’anni) e soprattutto non trasmissibili per via ereditaria. Bisognerebbe arrivare, attraverso lo Stato, a una ridistribuzione di ciò che è privato in favore di associazioni e cooperative, un po’ come si fa con i beni sottratti alle mafie (considerando, quindi, che “la proprietà è un furto”, proprio come insegnavano i maestri socialisti del passato, e lo è ancora di più in una situazione di risorse in via di esaurimento, per cui si potrebbe parlare di accaparramento proprietario).
L’India ha da poco superato la Cina in numero di abitanti. Si tratta di un miliardo e 429 milioni di persone in India contro un miliardo e 426 milioni di persone in Cina. Con questi numeri che cosa può sperare l’Unione europea con i suoi 447 o 448 milioni? E perché mai l’Europa e l’Occidente dovrebbero accettare la “sfida demografica”? Il sole declina a Occidente, e la missione di questa parte del globo dovrebbe essere soltanto quella di lasciare un segno nella nuova civiltà di cui si intravede l’alba. Questo segno, lo sappiamo, è altamente controverso: una gran parte dei popoli della terra non lo accetta o, per meglio dire, lo rifiuta. A far gola, però, è un benessere ancora abbastanza diffuso. Che andrebbe condiviso sulla base dell’unica concezione, sorta in Occidente, che meriti di essere ripresa: quella del socialismo democratico.
Tutto il resto sono o fandonie o cose trascurabili. Che cosa importa la lingua di una determinata fetta di mondo, per fare un esempio? Sentiamo oggi ancora parlare il latino o l’antico greco? Che c’importa del fatto che le lingue europee si andranno trasformando in qualcosa di imprevedibile? E cosa della circostanza – già scritta a chiare lettere nei destini del mondo, se questo non cesserà prima per intervenuta catastrofe – che l’intera cultura occidentale sarà subissata o ibridata da altre culture corrispondenti, al momento, a quelle di regioni del pianeta molto più popolate? Ciò che vogliamo è che non vadano smarrite, ma anzi siano sempre più e meglio tra loro accordate, le idee di libertà ed eguaglianza. Il che non si ottiene con un incremento della natalità.