Elezioni complicate in Grecia. La chiamata alle urne si terrà il prossimo 21 maggio, un mese e mezzo prima della naturale scadenza della legislatura, quando dovranno essere eletti i trecento deputati al parlamento, che dovrà esprimere una maggioranza sulla cui base il capo dello Stato nominerà il successore del premier, Kyriakos Mitsotakis, del partito conservatore Nuova democrazia. I problemi che sta affrontando non sono pochi, e rendono la vittoria della sua formazione politica, e la sua riconferma, tutt’altro che scontate. Si va dal complicato e contestato sistema elettorale alla situazione economico-sociale, che ha dato il via nel marzo scorso a importanti scioperi, passando per lo scandalo relativo all’uso e all’esportazione dello “spyware Predator”, che ha fatto finire l’esecutivo greco sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles.
Ma andiamo con ordine. Nel 2020 è stata approvata una riforma elettorale che, in un primo momento, avrebbe dovuto cancellare del tutto il sistema proporzionale introdotto dall’allora premier e leader di Syriza, Alexis Tsipras. Poi il governo ha partorito un’inedita mediazione, per la quale le elezioni si terranno con il sistema proporzionale. Qualora però non si riuscisse a mettere in piedi una maggioranza in parlamento, è previsto un secondo turno per il 2 luglio – da tenersi con una legge maggioritaria che garantirebbe, a questo punto, cinquanta seggi al vincitore. Una modalità che, per come si presenteranno i due schieramenti, avvantaggerebbe la destra a scapito della sinistra. Nuova democrazia, che i sondaggi danno intorno al 34%, non ha intenzione di formare alleanze di governo, e punta alla vittoria al secondo turno grazie proprio al maggioritario.
Scenario diverso e più problematico per la sinistra. I sondaggi danno Syriza, che ha contestato con forza questo sistema elettorale, in crescita e, tuttavia, per potere sperare in una vittoria, bisognosa di una coalizione stabile che sarebbe composta dai socialisti del Pasok e da quei partiti minori in grado di superare la soglia di sbarramento del 3%. Tra questi, il Partito comunista di Grecia, restio però, per il suo settarismo, a realizzare un’alleanza con Syriza, e il Movimento per la democrazia in Europa 2025 del discusso ex ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, che abbandonò il governo di Tsipras nel 2015 di fronte alle difficilissime trattative con l’Europa.
I problemi per la sinistra sono due: raggiungere l’obiettivo della maggioranza già al primo turno, e la necessaria intesa tra le diverse forze della coalizione. E qui sorge il nodo da sciogliere con i socialisti del Pasok di Nikos Androulakis, il quale, in virtù dell’importanza del proprio ruolo, vorrebbe candidarsi a essere primo ministro in caso di vittoria. Ipotesi certo poco gradita a Tsipras, vista la grande distanza che separa le due forze politiche in termini di consensi.
Come dicevamo, oltre al conflitto istituzionale, il governo di Mitsotakis ha dovuto fronteggiare un’importante ondata di scioperi il mese scorso come reazione al terribile incidente ferroviario di Larissa, che ha provocato la morte di cinquantasette persone e le dimissioni del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Kostas Karamanlis. L’8 marzo, giornata di lotta delle donne, il Paese è stato paralizzato da uno sciopero generale, con imponenti manifestazioni di massa che hanno riempito le più grandi città del Paese. Una mobilitazione di queste proporzioni, le cui ragioni vanno ben al di là dell’incidente ferroviario, non si vedeva da almeno un decennio. Proprio a Larissa è stata presa di mira la società pubblica delle ferrovie TrainOse.
A indire gli scioperi sono state le organizzazioni sindacali di sinistra, mentre il sindacato unico Gsee, legato sia a Nuova democrazia sia al Pasok, è rimasto immobile. A puntare l’indice contro l’esecutivo arrivano anche i sindacati dei magistrati, degli avvocati e l’ex presidente dell’Areopago, equivalente alla nostra Cassazione. Tutti hanno attaccato Mitsotakis, che avrebbe inviato una lettera al procuratore da lui nominato, Isidoros Doyakos, con precise richieste riguardo alle indagini sul disastro ferroviario. Sprezzante dell’indignazione della gente, avrebbe chiesto di privilegiare la riapertura delle indagini su un altro incidente ferroviario, avvenuto nel 2017 sotto il governo Tsipras, ma enormemente meno grave di quello di Larissa in quanto morirono solo tre persone. Doyakos – da sempre legato alla destra, nonostante un ruolo che gli imporrebbe l’imparzialità – si è ben guardato dal respingere la richiesta del premier.
Come se non bastasse, l’esecutivo di Nuova democrazia è nel mirino della Commissione e del parlamento dell’Unione europea per lo scandalo relativo all’uso e all’esportazione dello “spyware Predator” di produzione statunitense. Un vero e proprio attacco alla democrazia, che ricorda i tempi bui dell’Unione sovietica, come ha sottolineato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario responsabile dell’Economia e del commercio, il lettone Valdis Dombrovskis. L’altro sistema Pegasus, di cui ci siamo occupati su “terzogiornale” (vedi qui), del tutto simile a Predator, scoperto nel 2018 dopo un tentativo fallito di installarlo su un iPhone di un attivista per i diritti umani, è stato ideato dalla società israeliana di armi informatiche Nso Group, e può essere installato di nascosto su cellulari e altri dispositivi. Sarebbero stati controllati attivisti della società civile, giornalisti e membri dell’opposizione. Lo scandalo è partito da quello che è stato definito Catalangate: sessantatré militanti, giornalisti ed esponenti politici, legati all’indipendentismo catalano, sono stati hackerati appunto tramite Pegasus, e altri quattro con Candiru, un altro dispositivo anch’esso “made in Israel”, il che conferma la trasparenza della politica israeliana. Questo strumento è stato utilizzato, inoltre, in Polonia e Ungheria, dove lo Stato di diritto non è esattamente in cima alle preoccupazioni di governi a forte impronta autoritaria.
Dopo la scoperta di questi sistemi di spionaggio, che certamente mettono a rischio la democrazia del vecchio continente, tutti gli eurodeputati possono verificare se i propri smartphone sono stati oggetto di spionaggio attraverso spyware. Secondo alcuni giornali greci, Mitsotakis avrebbe inoltre “facilitato la proliferazione dello spyware Predator in Paesi come l’Arabia Saudita, il Sudan, il Madagascar e il Bangladesh, concedendo licenze di esportazione attraverso il ministero degli Affari esteri greco”. In un primo momento il governo greco ha negato un suo coinvolgimento nell’affare, salvo poi promettere un’indagine interna per verificare la correttezza dell’operato dell’esecutivo. Nel frattempo, già lo scorso 14 febbraio, la Commissione europea aveva chiesto dei chiarimenti al governo di Atene, che però non sono ancora arrivati. Naturalmente, l’evoluzione di questa sgradevole vicenda potrebbe incidere non poco sui risultati elettorali. In ogni caso, chiunque dovesse affermarsi avrà a che fare con una situazione sociale drammatica, nonostante lo scorso 20 agosto si sia conclusa, dopo dodici anni, la “sorveglianza speciale” da parte delle massime istituzioni europee e internazionali, avendo la Grecia restituito in anticipo l’ultima rata del prestito del Fondo monetario internazionale.
Un evento che non ha alzato però il morale della popolazione greca, umiliata in questi ultimi anni da una politica economica internazionale indifferente al drastico peggioramento delle condizioni di vita delle persone. A poco servono alcuni dati macroeconomici positivi, che vedono una flessione della disoccupazione dal 12,4 al 10,8%, e di quella giovanile dal 37 al 28%, a fronte di una crescita del 2%. Nulla rispetto al crollo del Pil che, dai 355,9 miliardi di dollari del 2008, è sceso, nel 2021, a 216,2 miliardi con un crollo del 39%. “Una traiettoria mai vista in un Paese appartenente a una zona economica sviluppata – sottolinea la testata francese “Mediapart”, in un articolo della scrittrice ed esperta di questioni economiche, Martine Orange – dove il debito pubblico, anziché ridursi, è aumentato: nel 2012 rappresentava il 110% del Pil, mentre oggi supera il 200%”.
Come succede di solito, il pagamento dei prestiti elargiti dalle grandi istituzioni economiche e finanziarie internazionali è sempre accompagnato dalle famigerate “riforme strutturali”, che da tempo non fanno altro che distruggere lo Stato sociale anche in Paesi che normalmente non sono in grado di garantire livelli di assistenza dignitosi. L’esportazione di questo paradigma “riformista” in Grecia ha appunto provocato lo smantellamento di uno Stato sociale non esattamente paragonabile a quello dei Paesi europei più sviluppati. Così, invece di tentare di equiparare il più possibile realtà diverse a favore dei più svantaggiati, l’Europa – in buona parte colpevole del degrado della situazione – ha assistito indifferente alla distruzione completa del welfare greco, a cominciare dagli ospedali, dalle scuole, dalle università, fino alla cancellazione di fatto dei diritti del lavoro e delle protezioni sociali.
Inoltre, ben quindici riforme pensionistiche hanno ridotto del 30% gli importi destinati a chi è uscito dal mondo del lavoro. Naturalmente, come da prassi, i soldi si vanno a cercare nelle tasche dei più poveri e della classe media, mentre nessuno osa attingere ai patrimoni degli armatori, come della Chiesa ortodossa, che sono per lo più grandi evasori fiscali. In un’Europa divisa tra creditori e debitori, o tra frugali e spendaccioni, la Grecia ha poco da sperare in un aiuto di Bruxelles – sia che vinca la destra, sia che si affermi una sinistra desiderosa di cambiare le carte in tavola.