La Cina ha tenuto la scorsa settimana l’annuale liturgia della “doppia sessione”, cioè la riunione del Congresso nazionale del popolo e quella della Conferenza consultiva del popolo cinese. Quest’anno l’appuntamento è stato piuttosto rilevante, perché si è discusso e approvato il cruciale XIV piano quinquennale, progetto economico che porterà la Cina nel terzo decennio del XXI secolo da protagonista. Per ottenere questo risultato Xi Jinping – il leader più forte della Cina dai tempi di Mao Zedong – deve affrontare una doppia sfida: superare il collo di bottiglia demografico e portare fuori il gigante economico dall’era del carbonio.
Non sono sfide da poco. La Cina col suo miliardo e quattrocento milioni di abitanti esce dalla pandemia Covid-19, secondo molti osservatori, rafforzata. Il suo Pil nel 2020 è cresciuto “solo” del 2,3%, la performance peggiore degli ultimi trent’anni. Ma Pechino è l’unica grande economia mondiale a essersi mantenuta in territorio positivo nell’annus horribilis del Covid. E le stime di crescita per l’inizio del 2021 confermano questo andamento. Secondo i dati dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse), nel primo trimestre di quest’anno il Pil crescerà tra il 15 e il 20% su base annua. Certo, nel primo trimestre dello scorso anno la Cina era in lockdown totale. Comunque Pechino ha posto come obiettivo di crescita per il 2021 almeno il 6% e l’Ocse ritiene che questo obiettivo sia a portata di mano.
Oltre il Pil, la lotta alla povertà
Ma il Pil, come sappiamo, è un indicatore spesso fuorviante e piuttosto grezzo. Non entra nel dettaglio di quali settori della società e quali comparti produttivi siano in crescita, quali in declino. Né spiega quali siano le criticità che un’economia articolata come quella cinese si trova a dover affrontare. Per capire questi aspetti, bisogna rivolgersi ad altri numeri, ad altri dati. La Cina ha rivendicato, con la fine del XIII piano quinquennale, la sconfitta della povertà estrema. Xi nel 2013 aveva posto questo preciso termine: eliminarla entro il 2020 sarebbe la pietra miliare sulla strada che deve portare la Cina fuori dalla definizione di paese in via di sviluppo per farla entrare in quella di paese a medio reddito. Il 25 febbraio scorso il presidente ha solennemente dichiarato che l’obiettivo era stato raggiunto: quasi cento milioni di persone sono state portate al di sopra della linea di povertà estrema, tirata a un reddito annuale di quattromila yuan (515 euro). Come è stato raggiunto questo risultato? Per capirlo bisogna entrare nelle dinamiche di governo cinesi. Ma di certo ci sono quattro aspetti che possono essere evidenziati.
In primo luogo, lo sradicamento della povertà è stato inquadrato come priorità da parte del governo e inserito in una campagna di lungo periodo. Nel 1990 le persone sotto il livello di povertà assoluta erano 440 milioni, nel 2013 erano già scese a 250 milioni. Per percorrere l’ultimo miglio, si è invocata una mobilitazione nazionale. In secondo luogo, ha inciso la responsabilizzazione delle amministrazioni locali. Se in passato queste venivano valutate dal centro in base al Pil, ora il parametro di valutazione è diventato la capacità di alleviare la povertà estrema. Però le amministrazioni non sono state lasciate sole e, a questo scopo, sono arrivate dal centro massicce quantità di aiuti economici. La terza leva è stata una capacità di individuare le persone che hanno bisogno di aiuto, impressionante per un paese che ha quasi un miliardo e mezzo di abitanti. Si è creato un database nazionale della povertà, che ha censito tutte le famiglie bisognose di aiuto per dar vita a interventi mirati. Quarto punto, non ultimo per importanza, è stato il fatto che la mobilitazione nazionale non si è limitata alle amministrazioni pubbliche. Ad aziende, fondazioni, banche, organizzazioni non governative è stato chiesto di contribuire. E non in maniera simbolica ma sostanziale: il gruppo Alibaba, per esempio, ha riversato in un fondo per alleviare la povertà estrema qualcosa come un miliardo di euro.
Nascite in calo, i timori di Xi
Si è mossa insomma una grande macchina che dimostra come la Cina sia in grado di fare sistema, ottenendo un risultato storico. Ma, nello stesso tempo, ai vertici di Pechino sono chiare anche le sfide e le fragilità che dovranno affrontare nei prossimi anni. Un rapporto dell’Accademia cinese di scienze sociali, lo scorso anno, ha lanciato un pesante allarme in relazione all’andamento demografico. Dopo oltre tre decenni di politica del figlio unico introdotta per contenere l’esplosiva crescita della popolazione, nell’era Xi si è gradualmente allentato il vincolo e, dal 2016, per tutte le famiglie è possibile avere due figli. Ma tutto questo non ha funzionato, non c’è stato un nuovo baby boom e i ricercatori dell’accademia hanno stimato che dal 2027 la popolazione cinese comincerà a calare. Attualmente il tasso di fertilità è di 1,6 bambini per donna, più dell’1,18 tenuto tra il 2010 e il 2018, ma ben lontano dal 2,1 richiesto per mantenere gli attuali livelli di popolazione ed evitare un invecchiamento eccessivo. Negli ultimi anni sono nati pochi bambini e ancor meno bambine che sono, ovviamente, cruciali in ogni politica demografica. Questo crea ovviamente dubbi importanti sulla tenuta del sistema pensionistico e di welfare della Cina.
Decarbonizzazione, gli obiettivi di Pechino
L’altra grande criticità da affrontare è quella ambientale. La Cina è oggi il paese che emette più anidride carbonica al mondo. Uno studio del 2019 stabilì che un taglio delle emissioni di gas del 60% farebbe risparmiare al paese qualcosa come 330mila morti premature. Questo dà l’idea di quale sia il peso sul sistema sanitario cinese delle patologie connesse all’inquinamento. Xi Jinping ha impegnato il paese alla neutralità carbonica entro il 2060, dopo che le emissioni raggiungeranno il loro picco nel 2030. E per ottenere questo risultato deve mobilitare una campagna di portata non inferiore a quella contro la povertà estrema. Punta di diamante deve essere il settore tecnologico e la ricerca e lo sviluppo. Nel XIV piano quinquennale è stato posto un obiettivo di incremento annuo per ricerca e sviluppo del 7%, un taglio delle emissioni carboniche del 18 e del consumo di energia del 13,5% per unità di Pil, e un’espansione della superficie a foresta del 24,1%.
Anche questi sono obiettivi ambiziosi, ma la chiave rimane quella utilizzata per la guerra alla povertà: una grande mobilitazione nazionale in una cornice immutata di rigida direzione dal centro, che vede lo stesso Xi saldamente al timone, senza che si intraveda all’orizzonte un cambio della guardia.