Che tristezza per “io sono Giorgia, io sono madre, io sono italiana”, essere costretta ad accettare le impuntature dell’animatore delle giornate del Papeete. La capitolazione non è un segnale di vitalità. Farsi sopraffare da un ministro, che ha come modello di vita sociale i “drughi” di Arancia meccanica, sempre alla ricerca della “beneamata violenza”: s’intende, per difendere l’ordine costituito e la supremazia della razza italica.
Che importa se poi è una violenza di Stato che nega i diritti delle persone, che distrugge l’umanità e l’etica di un popolo. I nemici sono loro, gli immigrati. Come se ormai il dover riconoscere che servano braccia, lavoratori, operai, pastori, badanti, raccoglitori di pomodori, di uva, di prodotti della terra – forse mezzo milione in cinque anni – rappresenti un’ammissione d’impotenza. Servono, gli immigrati, ma per loro è una iattura. Hanno paura, questa è la verità, di rimanere soli, di non poter far superare quel blocco per cui il rapporto tra nascite e morti non sia favorevole alle seconde. Tra nascite e morti, c’è un saldo negativo che aumenta da decenni – ma l’importante è fare guerra agli invasori.
Ieri, a Cutro, il governo per la prima volta ha mostrato la sua impotenza, la sua incapacità di governare. Potranno ancora andare avanti, tronfi di avere i numeri. Ma non hanno l’intelligenza e la cultura per capire il Paese, per guidare un processo di trasformazione economica, produttiva, culturale.
Che tristezza, nelle aule segrete del comune di Cutro, il picconatore Salvini si è impuntato, mettendo in difficoltà Meloni che, fino a quando può, tira la corda attenta a non romperla.
Nelle bozze del decreto legge approvato ieri sera, per esempio, c’era nei fatti l’esautoramento dei ministri Piantedosi e Salvini, avendo deciso di lasciare alla Marina militare – cioè al fido ministro della Difesa, Guido Crosetto – il compito di coordinare la presenza in mare dei nostri mezzi e anche delle Ong. Per scegliere tra operazioni di polizia e operazione di soccorso in mare. Con l’obiettivo di non fare vittime. E invece il braccio di ferro del ministro Salvini ha avuto la meglio. Il capitolo Crosetto è stato accantonato.
Non è chiaro se la proposta iniziale di raddoppiare il tempo di detenzione degli irregolari nei centri di permanenza per i rimpatri sia passato da tre a sei mesi. Dovremo leggere il testo sulla “Gazzetta ufficiale” per saperlo. Di certo, si sono accelerate le espulsioni a seguito di condanne, non prevedendo la necessaria convalida del giudice.
Mezzo milione di braccia in tre anni. In un Paese in cui i diritti vengono calpestati, immaginate che accoglienza avranno questi lavoratori stagionali. Davvero ci vorrebbero sindacati vigili e solidali per tutelare le condizioni di lavoro e i salari di questi lavoratori.
Li prenderemo in ogni parte del globo – ha urlato la Giovanna d’Arco che ha dichiarato guerra agli infedeli scafisti. Sarebbe stato sufficiente non fare affogare almeno settantadue povere vite in fuga dai talebani e dalle guerre maledette del nuovo millennio, per essere a posto con la propria coscienza. Bastava ripristinare i vecchi protocolli scritti con il sale del mare, il sudore dei marinai, la paura dei migranti. Innanzitutto, per salvare vite. E invece questo clima confonde operazioni di polizia con operazioni di salvataggio.
Dispiace, addolora, lascia sgomenti la nota del Comando generale della Guardia costiera che – dopo avere ricevuto da Frontex la segnalazione del caicco turco – comunica alla Capitaneria di porto di Reggio Calabria che non si tratta di un problema di immigrazione. Ma certo non era un fantasma che si lasciava accarezzare dalle onde di un mare che, con il passare del tempo, si ingrossava sempre più. Ma com’è possibile che una imbarcazione della Finanza sia tornata indietro per via del mare minaccioso, e che questo non abbia fatto scattare l’allarme per andare a prestare soccorso al caicco turco? Non è possibile rimuginare sulla ricostruzione della tragedia senza accusare il clima che si respira con il governo Meloni, sempre più mandante di questa strage.
Non è la prima volta che accade. Sono almeno trent’anni che piangiamo le tragedie in mare di immigrati affogati, affondati, trattati come merce proibita. Tutti i governi che si sono succeduti – da Berlusconi a D’Alema, da Prodi a Monti – dovrebbero riconoscere che sull’immigrazione sono stati insufficienti, se non complici.