È orribile il sospetto che non siano partiti i soccorsi in mare per salvare vite umane a causa di una scelta politica, di direttiva politica. Con l’aria che tira, la procura di Crotone avrà il coraggio di far venir fuori gli scheletri dall’armadio, di individuare le responsabilità dell’omesso soccorso in mare? La tragedia di Cutro non può essere archiviata con l’arresto di tre presunti scafisti. Il sospetto che si sia accettato consapevolmente il rischio della tragedia deve essere subito diradato. Oggi il capo dello Stato è andato a Crotone per riaffermare il nobile sentimento di dolore per le vittime, ma anche l’impegno dell’Italia a salvare vittime di guerra, di violenze, miseria, e ad accogliere i “dannati della terra”, in un quadro di condivisione con l’Europa. Non è però il tempo di recriminare contro un’Europa egoista e tartaruga, che non ha mai condiviso del tutto la decisione che ogni Paese si debba fare carico di una quota di migranti. Ci sarà occasione per riparlarne.
Torniamo a Cutro. Torniamo indietro girando il nastro degli eventi. Proviamo a capire cosa è successo. Se è vero che la direttiva dell’accoppiata indecente Salvini-Piantedosi sia responsabile di una strage che si poteva evitare.
Premessa. Al Dipartimento Diritti umani e immigrazione del ministero degli Interni, dal 2015, esiste una cabina di regia (Ncc) sotto le dipendenze del Viminale, con ufficiali di collegamento della Guardia di finanza e della Guardia costiera, che interviene laddove si registra un evento migratorio. È questa cabina di regia che, a partire dal 2019 (ministro dell’Interno Matteo Salvini), determina la natura dell’evento, sempre con il visto del ministro responsabile. Nel caso, l’Ncc decide quale sia il porto in cui debbano essere sbarcati i migranti.
Alle 4,57 Utc, 5,57 ore italiane, di sabato 25 febbraio, la centrale operativa del comando generale della Guardia costiera dirama un “messaggio per un soccorso nel mar Ionio”. Un messaggio a tutte le navi mercantili che navigano in quel mare, con l’indicazione di rafforzare il servizio vedette e di riportare indicazioni su ogni imbarcazione che viene avvistata, su ogni evento particolare di navigazione.
Alle 22,30, sempre di sabato, un velivolo di Frontex, Aquila 1, intercetta una imbarcazione. C’è un segnale inequivocabile di un cellulare turco a bordo. L’imbarcazione viene fotografata e la foto spedita a Varsavia, sede di Frontex, e a Pratica di Mare, sede del punto di contatto nazionale per Frontex. C’è anche un nucleo della Guardia costiera, oltre ai padroni di casa, la Guardia di finanza.
La foto racconta di una linea di galleggiamento del natante bassa, il che significa che trasporta molte vite umane, che è sovraffollata, come dimostra anche la traccia di impronta di calore. La Guardia di finanza si fa trasmettere da Varsavia l’Imei (identificativo) del cellulare turco. In questo modo, si può tracciare il cellulare e quindi localizzare subito l’imbarcazione.
Sono le 00,30 di domenica quando due pattugliatori della Finanza escono in mare. Sono mezzi potenti, ma dopo un’ora rientrano in porto per le avverse condizioni meteo marine. Davvero proibitive le condizioni del mare? Secondo la Guardia costiera il mare era forza 4 e non 7, e comunque i natanti della Finanza o della Guardia Costiera possono navigare anche con il mare forza 8. E poi se il caicco turco, con duecento migranti a bordo e un motore di cinquanta cavalli, ha navigato con onde di due metri perché i pattugliatori della Finanza sono rientrati in porto? Secondo fonti interne dei corpi di polizia, in realtà, la missione era partita come operazione di polizia e non di soccorso. Certo, non dovrebbe essere così per il semplice fatto che le operazioni di polizia avvengono entro le 24 miglia da terra e non le 40 miglia, la distanza del caicco turco. Comunque, rientrati i due pattugliatori della Finanza, la Capitaneria di porto di Crotone allerta tre motovedette, ma non le fa uscire forse perché ritiene ancora in vigore la direttiva che si tratti di un’operazione di polizia? O perché manca la localizzazione del caicco partito dalla Turchia? Ma è vero che il cellulare turco dava ancora segnali di vita? È vero che, a un certo punto, era chiaro che il natante si trovasse a poche miglia da Cutro?
Alle 4,30 di lunedì mattina, probabilmente, una pattuglia dei carabinieri telefona alla Guardia costiera avvertendo che c’erano corpi spiaggiati, altri in mare e – a un centinaio di metri – un’imbarcazione in difficoltà. Si tiene un vertice in prefettura, forse con la finalità di organizzare il rintraccio dei superstiti a terra. Ma è solo a quel punto che le motovedette per il soccorso in mare escono dal porto.
Le varie autorità chiamate in causa giocano a scaricabarile con le responsabilità. Afferma l’articolo 69 del codice della navigazione: “L’autorità marittima, che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio o di altri sinistri, deve immediatamente provvedere al soccorso, e, quando non abbia a disposizione né possa procurarsi i mezzi necessari, deve darne avviso alle altre autorità che possano utilmente intervenire”. Quindi, nel momento in cui l’autorità è in possesso degli elementi che devono anche prudenzialmente far ritenere che possa sussistere una situazione di pericolo, deve provvedere, non foss’altro che per acquisire ulteriori informazioni. Scrive il gip nel provvedimento di arresto di tre presunti scafisti: “In attesa dell’atteso e osannato turismo croceristico, l’Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni”.
Soluzione finale, una punizione crudele. È questo l’obiettivo del governo di destra. Come non vedere un nesso con la decisione di punire le Ong facendo sbarcare i sopravvissuti nei porti romagnoli? Costringendole a tre, quattro giorni di navigazione in più, per tornare a pattugliare le acque libiche? I migranti soccorsi dalle Ong furono il 41% degli sbarcati nel 2017, nel 2022 sono stati appena l’11%. E gli sbarchi senza Ong sono aumentati, oggi, fino a 42.641 a fronte dei 21.447 dello stesso periodo dello scorso anno.