Prima o poi i nodi vengono al pettine. Indesiderata, sottovalutata e in parte imprevista, lo ha ricordato la tornata elettorale tenutasi a Berlino, che ha portato lo scompiglio nella politica tedesca. Le elezioni svoltesi nello scorso fine settimana sono la ripetizione di quelle del 2021, annullate per una serie di pasticci e di errori organizzativi. Due anni fa, moltissimi elettori non erano riusciti a votare per la irregolarità di alcuni certificati elettorali e per le code interminabili ai seggi. C’erano stati, pare, anche difformità negli orari di chiusura ed errori nel conteggio dei voti. Così la Corte suprema costituzionale tedesca ha deciso di annullare la tornata del 2021, e ha imposto la ripetizione del voto.
Gli esiti sono stati sorprendenti: per la prima volta, dopo ventidue anni di predominio, i socialdemocratici non sono più il primo partito della città, sopravanzati dai cristiano-democratici, guidati da una figura politica abile e di rilievo come Kai Wegner, che ha condotto una campagna elettorale estremamente aggressiva, basata su parole d’ordine semplificate, mirata principalmente a conquistare voti al di fuori dei tradizionali feudi del partito situati nelle zone residenziali, andando a caccia di consensi soprattutto nei quartieri più periferici, dove c’è parecchio scontento per la gestione Spd della città, e facendo proprie, sia pure declinandole a modo suo, tematiche ecologiste non particolarmente congeniali al suo partito. In particolare,Wegner ha insistito sui limiti della dura politica anti-automobili condotta per decenni dalla gestione socialdemocratica della città-Stato, mostrando l’altro volto di un ecologismo integralista, che ha finito per penalizzare poveri e anziani che vivono lontano dal centro e non possono certo pensare di raggiungerlo in bicicletta.
Altra questione calda al centro dello scontro elettorale, di cui abbiamo già parlato in passato (vedi qui), è il mercato immobiliare berlinese. La crescita vertiginosa degli affitti e la mancanza di case popolari a buon prezzo, in una città che attrae giovani da tutto il Paese, ha finito per cancellare la possibilità di trovare casa a prezzi accessibili non solo per chi non ha grandi mezzi, ma anche per i ceti medi.
Tra gli altri motivi di insoddisfazione, la ormai proverbiale lentezza della burocrazia e degli uffici, e la situazione disastrosa del sistema scolastico locale, noto per i suoi edifici vecchi e dissestati, e per alunni che si ritrovano regolarmente agli ultimi posti nelle classifiche nazionali per capacità di lettura, matematica e conoscenze generali.
Al di là di questi aspetti discutibili, Berlino continua a essere una “città globale mancata”, come la definì oltre un decennio fa David Harvey: una realtà urbana anomala, caratterizzata da un’atmosfera pigra e rilassata, da una scena artistica e culturale vibrante, e con una opinione pubblica attenta e polemica, come ha mostrato tutta la vicenda del referendum sull’esproprio di una parte del patrimonio delle grandi immobiliari. E il messaggio che manda la tornata elettorale appena conclusasi è significativo. Dalle urne è uscito un verdetto chiaro: i cristiano-democratici hanno stravinto, staccando di dieci punti socialdemocratici e verdi, appaiati al 18% dei consensi. In lieve calo la Linke, a confermare il trend che ormai da tempo accompagna il declino del partito; ridimensionata l’estrema destra della AfD; e soprattutto emerge un preoccupante risultato dei liberali, terzo partito della coalizione “semaforo” attualmente al governo, che non hanno superato lo sbarramento del 5% conseguendo solo il 4,6.
Nonostante i risultati piuttosto netti, non è comunque chiaro chi guiderà ora il governo cittadino. Pur riconoscendo la sconfitta, la sindaca uscente – Franziska Giffey della Spd, politica navigata, già ministra della famiglia nel governo Merkel – ha chiarito che il suo obiettivo è rimanere al timone: “Se avremo la possibilità di guidare un’alleanza cercheremo anche di organizzare una maggioranza politica stabile”. In effetti, i partiti della coalizione “semaforo” insieme fanno ancora il 57%, e avrebbero i numeri per restare in sella. Il risultato ha però scatenato un gioco delle parti, in cui ognuno dei partiti cerca di approfittare della situazione confusa che si è venuta a creare per ottenere dei vantaggi. La lotta si fa serrata: se la Giffey non esclude la possibilità di una Grosse Koalition con i cristiano-democratici, la candidata dei verdi, Bettina Jarasch, potrebbe cogliere l’occasione per rivendicare per sé la carica di sindaca, e ottenere un ruolo di primo piano all’interno della possibile futura coalizione. Anche la Jarasch non ha comunque escluso la formazione di un governo con la Cdu, spiegando che il suo partito è pronto e aperto a condurre serie trattative, a patto che i cristiano-democratici siano disposti a fare “forti concessioni” in tema soprattutto di ambiente e mobilità. La prospettiva di una coalizione verde-nera appare però remota, dato che la federazione berlinese dei verdi è una delle più a sinistra. Ma scalpita soprattutto Kai Wegner, che ha detto senza mezzi termini che il suo partito ha ottenuto un “chiaro mandato di governo”, e inizierà i colloqui esplorativi con le altre forze politiche quanto prima. Olaf Scholz ha intanto confermato tutto il suo appoggio alla sindaca uscente Giffey, ed è facile pensare che non gli piaccia la prospettiva di perdere il governo della capitale.
I giornali tedeschi e gli analisti politici sono piuttosto concordi nell’attribuire la sconfitta della Spd, che a Berlino ha sempre avuto un grande consenso, a un’amministrazione fattasi negli ultimi anni poco efficace e scarsamente incisiva rispetto ai problemi cui si accennava: l’aumento degli affitti in città, la cattiva condizione degli edifici scolastici e l’arretratezza dei trasporti pubblici. Si è trattato, però, anche di un test per il cancelliere Scholz, la cui popolarità sembra essere in calo anche a causa della risposta, secondo molti tentennante e indecisa, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. “Scholzern” è diventato un neologismo diffusissimo per dire esitare, temporeggiare.
Certo, il risultato elettorale fa risuonare una chiara campana d’allarme per la coalizione “semaforo”, che finora è rimasta abbastanza compatta, nonostante le divergenze a volte aspre sulla posizione da tenere sul conflitto russo-ucraino. A minare la compattezza dell’esecutivo, anche il risultato mediocrissimo dei liberali, che conoscono un secondo scacco consecutivo dopo le elezioni in Bassa Sassonia dell’ottobre scorso, in cui pure sono rimasti fuori dal parlamento regionale. Il ripetersi di questi insuccessi potrebbe spingere il leader del partito e ministro delle Finanze, Christian Lindner, a recuperare consensi rendendo più rigida la sua posizione nella coalizione di governo, in particolare per quanto riguarda il rigore budgetario e la riduzione della spesa pubblica.
In ogni caso, a prescindere dalla dimensione locale, che con i suoi complessi problemi ha giocato un ruolo importante, l’esito della tornata elettorale berlinese rappresenta un esame importante per la coalizione di governo, e la dice lunga sugli umori e sul disorientamento che regnano nel Paese, in cui comincia forse a prospettarsi una svolta in senso moderato dell’elettorato, quale conseguenza dell’azione congiunta di guerra e inflazione. Tutti i partiti della coalizione governativa perdono voti rispetto al 2021, mentre la vittoria della Cdu rischia di portare acqua al mulino del nuovo uomo forte della destra tedesca, il miliardario Friedrich Merz che, sulla base di questo largo successo del suo partito, si prepara con un certo ottimismo ad affrontare la serie di elezioni regionali previste per quest’anno, prima di provare l’assalto alla cancelleria nel 2025.