
Il responso lo avremo tra poco più di un mese. Il problema è il raggiungimento del quorum. Dopo la bocciatura del voto sull’autonomia differenziata delle Regioni da parte della Consulta (a gennaio), ora in ballo ci sono cinque referendum che parlano di lavoro e cittadinanza. Il voto è previsto per domenica 8 giugno (dalle 7 alle 23) e lunedì 9 giugno (dalle 7 alle 15) ed è stato abbinato al rinnovo di alcune amministrazioni locali. Ma per essere validi i referendum dovranno raccogliere la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto. Tradotto in numeri assoluti, parliamo di circa ventisei milioni di elettori, se si considerano anche gli italiani all’estero. In un’Italia che da anni ha perso il gusto democratico della partecipazione la scommessa appare più che altro una missione impossibile. Ma potrebbero esserci delle sorprese.
Ne è convinto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che in questa “competizione” ci ha messo la faccia e ha vinto la battaglia interna al sindacato, dove inizialmente si erano confrontati due partiti: quello deciso a combattere contro la precarietà del lavoro chiedendo la cancellazione definitiva del Jobs Act di Renzi (che nel corso degli anni è stato già molto ridimensionato) e quello della prudenza: all’interno della Cgil erano stati in molti a ricordare le sconfitte storiche sul piano dei referendum, che sono sempre stati una insidiosa arma a doppio taglio. A partire, ovviamente, dalla sconfitta storica sulla scala mobile.
Poi però ha vinto il partito della grande scommessa e – da quello che ci raccontano i sindacalisti Cgil che stanno partecipando alla campagna nazionale – si riscontra una crescita dell’ottimismo. La voglia di combattere, dicono, c’è tutta. E i lavoratori che partecipano alle varie assemblee si mostrano molto più convinti di quello che ci si poteva aspettare alla vigilia. In una situazione di grande difficoltà del movimento sindacale italiano, e di pressione costante del ricatto occupazionale e salariale, le scelte concrete di chi lavora oggi non sono affatto scontate, come d’altra parte si è visto nelle ultime tornate elettorali, durante le quali è cresciuto il numero dei lavoratori che votano contro i propri interessi, scegliendo partiti e leader che lavorano apertamente per l’aumento delle diseguaglianze e la crescita delle ingiustizie sociali. Per non parlare poi di quello che abbiamo visto con la rielezione del tycoon americano.
Nonostante questo quadro politico sconfortante e nonostante la disaffezione politica ormai certificata, per Landini “ci sono tutte le condizioni per raggiungere il quorum”. “Certamente – ammette il leader sindacale – non è facile in un Paese dove ormai metà degli elettori non va a votare. Ma questo è un voto che non delega, ma consente di decidere direttamente”. Lo ha dichiarato in una recente intervista al “Corriere della sera”. L’argomento forte riguarda gli effetti del voto referendario perché “in caso di vittoria, il giorno dopo, due milioni e mezzo di persone otterranno la cittadinanza italiana, i lavoratori delle aziende con più di quindici dipendenti riavranno tutti l’articolo 18 contro i licenziamenti, e si estenderà alle imprese appaltatrici la responsabilità in caso di incidenti sui lavori appaltati”.
Secondo il segretario generale, non ci si può voltare dall’altra parte e rinunciare a un’occasione così importante. Sarebbe clamoroso che, anche tra i partiti della sinistra o comunque schierati oggi all’opposizione, ci fosse chi preferisca l’appello ad andare al mare. Saremmo di fronte, per Landini, a “un vero e proprio attacco alla democrazia”. E su questa posizione ha incassato il consenso del Pd, dei 5 Stelle e dell’Alleanza verdi-sinistra. Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli hanno infatti incontrato la delegazione Cgil e hanno confermato la volontà di spingere i propri elettori ad andare a votare l’8 e il 9 giugno. La Cgil ha voluto parlare con tutti i partiti di opposizione, Italia viva compresa, ma ha ricevuto un no all’invito a discutere solo dai partiti di governo. E questa ovviamente non è una notizia.
Dal punto di vista dei contenuti, i punti essenziali della contesa riguardano le garanzie universali per i lavoratori (a prescindere dal loro status) e l’allargamento della cittadinanza per gli immigrati in Italia. Sul lavoro l’obiettivo principale riguarda l’eliminazione della “disparità di trattamento tra i lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015 in caso di licenziamento illegittimo”. Oggi, chi è stato assunto prima di quella data può essere reintegrato, mentre chi è stato assunto dopo ha diritto solo a un indennizzo. L’abrogazione del decreto legislativo n. 23/2015 garantirebbe a tutti lo stesso livello di tutela previsto dalla precedente legge Fornero. Con i referendum di giugno, si chiede quindi l’applicazione delle stesse tutele a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla data di assunzione, reintegro nei casi di licenziamento disciplinare illegittimo, maggiore tutela nei licenziamenti collettivi, aumento dell’indennizzo minimo nei casi in cui la reintegra non è prevista. Attualmente, nelle piccole imprese (con meno di sedici dipendenti), il risarcimento massimo per un licenziamento illegittimo è limitato a sei mensilità. Il quesito referendario propone di eliminare questo tetto, permettendo ai giudici di calcolare il risarcimento in base al danno effettivo subìto dal lavoratore. Un altro punto molto importante riguarda la sicurezza sul lavoro. In caso di incidenti sul lavoro, dovuti a carenze di sicurezza negli appalti, la responsabilità del committente è limitata solo ai rischi “generici” e non a quelli “specifici” dell’appaltatore. Il quesito referendario mira invece a rendere sempre responsabile il committente, permettendo ai lavoratori e alle loro famiglie di ottenere un risarcimento diretto. L’obiettivo è quello di evitare che i lavoratori e le loro famiglie restino senza risarcimento in caso di gravi incidenti, ma nello stesso tempo si impone ai grandi committenti di vigilare sulla sicurezza nei cantieri e negli appalti.
L’altro grande capitolo (spesso trascurato nell’informazione sui referendum) riguarda la cittadinanza. L’obiettivo – spiegano i promotori del referendum – è quello di modificare le leggi relative all’acquisizione della cittadinanza italiana, rendendola più accessibile a coloro che, pur vivendo in Italia da lungo tempo, non riescono a ottenerla per via dei rigidi requisiti attualmente in vigore. Si richiede, nello specifico, la riduzione del periodo di residenza legale continuativa necessario per richiedere la cittadinanza: da dieci a cinque anni. Con una nuova legge la cittadinanza, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai figli minorenni e l’Italia si allineerebbe ai maggiori Paesi europei.
Sono temi che interessano gli elettori italiani? Sarà sufficiente l’importanza politica delle questioni proposte a spingere cittadini e cittadine alle urne? Lo verificheremo all’inizio di giugno. Ma intanto un piccolo risultato, per chi ha promosso questa grande scommessa, è stato già ottenuto. Per presentare i referendum e farli marciare sono state raccolte più di cinque milioni di firme. Non è stata una passeggiata, perché ha costretto i sindacalisti a uscire dalle sedi sindacali istituzionali per andare a parlare con i lavoratori nei loro luoghi di lavoro e con tutti i cittadini e cittadine nelle piazze, per spiegare alle persone, che vivono sulla propria pelle le contraddizioni di un sistema basato sulle diseguaglianze e la lotta tra poveri, l’importanza di partecipare nel processo di costruzione e verifica delle leggi. Si è riaffacciata l’idea del “sindacato di strada”, che non si accontenta di ricorrere all’arma dello sciopero e alla mobilitazione di piazza, ma vuole dialogare con tutti coloro che “per vivere sono obbligati a lavorare”, per cercare di costruire alternative concrete. E nonostante le evidenti spaccature all’interno delle confederazioni sindacali (vedi la rottura con la Cisl), dialogare soprattutto con quel mondo cattolico che ha seguito papa Francesco sulla via della “Chiesa dei poveri”.