
L’istoría è legata in origine al verbo greco “vedere”, e significa “indagare”, ricercare per tramandare gli avvenimenti degli esseri umani in modo che non se ne perda la memoria. Una porta privilegiata per entrare nella storia è leggerla attraverso le vite degli altri: le biografie sono un genere letterario affascinante. Di recente abbiamo ascoltato la storia di Andra Bucci. La sua è stata una vita a dir poco complicata: la deportazione ad Auschwitz, quando aveva quattro anni e mezzo, la separazione dalla madre, lo sterminio dei nonni, degli zii, dei cugini, una peregrinazione per l’Europa, da Praga a Londra, dopo la fine della guerra, la sorpresa di ritrovare la madre ancora viva quando ormai aveva otto anni. Il ritorno a Trieste, in un mondo che non voleva né sapere né ricordare. Andra e sua sorella Tatiana si salvarono perché erano alte uguali e vestite con lo stesso cappottino. Vennero scambiate per gemelle e portate nelle baracche in cui venivano tenuti i bambini che servivano agli esperimenti del dottor Mengele. Ad Auschwitz-Birkenau entrarono 232mila bambini sotto i dodici anni, ne sopravvissero non più di cinquanta.
Questa è una memoria che deve tenersi viva, un vaccino capace di rafforzare i nostri anticorpi per consentirci di riconoscere e non sottovalutare i pericoli del nostro tempo, come i rigurgiti nazifascisti, con i saluti romani o quei simboli, per esempio le svastiche, che troppo spesso tornano a imbrattare lapidi e monumenti; la memoria ci consente di impedire che trovino terreno fertile i vergognosi tentativi di riscrivere o negare quella storia.
Sapere, poi, che in passato è già esistito un mondo ricco, potente, chiuso nei propri confini, mentre masse di poveri cercavano di entrarvi, aiuta a comprendere meglio il presente. Era l’Impero romano. Di fronte a simili pressioni migratorie, l’Impero però non chiuse le frontiere, permettendo l’ingresso di nuovi popoli. Per secoli Roma accolse gli immigrati, integrandoli con regole precise, mantenendo le promesse fatte e chiedendo in cambio il rispetto delle leggi. Questo approccio funzionò, finché l’amministrazione fu in grado di gestire la situazione in modo coerente. Quando ciò non fu più possibile, le conseguenze furono disastrose.
Chi osserva solo una parte di questa vicenda può usarla per sostenere tesi politiche opposte. Lo storico vede invece nella complessità storica un’occasione per apprendere. Un esempio plastico ce lo fornisce la recente estrapolazione, a uso politico, di alcune frasi del “Manifesto di Ventotene”. Il testo in questione è ovviamente datato (come lo è qualsiasi testo storico), e solo collocandolo nel suo tempo si comprendono i significati dei vari passaggi. Evitare le semplificazioni è di fondamentale importanza, poiché consente di comprendere i valori e le istituzioni attuali, inserendoli in un contesto storico e culturale più ampio. Ritenere che ci siano elementi immutabili è diverso dal riconoscere il percorso che ha trasformato un evento nel tempo. Solo attraverso questa consapevolezza è possibile sviluppare un pensiero critico e una visione articolata della realtà.
Sul terreno dell’insegnamento della storia si gioca quindi una partita fondamentale, relativa alla nostra idea non solo di passato e di presente ma anche di futuro. Leggendo le recenti indicazioni, emanate dal ministero dell’Istruzione, emerge invece una preoccupante tendenza a una chiusura culturale, che rischia di isolare l’Italia dal contesto globale. Le linee guida sembrano volere privilegiare un approccio che si concentra esclusivamente sui momenti storici che definiscono la tradizione italiana, proponendo un modello di comprensione storica che riflette una visione riduttivamente eurocentrica. Non solo, viene riproposta un’idea di superiorità culturale che sembra incompatibile con la visione di un mondo interconnesso, multiculturale e globalizzato. Alla base di tale proposta si intravede l’idea di una superiorità indiscutibile della storia occidentale rispetto a quella degli altri popoli. La definizione di “Occidente”, del resto, è sfumata e vaga. Il passo a pagina 69 recita: “Solo l’Occidente conosce la Storia. Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia”. Si trascura l’importanza di un approccio inclusivo, aperto alla pluralità, che consideri le diverse tradizioni culturali e i differenti percorsi storici.
In questo scenario, è significativo riprendere il pensiero di Antonio Gramsci dei Quaderni del carcere. Già nei primi decenni del Novecento, Gramsci sottolineava la necessità di “sprovincializzare” l’Italia, auspicando un’apertura verso le altre culture e storie nazionali per superare una visione limitata e chiusa. Anziché continuare a porre l’accento, esclusivamente, sulla storia occidentale, sarebbe utile ampliare la prospettiva degli studi storici, inserendo la storia italiana nel contesto globale. L’obiettivo non è soltanto quello di arricchire la formazione culturale degli studenti, è anche quello di rispondere a una realtà sociale sempre più segnata dalla presenza di giovani con retroterra diasporici, appartenenti a culture differenti. L’invito a considerare le altre storie, a promuovere il dialogo interculturale, è fondamentale per preparare le nuove generazioni.