
Sbagliato pensare che il governo italiano, dominato dall’estrema destra, non stia facendo granché per rafforzare i poteri dell’esecutivo, e che, dato che la progettata riforma costituzionale riguardante il premierato non passerà, si possano dormire sonni tranquilli. Il decreto legge sulla sicurezza appena controfirmato dal presidente della Repubblica, nonostante non avesse affatto i requisiti di urgenza previsti per un decreto legge, è un esempio di che cosa significhi “svolta autoritaria” (vedi qui i suoi contenuti, addirittura demenziali in taluni casi).
Un altro esempio è quanto sta avvenendo con i centri di detenzione in Albania. Il governo non ha voluto smentirsi: poiché non riusciva a utilizzarli come centri per richiedenti asilo, ha pensato di riciclarli in centri per il rimpatrio. Quei quaranta immigrati là deportati qualche giorno fa, ammanettati in puro stile trumpiano, sono già potenzialmente espulsi dall’Italia: ma non tutti sanno che, per essere rimpatriati, i soggetti devono essere accettati dai loro Paesi d’origine, il che non avviene sempre, anzi neanche troppo spesso, dipende dai rapporti diplomatici che si intrattengono con quei Paesi. In mancanza di una procedura di accettazione, quindi, i deportati saranno riportati in Italia e – a meno che non siano colpiti da procedimenti giudiziari – torneranno liberi. Il nocciolo di tutto ciò non sta né nelle migrazioni né nella lotta contro i “trafficanti” (ognuno sa che questi se ne stanno indisturbati, per la maggior parte, dall’altra parte del Mediterraneo, e che i natanti sono “autogestiti” dagli stessi migranti); sta piuttosto nella pura stupidità dell’autoritarismo, del resto bene impersonata dal ministro degli Interni in carica, Piantedosi, e dall’aspirante ministro degli Interni, Salvini. Se si poteva ancora intravedere una qualche logica di deterrenza nella prima finalità assegnata ai centri in Albania – consistente nel dissuadere dal tentare di arrivare in Italia, perché si sarebbe finiti altrove –, trasportare laggiù delle persone da espellere è una semplice perdita di tempo, oltre che una tortura psicologica per chi vi è sottoposto.
Da quando è cominciata l’ondata nera internazionale che minaccia di sommergerci, i partiti, le associazioni, le cittadine e i cittadini democratici, hanno fatto piuttosto poco per fermarla. Senza contare il caso del Partito democratico nostrano – che l’ha perfino favorita con la sua linea di “larghe intese” e presentandosi alle elezioni del 2022 in una microalleanza già in partenza perdente – non ci sono molti esempi di resilienza o, per meglio dire, di resistenza.
Uno di questi è la Spagna di Sánchez, con il leader socialista che ha scelto di andare a elezioni anticipate per mettere l’elettorato dinanzi a una scelta precisa: volete voi una destra conservatrice alleata all’estrema destra, o la prosecuzione del governo progressista attuale? Pur perdendo dei voti, Sánchez ha vinto la scommessa. Così la Spagna è l’emblema, in Europa, di che cosa occorrerebbe: una politica di sinistra (per dirne una, contro la pantomima protezionistica trumpiana, il governo spagnolo ha subito stanziato una somma per sostenere le proprie imprese) e non avere timore di sfidare in campo aperto le forze reazionarie.
Un altro punto di riferimento è il Brasile di Lula. Qua non si tratta di minacce e posture vagamente autoritarie, ma di una tendenza eversiva vera e propria da parte di un’estrema destra ispiratasi alle imprese dei seguaci di Trump. Nonostante il parlamento sia frammentato in una moltitudine di partiti e partitini, che fanno dei loro rappresentanti una “palude” talvolta in vendita, Bolsonaro per il momento non è riuscito a ottenere alcuna forma di amnistia e resta ineleggibile per avere screditato il sistema elettorale. Inoltre, è stato messo sotto inchiesta per tentativo di colpo di Stato. Si deve in gran parte all’intransigenza costituzionale dei suoi magistrati se il Brasile può dire di avere superato il rischio ben concreto rappresentato da un personaggio “ubuesco” più che pittoresco: ciò che gli Stati Uniti non sono riusciti a fare con il loro Bolsonaro interno. Il Brasile sta mostrando al mondo che fermare l’ondata nera si può, con il semplice ricorso agli strumenti della legalità democratica.
Ora (si parva licet …), nell’attenzione piuttosto scarsa che c’è in Italia circa la questione di un’involuzione autoritaria delle nostre democrazie, si distingue l’iniziativa intrapresa dall’associazione Libertà e giustizia e dalla casa editrice Castelvecchi, quella di un “osservatorio sull’autoritarismo” – coordinato da Daniela Padoan e Cristina Guarnieri –, che intende attivare una task force intellettuale, promuovendo incontri nelle città e nelle università, al fine di evitare che passi inosservata anche soltanto una delle soluzioni antidemocratiche che si vanno delineando. Non è tutto, ovviamente. Occorrerebbero una mobilitazione di massa e la riapertura di un conflitto sociale e politico su ampia scala. Però è un inizio.