
In questi giorni, l’attenzione dei media si è talmente concentrata sulla “guerra dei dazi” che le autentiche guerre, come quella russo-ucraina, sono passate in secondo piano. In particolare, assai poco si sa sugli sviluppi dei negoziati avviati da Trump con Putin, da una parte, e Zelensky dall’altra. Un articolo di Michael Crowley sul “New York Times” di una settimana fa non induce a essere ottimisti. Crowley comincia scrivendo che “il segretario di Stato, Marco Rubio, ha dichiarato che la Russia non ha più tempo per convincere l’amministrazione Trump che intende seriamente raggiungere un accordo di pace con l’Ucraina e che non sta solo prendendo tempo”. Le dichiarazioni di Rubio – prosegue l’articolo – “sono l’ultimo segnale che l’amministrazione Trump sta tornando a condividere un’opinione sostenuta da tempo dall’amministrazione Biden e dallo stesso Rubio quando era senatore della Florida: che il presidente russo Putin non negozia in buona fede. Molti analisti sostengono che il leader russo stia prendendo tempo per sfruttare il suo vantaggio militare e politico”.
Probabilmente, Crowley ha ragione, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo punto: la Russia gode ormai di un indiscutibile vantaggio sul terreno di guerra, e il capovolgimento della politica statunitense, operato da Trump, ha rafforzato anche la sua posizione politica. Stando così le cose, alla domanda posta nel titolo, si può dare solo questa risposta: le trattative sono a un punto morto; e si può aggiungere: non si sa come e, soprattutto, se potranno proseguire. Detto questo, chi è sinceramente interessato alle prospettive, se non di pace, almeno di una tregua possibilmente di lunga durata, non può non porsi un’altra domanda, ossia se tali prospettive esistano ancora e quali possano essere.
È necessario ripartire dal fallimento dei negoziati di tre anni fa in Turchia. Ora, almeno in Italia e dopo la riuscita manifestazione di sabato 5 aprile, a Roma, di questo fallimento si è tornati a discutere, il più delle volte con toni semplicistici e faciloni, da una parte e dall’altra. Alcuni, infatti, continuano a sostenere che un accordo era già concluso, quando Biden e, soprattutto, l’allora premier britannico Boris Johnson, hanno indotto Zelensky a ritirarsi dalle trattative; dal fronte opposto, si ribatte che questa ricostruzione è una bufala, e che Putin non aveva nessuna intenzione di giungere a un accordo. Come abbiamo già ricordato su “terzogiornale” (vedi qui), una ricostruzione attendibile di quei negoziati e del loro fallimento si può trovare in un articolo della rivista “Foreign Affairs” (del 16/4/2024) e in uno del “New York Times” (del 15/6/2024), che conviene ancora una volta riassumere.
La bozza di accordo prevedeva la rinuncia dell’Ucraina a entrare nella Nato (mentre le si lasciava la possibilità di aderire all’Unione europea), l’accantonamento della questione Crimea e una maggiore tutela della popolazione russofona, in cambio della garanzia contro possibili future invasioni, fornita da un gruppo di Stati, formato da Stati uniti, Gran Bretagna, Turchia e altri (tra cui l’Italia), e, inoltre, dalla Russia. È su questo punto fondamentale che non si è trovato l’accordo, perché la Russia pretendeva che l’eventuale intervento a difesa dell’Ucraina diventasse possibile solo dopo una decisione unanime del gruppo degli Stati garanti: quindi ognuno di loro avrebbe avuto una sorta di diritto di veto. In questo modo la Russia avrebbe potuto nuovamente invadere l’Ucraina e, forte del suo potere di veto, bloccare qualunque iniziativa a sua difesa. Era dunque chiaro che, indipendentemente dalle pressioni di Biden e di Johnson (che comunque ci sono state), Zelensky non poteva accettare un accordo del genere.
Torniamo alla situazione attuale e all’articolo di Crowley, che, a proposito della recente missione dei vertici militari britannici e francesi a Kiev, scrive: “I leader militari francesi e britannici hanno visitato Kiev per discutere di un potenziale dispiegamento di truppe per garantire un cessate il fuoco, comprese le difese aeree e le presenze militari sulla terraferma e in mare, ha detto Zelensky ai giornalisti”. Quindi i colloqui in corso tra militari francesi e britannici, da un lato, e governo ucraino, dall’altro, partirebbero dal presupposto che si arrivi in un qualche modo a un cessate il fuoco, il che appare piuttosto difficile, data la posizione assunta dall’Unione europea, e in particolare dal suo parlamento (vedi qui); ma soprattutto, come scrive ancora Crowley, “il Cremlino afferma che non tollererà la presenza di truppe dei Paesi membri della Nato in Ucraina”.
Stando così le cose, la proposta di Francia e Gran Bretagna (membri della Nato) di farsi garanti di un cessate il fuoco mediante l’invio di proprie truppe in Ucraina sembra fatta apposta per rendere impossibile un cessate il fuoco. Qual è lo scopo di questa palese contraddizione? Forse, il poter tornare ad affermare che “con Putin non si può trattare”, e continuare quindi nell’attuazione del tanto citato motto si vis pacem, para bellum.
Esiste, almeno a livello teorico, qualche possibilità di arrivare a una tregua? Nelle settimane scorse, perfino Giorgia Meloni ha detto qualcosa di sensato (subito dimenticato da tutti, in primo luogo da lei stessa): si potrebbe applicare all’Ucraina l’art. 5 dello statuto della Nato, ma senza farla entrare nell’Alleanza. In altre parole, in caso di un nuovo attacco russo, scatterebbe immediatamente la risposta militare dei Paesi Nato (Stati Uniti compresi, evidentemente), e questo dovrebbe fornire una sufficiente garanzia all’Ucraina. Dall’altro lato, il fatto che l’Ucraina non potrebbe aderire alla Nato impedirebbe l’installazione di basi dell’Alleanza sul suo territorio; e questo potrebbe soddisfare la Russia, per la quale la vera posta in gioco è impedire l’allargamento della Nato alle sue frontiere meridionali (a quelle occidentali c’è già arrivata, con l’adesione della Finlandia, dei Paesi baltici, della Polonia, della Slovacchia, dell’Ungheria e della Romania).
Putin accetterebbe un accordo del genere? Impossibile, ovviamente, dare una risposta (e poi lo accetterebbe Zelensky? supponiamo comunque di sì). Una cosa però è molto probabile: sarebbe stato più facile farglielo accettare tre anni fa, quando la situazione militare gli era molto più sfavorevole rispetto a oggi. Questo non è un buon motivo, però, per non proporlo ora, e vedere quali sono le reali intenzioni dell’autocrate russo. Potrebbero avere ragione coloro che sostengono che qualunque accordo con Putin è impossibile; però è un dato di fatto che, dopo il fallimento dei negoziati di tre anni fa, a quanto si sa, nessun accordo del tipo descritto sopra è stato proposto da parte occidentale, indipendentemente dalla presenza di Biden o di Trump alla Casa Bianca.