
Il prossimo 28 aprile, il Canada si recherà alle urne in un clima politico di conflitto con gli Stati Uniti, da quando, all’inizio del 2025, in occasione del suo insediamento, Donald Trump ha manifestato il desiderio che il Paese diventi il 51° Stato degli Usa. Una rivendicazione che aveva completamente spiazzato il premier del Partito liberale, Justin Trudeau – al governo dal 2015 con il sostegno del Nuovo partito democratico (Npd), fino allo scorso settembre, dopo nove anni di esecutivo conservatore –, abbastanza impopolare, tanto che il suo partito era dato venti punti sotto gli avversari del Partito conservatore (Pcc). Da quel momento però le cose sono cambiate. Se è vero che il premier era stato costretto a dimettersi a causa della decisione del Npd di ritirare il sostegno all’esecutivo, per l’incapacità di fronteggiare l’aumento del costo della vita e il disagio sociale, è altrettanto vero che gli attacchi di Trump hanno spinto la popolazione a solidarizzare con il capo del governo, sia pure dimissionario. A sostituirlo, il più carismatico, oltre che più moderato, Mark Carney, uomo più adatto a fronteggiare le scelte economiche a stelle e a strisce che impongono dazi del 25% alle merci canadesi esportate verso il vicino di casa.
Il nuovo arrivato ha vinto le primarie liberali, il 9 marzo scorso, con un netto 85,9% dei voti, sconfiggendo Chrystia Freeland, ex ministra delle Finanze del governo Trudeau. Il profilo dell’uomo ha spinto Trump a chiamarlo “presidente” e non “governatore” dell’auspicato Stato canadese degli Usa, come aveva invece fatto con Trudeau. Proprio questo approccio sprezzante, del resto, aveva spinto i canadesi a solidarizzare con l’ex premier a scapito del conservatore Pierre Poilievre, uomo simile a Trump, sia politicamente sia come stile comunicativo.
Questo insieme di fattori ha comportato, nei sondaggi dello scorso febbraio, un sorpasso dei liberali nei confronti degli avversari, il che non accadeva dal 2021. A nulla è servito, secondo le previsioni, il tentativo di Poilievre di distanziarsi dalla fraseologia di Trump come Canada first, troppo simile ad America first. “Poilievre – come ci dice il “Post” – è in parlamento dal 2004, ed è leader dei conservatori dal 2022. È stato il politico che più di tutti strumentalizzò le proteste dei camionisti contro l’obbligo vaccinale, che nel 2022 bloccarono per giorni la capitale Ottawa”. Tra le cose che lo accomunano a Trump – aggiunge la testata online –, ci sono i toni populisti che lo spingono a prendere in giro gli avversari affibbiando loro dei nomignoli, e le accuse ai media di diffondere notizie false, con la proposta di togliere i finanziamenti a quelli pubblici.
Somigliare a chi vuole cancellare il Canada come Stato non è certo il modo migliore per vincere le elezioni. L’appuntamento elettorale di fine mese servirà a rinnovare la Camera dei Comuni e la Camera bassa. La legge elettorale prevede un maggioritario secco. Carney, la cui candidatura ha fatto lievitare ancor più i sostegni ai liberali, ha promesso una riduzione della spesa pubblica, senza colpire spese sociali come quelle relative all’edilizia abitativa e alla sanità.
Il nuovo leader liberale è stato l’ottavo governatore della Bank of Canada e il 120esimo governatore della Banca d’Inghilterra. Si è laureato in economia a Harvard e ha conseguito master e dottorato a Oxford. Nato e cresciuto nella regione dell’Alberta, Carney è stato ed è molto attento alle grandi risorse che questa parte del Canada detiene: le sabbie bituminose, da cui si ricava il petrolio, e il gas, entrambe risorse centrali per l’economia locale. Materie prime che però hanno creato grossi problemi ambientali, in una regione in parte occupata dalle Montagne rocciose e ricca di biodiversità.
Le ragioni per cui Trump fantastica del Paese come futuro Stato statunitense risiede proprio nella potenza economica del secondo Paese più grande al mondo, dopo la Russia: il che fa del gigante nordamericano la nona potenza economica mondiale, subito dopo l’Italia, ma con due terzi della popolazione. Per le risorse di cui dispone, le industrie e i servizi, Ottawa ha scambi commerciali soprattutto con gli Stati Uniti (circa il 70%) e con la Cina e la Gran Bretagna. Dopo il Venezuela e l’Arabia saudita, è il terzo produttore di petrolio al mondo, il quarto di gas naturale, il secondo per estrazione di uranio, dopo il Kazakistan, e il sesto di grano. È un Paese molto importante, inoltre, nell’aeronautica, nell’aerospaziale, nell’automotive e nelle telecomunicazioni.
Dicevamo della sfida di Carney che consiste nel tagliare la spesa pubblica. “Le nuove elezioni rappresentano un punto di svolta per il Canada – dice Francesco Amodio, professore associato di Economia presso l’Università McGill, collaboratore dell’Ispi (Istituto studi politica internazionale) – e, per affrontare le sfide economiche, il nuovo governo dovrà considerare riforme strutturali che affrontino le disuguaglianze, migliorino la produttività e riducano il debito pubblico senza compromettere gli obiettivi sociali”.
Il punto dolente è proprio questo. La povertà e l’insicurezza in Canada, durante i nove anni di governo Trudeau, sono continuate a crescere. L’anno scorso, le banche alimentari, che distribuiscono viveri a chi non se li può permettere, hanno registrato un aumento impressionante di visite: da un milione si è passati alla cifra record di due milioni in un solo mese, con un milione di persone in più previste nel 2024. A Toronto, una persona su dieci non riuscirebbe a vivere senza questi sussidi. Questa miseria è stata rivelata dalla Report Card sulla povertà 2024 della Food Bank Canada, che informa come quasi il 50% dei canadesi si senta più precario rispetto allo scorso anno, mentre il 25% soffre appunto di insicurezza alimentare. Abbiamo voluto riportare questi dati perché non fanno più notizia. Se in nove anni un partito progressista ha potuto solo fare peggio dei conservatori – e questo, d’altronde, avviene in mezzo mondo – non possiamo che allargare le braccia. Come potranno incidere i dazi su tutto ciò è difficile da prevedere, ma certamente, se l’economia canadese dovesse entrare in una situazione di maggiore criticità a causa dei dazi, c’è poco da sperare.