
Cominciamo col dire che la condanna di Marine Le Pen era attesa da tempo, e che l’affaire sfociato in una dichiarazione di colpevolezza in primo grado – per appropriazione indebita (riguardo ad alcuni fondi destinati agli assistenti parlamentari dei deputati europei, utilizzati invece in Francia per pagare dei militanti di partito) – si riferisce a una vicenda di molti anni fa, quando il Rassemblement national si chiamava ancora Front national. Non si tratta quindi di qualcosa di fabbricato all’occorrenza per fermare la sua ascesa. Appare grottesca la preoccupazione del portavoce di Putin, lamentatosi dell’ineleggibilità di Le Pen, se si pensa alle esclusioni e all’eliminazione fisica riservata in Russia agli oppositori e ai dissidenti del regime. D’altronde, per la semplice rivelazione di qualcosa di simile – cioè per avere utilizzato del denaro pubblico a favore di un incarico inesistente assunto dalla moglie –, fu azzoppata nel 2017 la candidatura di Fillon, esponente della destra neogollista, aprendo così la strada alla prima vittoria di Macron alle presidenziali. Perfino Bayrou, l’attuale premier centrista, è incappato in passato in un’inchiesta identica a quella di Le Pen, uscendone assolto solo con il beneficio del dubbio. In aggiunta, ricordiamo che, pochi giorni fa, un già condannato in via definitiva ex presidente Sarkozy, ha visto, da parte della pubblica accusa, la richiesta di una nuova condanna a sette anni di carcere in merito ai soldi che avrebbe ricevuto sottobanco dalla Libia di Gheddafi.
In Francia, in genere, non ci si scandalizza più di tanto quando la giustizia fa il suo corso; non si grida al deep State che intenderebbe fare fuori i politici sgraditi, come sta facendo il plurinquisito capo del governo israeliano, o come si usa fare in Italia dai tempi di Tangentopoli. Che i potenti talvolta siano corrotti o non rispettino le regole, è cosa nota – e di solito non ci si scaglia contro una giustizia che ha il diritto-dovere di operare un controllo di legalità sulla politica.
Ma indubbiamente questa volta siamo dinanzi a una situazione particolare. Anzitutto (a scanso di equivoci) rimandiamo al nostro precedente articolo (vedi qui) per dire che non si tratta di nulla di paragonabile a quanto si sosteneva là dentro. Marine Le Pen non ha messo in atto nulla di eversivo, a differenza di un Trump o di un Bolsonaro. La sua strategia, detta di dédiabolisation, consiste proprio nel cercare di dissipare l’inevitabile aria di collaborazionismo filonazista che suo padre, vecchio arnese fascista, si trascinava dietro. Quello dei Le Pen è un partito personale diventato un partito di famiglia: ma Marine ha praticato una sorta di “beneficio di inventario” sull’eredità ricevuta dal padre. Via l’antisemitismo più marchiano, via il riferimento alla Francia di Vichy, Marine si presenta come una Perón in salsa francese, con il tic della “preferenza nazionale”, che consisterebbe nell’escludere gli immigrati dalle prestazioni sociali, in un indurimento della politica migratoria della Francia, e probabilmente nel cambiare la Costituzione tramite referendum (cosa consentita dalla Carta gollista attualmente in vigore).
Ciò detto, resta il fatto che l’avvento di Marine Le Pen alla presidenza della Francia sarebbe una sciagura per l’Europa. Diciamoci le cose come stanno, lei non è una quaquaraquà sul tipo di Meloni – che è filoputinianana, per dire, poi non lo è più se vede che non le conviene, oppure cerca di presentarsi come una quasi-centrista quando, fino a poco tempo prima, inveiva contro l’Unione europea, ecc. Stiamo parlando di una donna politica piuttosto coerente, che ha soltanto evitato di tenersi bloccata nella richiesta di un’uscita della Francia dalla moneta unica, quando ha visto che il suo elettorato su questo non la seguiva. E tuttavia – non ci si può nascondere il dato – una Marine presidente della Francia sarebbe un colpo all’insieme della costruzione europea, un precedente molto più grave di qualsiasi Orbán, che è in fondo il dirigente di un Paese che conta poco o nulla.
Non si può dire al momento quali siano le chance del suo delfino Bardella, nel caso sia lui il candidato dell’estrema destra alle presidenziali del 2027. Marine sarebbe arrivata di sicuro al ballottaggio, anche se non si sa contro chi, visto che sia nel centrodestra sia a sinistra sono in atto grandi manovre che non sappiamo ancora a quali candidature potranno condurre. Si può prevedere lo stesso risultato per Bardella? Comunque si mettano le cose, il sistema elettorale francese a doppio turno è un osso durissimo per qualsiasi candidatura “estrema” (usiamo il termine tra virgolette). Infatti, al secondo turno, l’elettorato centrista – ancora presente, pur con la nota tendenza all’astensionismo – si coalizza nelle urne sulla candidatura più moderata, decretando la sconfitta dell’“estrema”. Ciò è quanto accade di solito, ma certo la politica contemporanea ci sta abituando alle sorprese.