
Questa è una storia d’amore che, per essere narrata, ha richiesto un viaggio nel regno dei morti. È una storia di uomini gentili che volevano essere padri migliori dei loro padri e che, per far felice l’amata, hanno cercato di generare figli non propri, senza riuscirci. È una storia di madri progressiste che all’inizio tutto desideravano tranne che partorire un figlio ma che, a un certo punto, hanno confuso l’immagine virtuosa di sé con l’istinto materno e hanno cominciato a guerreggiare. Perché tutto questo dovrebbe diventare una faccenda politica? Perché, come dettava l’unica vera intramontabile legge femminista, “il personale è politico”.
Ma non basta raccontare (bene) una storia privata perché la questione possa interessare la polis. Perché si avverta l’eco della Storia, bisogna saperla convocare. Ed è quello che hanno fatto Massimiliano Virgilio e Veronica Cruciani, rispettivamente autore e regista di Il tempo delle stelle. Lo spettacolo (in scena al ridotto del Teatro Mercadante di Napoli fino al 30 marzo) si distingue per il rigore del segno scenico (l’elemento della terra è il più potente) e per la capacità di creare un’opera tellurica su una storia umana troppo umana in cui tutti – anche coloro che non hanno vissuto questo calvario – possono riconoscersi. Ancora una volta, Veronica Cruciani dimostra di avere un istinto teatrale infallibile nei confronti di quel materiale drammatico che contiene lo scontro di corpi e di idee, ma anche i segni del combattimento con l’altrove. Ed ecco che la metafora della stella, evocata nel romanzo di Virgilio, si incarna nel corpo di una terza presenza, la cantautrice-attrice Sharon Spaniano, che diventa di volta in volta il figlio mai nato, il padre padrone da cui fuggire, lo swing metropolitano (la storia è ambientata in un quartiere di Napoli), e la stella in sé. Mentre la giovane donna (Romina Colbasso) e il giovane uomo (Edoardo Sorgente) dispiegano sul ring della vita le improvvise cadute, le paure, i distacchi, le illusioni, le assenze e i desideri, in accordo con la potente drammaturgia sonora di John Cascone. In controtendenza, rispetto ai modelli narrativi dominanti, Il tempo delle stelle afferma il potere rivoltoso dell’amore, l’eresia di una felicità che arriva dopo uno scontro a fuoco con la propria anima e un dialogo con l’amato che non ammette falsità né giri di parole.
Non era impresa facile ricavare un’opera teatrale snella, dinamica, avvincente, non luttuosa – al contrario, spudoratamente gioiosa – dal romanzo che ha ispirato il lavoro. Lo stesso Massimiliano Virgilio ha contribuito all’adattamento, lasciando però che Cruciani facesse le sue scelte affilate, senza cadere nella tentazione di appoggiarsi alla pagina letteraria, al flusso dei pensieri. Naturalmente, quello che suona come una trama secondaria a livello teatrale può costituire, invece, l’arteria principale del racconto romanzesco. Ed è proprio quello che succede con Il tempo delle stelle (edito da Rizzoli). Dopo averci fatto familiarizzare con Lara e Geppe, una coppia così fusionale da essere appellata dagli amici “l’Entità”, e con la loro tormentata, asimmetrica ricerca di un figlio – e dunque con i percorsi estenuanti della fecondazione assistita e dell’adozione –, solo a pagina 87 il narratore introduce lo spettro di un secondo bambino, un bambino vero, morto a soli 7 anni di morte violenta. Geppe, che di professione fa il giornalista, si imbatte infatti, a un certo punto, della storia in un caso di cronaca nera realmente accaduto: il barbaro omicidio di un bambino avvenuto per mano del patrigno il 27 gennaio 2019.
Solo nel momento in cui, assieme alla moglie, smette di desiderare un figlio proprio, Geppe si decide ad aprire le carte che narrano del piccolo Giuseppe: “Forse fu per darsi pace, per trovare un piccolo corpo a cui fare un funerale, che quella sera lui si chiuse nello studio a leggere gli articoli sul bambino assassinato a Cardito. Il suo nome era Giuseppe. E mentre tu, Stellina, evaporavi come polvere cosmica svanendo all’orizzonte per scendere nell’Ade, quel bambino sconosciuto risaliva per lo stesso sentiero e gli veniva incontro”.
Il capitolo che segue, intitolato “Intermezzo nell’Ade”, è di una tale bellezza da contenere solo in se stesso il segreto: della vita e della morte, della follia, del crimine, e della scrittura. Da questo punto in poi, il protagonista inizia il suo personale viaggio nell’Ade, che lo porta a rivivere la propria tragedia personale: la morte precoce della madre e l’abbandono di un padre-padrone che, per salvarlo dalla propria stessa violenza, lo chiuderà in un collegio, per poi scomparire. Verso il finale, si accendono le luci su Lara, sulla sua improvvisa solitudine che la porta a desiderare di compiere, con il concorso di Geppe, un atto delinquenziale, pur di appropriarsi di un bambino.
Non c’è buonismo né consolazione, ma un amore puro, cristallino, a volte persino disturbante, prezioso come la rugiada, in questo romanzo. Parlandoci, con disarmata verità, della coppia, della maternità, dei diritti, degli abusi, delle mistificazioni, dei crimini compiuti in nome del bene, Il tempo delle stelle è un brillante manifesto poetico che sa farsi politico, chiamando a sé una serie di questioni che interessano la storia del femminismo e l’intricato problema legislativo in materia di adozioni e fecondazioni. Oltre a diventare oggetto di spettacolo teatrale (che ci auguriamo possa avere la tournée che merita), Il tempo delle stelle si farà presto anche narrazione cinematografica.