
Come si sa, l’approvazione del piano ReArmEurope, da parte del parlamento europeo, non è stata necessaria, in quanto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, può farne a meno grazie all’art. 122 del “Trattato sul funzionamento dell’Unione”, che le permette di presentare il piano stesso per l’approvazione definitiva direttamente al Consiglio europeo (cioè all’organismo formato da tutti i capi di Stato o di governo dei Venisette). Stando alla lettera di tale articolo, la procedura adottata sembra frutto di un’interpretazione un po’ estensiva, in quanto esso recita, al punto 1: “Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia”; il punto 2 riguarda invece l’eventuale assistenza a un singolo Stato membro, e quindi non ci interessa qui. Il piano ReArmEurope non riguarda il settore dell’energia, mentre, d’altra parte, non è chiaro in quale modo abbia a che fare con la situazione economica, a parte il fatto che prevede ottocento miliardi di investimenti: ma allora ogni piano di investimenti potrebbe essere sottratto all’approvazione del parlamento.
Queste disquisizioni giuridiche hanno comunque scarsa importanza, dato che lo stesso parlamento ha approvato due risoluzioni, entrambe a larga maggioranza, che inequivocabilmente recepiscono lo spirito del piano: una (approvata con 419 voti a favore), sul “Libro bianco sul futuro della difesa europea”, l’altra (passata con 442 voti) sul “Mantenimento del fermo sostegno dell’Unione all’Ucraina dopo tre anni di guerra di aggressione della Russia”(scaricabili dal sito qui). Dunque, il parlamento europeo si è dichiarato decisamente favorevole al piano ReArm, anche se non era chiamato esplicitamente ad approvarlo: in particolare, il punto 76 della risoluzione sul “Libro bianco” afferma che il parlamento “accoglie con favore il piano ReArm in cinque punti, proposto il 4 marzo 2025 dalla presidente della Commissione”.
Entrambe le risoluzioni sono piuttosto lunghe (nella versione italiana, diciotto pagine quella sul “Libro bianco”, dodici quella sul sostegno all’Ucraina), e richiedono dunque un certo tempo per una lettura anche superficiale (ci sarebbe da domandarsi quanti siano gli europarlamentari che le hanno effettivamente lette, ma tralasciamo questo aspetto). Ribadiscono alcuni punti indiscutibili, come il fatto che l’aggressione della Russia all’Ucraina costituisce una violazione dell’art. 2, paragrafo 4, della Carta Onu (premessa D della risoluzione sul sostegno all’Ucraina) o che “non possono esservi negoziati sull’Ucraina senza l’Ucraina” (premessa T). Altri passi, invece, sono molto discutibili, a dispetto della perentorietà che li caratterizza. Altri ancora, infine, suonano come una chiara sfida alla Russia, tanto che potrebbero essere recepiti come implicite dichiarazioni di guerra.
I passi più discutibili sono contenuti nelle premesse A (cioè le prime) di entrambe le risoluzioni: “l’Unione è attualmente sotto attacco” (risoluzione sul “Libro bianco”); l’aggressione all’Ucraina è definita “non provocata” (risoluzione sul sostegno all’Ucraina). Si tratta di slogan ripetuti da tre anni, senza alcun argomento: quali elementi abbiamo per dire con tanta sicurezza che Putin vuole attaccare altri Paesi europei dopo l’Ucraina? Potrà anche essere vero che “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”; però sarebbe opportuno portare qualche dato di fatto, o qualche informazione un po’ più precisa, a sostegno di sospetti che potrebbero essere anche legittimi. Ma si tratta di un’obiezione sollevata talmente tante volte che ormai ci si stanca ad avanzarla ancora.
Ugualmente, è già stato obiettato più volte che l’aggressione all’Ucraina, per quanto si sia trattato di una violazione del diritto internazionale, e quindi non sia in alcun modo giustificabile, non si può tuttavia definire “non provocata”: riprendendo un altro slogan ben noto, quello di papa Francesco (un filoputiniano anche lui?), la Nato non avrebbe mai dovuto “abbaiare” ai confini della Russia. E lasciamo stare la violazione degli accordi di Minsk, che prevedevano la concessione ai territori del Donbass di forme di autonomia che sono rimaste lettera morta, perché giudicate dall’Ucraina troppo onerose: ma anche l’Ucraina li aveva firmati.
Altri passi sono decisamente preoccupanti, perché, se presi alla lettera, chiudono la porta a ogni eventuale negoziato. Tra questi, il punto 3 della risoluzione sul “Libro bianco”, che “ribadisce” la convinzione del parlamento Ue “circa il fatto che sui campi di battaglia ucraini sarà deciso il futuro dell’Europa”, e, soprattutto, il punto 10 della risoluzione sul sostegno all’Ucraina, che conviene riprodurre integralmente:
[Il parlamento] “deplora fermamente qualsiasi tentativo di ricattare la leadership ucraina per convincerla ad arrendersi all’aggressore russo al solo scopo di poter proclamare un cosiddetto accordo di pace; ritiene che gli attuali tentativi dell’amministrazione statunitense di negoziare un cessate il fuoco e un accordo di pace con la Russia escludendo l’Ucraina e gli altri Stati europei, in base ai quali questi ultimi sono messi di fronte al risultato senza una loro significativa partecipazione, siano controproducenti e pericolosi, in quanto finiscono con l’incoraggiare lo Stato belligerante, dimostrando così che una politica aggressiva non è punita ma ricompensata; conclude che, tenendo conto dei trascorsi della Russia in materia di violazione di precedenti accordi e dei principi fondamentali del diritto internazionale, tale pace può essere raggiunta solo attraverso la forza, comprese efficaci garanzie di sicurezza”.
Come si è ricordato, l’Ucraina non può essere esclusa dal tavolo dei negoziati, per motivi non solo di principio, ma anche di fatto: se si trovasse di fronte a un accordo concluso sopra la sua testa, è pressoché certo che continuerebbe a combattere, almeno in forma di guerriglia. Tuttavia, posto che il negoziato progredisca, non crediamo che Trump, se veramente vuole raggiungere qualche risultato, possa permettersi di escludere l’Ucraina, che dovrebbe però accettare un compromesso, come dovrebbe accettarlo la Russia. Ma quale pace si fa senza compromessi?
Quanto alla partecipazione dell’Unione europea, questa sarebbe auspicabile se volesse svolgere una funzione di mediazione: ma qui si pone chiaramente come parte in causa, che anzi spinge alla prosecuzione della guerra, parlando di “campi di battaglia” e affermando che la pace “può essere raggiunta solo attraverso la forza”, cioè proseguendo la guerra. Questo è il motivo che ci fa sostenere che la risoluzione del parlamento europeo rappresenta una sfida alla Russia.
Naturalmente, è del tutto possibile che quest’analisi sia sbagliata: la Russia potrebbe realmente volere estendere la sua aggressione ad alcuni paesi dell’Unione, se non a tutta l’Unione. Questa opinione è stata espressa recentemente anche su “terzogiornale”, da Lorenzo Consoli, che nel suo articolo (vedi qui) scrive che l’Europa ha la “necessità ‘esistenziale’ […] di continuare a sostenere la resistenza all’invasore”. Ammettiamo che le cose stiano effettivamente così. Ma allora sorge un altro interrogativo: la politica dell’Unione, almeno dal 24 febbraio 2022 fino al piano ReArm compreso, è stata e può essere efficace nel condurre questa “resistenza all’invasore”? Le pretese mire espansionistiche di Putin (reali o no che siano), cioè le sue intenzioni di non fermarsi all’Ucraina, sono state denunciate fin dal primo giorno dell’aggressione russa, non solo dalla maggior parte dei media, ma anche dalla maggior parte dei governi europei. Ora, ammesso che quest’analisi fosse corretta, tali governi avrebbero dovuto immediatamente accordarsi per un piano di difesa comune: invece, si sono limitati a invii sempre più massicci di armi, con la speranza non nascosta che gli ucraini se la potessero cavare da soli; chi sosteneva che lo squilibrio delle forze tra Russia e Ucraina dimostrava immediatamente l’infondatezza di tale aspettativa è stato subito bollato come “filoputiniano”, esattamente come chiunque auspicava che l’Unione si proponesse come mediatrice tra le parti in conflitto. In altre parole, l’Unione sperava di vincere la “guerra per procura” (proxy war), confidando in modo cruciale nell’“ombrello” fornito dagli Stati Uniti tramite la Nato. Ora che la politica statunitense ha avuto un’inversione di rotta, aprendo al negoziato, l’Unione afferma che la guerra “si decide sul campo di battaglia”, nel quale sembra disposta a scendere, mostrando così implicitamente che l’atteggiamento tenuto per tre anni è stato al tempo cinico (la guerra la facciano gli ucraini) e miope (la Russia finirà per perdere, prima o poi).
Non si può comunque negare che il problema di una difesa comune europea esista, tanto più ora che la politica di Trump e di Elon Musk potrebbe anche portare a un dissolvimento di fatto della Nato. Che un “esercito europeo” sia una prospettiva alquanto irrealistica l’ho già sostenuto su “terzogiornale” (vedi qui); e infatti, nelle due risoluzioni del parlamento, non si parla di esercito europeo, ma di un aumento ingente delle spese militari da parte dei Paesi “volenterosi”, nonché di un maggior coordinamento tra loro e con altri Paesi extra-Unione, come la Gran Bretagna e la Norvegia (poco può fare invece l’Islanda, che ha meno di quattrocentomila abitanti e non dispone di un esercito proprio).
Cosa intende fare questa coalizione di “volenterosi”? Finora sono state adombrate, senza formularle o distinguerle chiaramente, tre ipotesi: 1) continuare nel sostegno all’Ucraina, anche inviando soldati a combattere sul terreno; 2) nel caso che si arrivi a una tregua, imporre alla Russia l’installazione di una forza di mantenimento della pace (peacekeeping), composta, in tutto o in larga parte, dai “volenterosi”; 3) sviluppare (come si legge al punto 46 della risoluzione sul “Libro bianco”) una “capacità di deterrenza e di reazione rapida in un contesto di crescenti minacce”.
Sembra chiaro che le ipotesi 1 e 2 sono incompatibili l’una con l’altra: o si continua la guerra (ipotesi 1) o si conclude una tregua tramite il negoziato, tregua di cui i “volenterosi” sarebbero militarmente garanti (ipotesi 2). Comunque vadano le cose, entrambe le ipotesi prefigurano soluzioni perdenti. Se si continua la guerra senza l’appoggio statunitense (che è il presupposto dell’ipotesi 1, i “volenterosi” e l’Ucraina non possono che andare incontro alla sconfitta: lo ha detto più volte lo stesso presidente ucraino Zelensky. L’ipotesi 2, dal canto suo, è molto difficile da realizzare: Putin ha detto che non accetterà mai una forza di peacekeeping composta da Paesi Ue e dai loro alleati.
A questo proposito, citiamo due analiste ucraine, Tetiana Kyselova e Yuna Potomkina, che in un articolo su “Foreign Affairs” del 1° marzo scorso (intitolato How Not to End the War in Ukraine), decisamente avverso alla Russia, scrivono: “Data l’attuale mancanza di fiducia tra le parti, una missione militare congiunta di mantenimento della pace, i cui membri siano d’accordo con tutte le parti negoziali, potrebbe essere una via d’uscita”. Dati però l’atteggiamento di Putin, da un lato, e le risoluzioni del parlamento europeo, dall’altro, sembra difficile che la Russia (che è indubbiamente una delle “parti negoziali”) possa accettare una forza di peacekeeping composta, in tutto o in parte, da truppe dei “volenterosi”.
Veniamo ora all’ipotesi 3, cioè allo sviluppo di una “deterrenza” da parte dei “volenterosi”. Una capacità simile non si può creare dall’oggi al domani, e quindi non può avere effetto sugli sviluppi del conflitto attualmente in corso: si ricadrebbe perciò nell’ipotesi 1. La creazione di una capacità simile potrebbe essere auspicabile in futuro; ma, se l’atteggiamento dell’Unione verso la Russia rimane quello attuale, e se lo scopo della Russia fosse davvero quello assunto come premessa indiscutibile delle due risoluzioni, cioè estendere la sua politica di aggressione ad altri Paesi europei, perché la stessa Russia non dovrebbe scatenare una “guerra preventiva” contro i “volenterosi”, prima che siano in grado di avere una capacità di deterrenza?
Noi continuiamo a sognare un mondo senza eserciti; si tratta certamente di un’utopia, che deve fare i conti con la Realpolitik. Ma perché la Realpolitik non dovrebbe indurci ad accettare un compromesso tra la Russia e l’Ucraina che ponga fine alla guerra, basato in primo luogo sulla rinuncia dell’Ucraina ad aderire alla Nato?