
“Come si cambia…”, recita una canzone celebre, e prosegue “per non morire…”: il motivetto torna alla mente leggendo la stampa tedesca degli ultimi giorni. La notizia circola da qualche tempo, ma è ormai certo che, tra i vari temi che sono stati al centro dei colloqui per la formazione del nuovo governo rosso-nero (dai colori di Spd e Cdu), ci sia anche la scelta di rimodellamento del freno al debito, lo Schuldenbremse, che peraltro è sancito in Costituzione. Si tratta di una norma costituzionale approvata all’inizio del 2009, nella fase iniziale della crisi del debito sovrano, che rischiò di spazzare via l’eurozona, con lo scopo di limitare il debito nazionale. Attivo dal 2011, ha imposto al governo federale e ai Länder obiettivi vincolanti per la riduzione del deficit di bilancio, dato che proibisce ai Länder di fare nuovo debito pubblico “strutturale”, cioè indipendente dalla situazione economica, obbligandoli al pareggio, e limitandolo a un massimo dello 0,35% del prodotto interno lordo per il governo. Sono comunque previste eccezioni in caso di calamità naturali o di crisi economiche.
I critici hanno spesso lamentato, negli ultimi anni, che il freno agisce in realtà come un “freno al futuro”, impedendo investimenti urgenti e necessari, principalmente nella manutenzione e trasformazione delle infrastrutture. I sostenitori della norma ritengono, invece, che il freno sia necessario per mantenere la stabilità delle finanze tedesche ed europee. Il dibattito è stato lungo, non solo in ambito politico, e la discussione sul fatto se il freno al debito promuova o ostacoli l’azione di governo e la giustizia intergenerazionale è una valutazione che, anche in campo sociologico, non ha trovato visioni concordi.
Ora pare, però, che le vecchie polemiche si possano lasciare nel dimenticatoio, dato che la nuova coalizione in formazione vuole accollarsi parecchie centinaia di miliardi di euro di debiti. Si tratta di somme gigantesche, che presentano anche una sorpresina: la Cdu e la Spd non solo vogliono creare un fondo speciale per gli investimenti nelle infrastrutture, ma intendono anche allentare i cordoni della borsa per future spese per la difesa, un passo che i cristiano-democratici avevano in precedenza sempre escluso.
Da quanto finora emerso, secondo i piani della Cdu e della Spd, il freno al debito presente nella Costituzione dovrebbe essere modificato in modo da tenere fuori dal computo le spese per la difesa che superano l’1% del prodotto interno lordo, senza porre massimali. Ma il futuro cancelliere, Friedrich Merz, ha dichiarato che la spesa aggiuntiva per la difesa potrà essere assorbita solo “se la nostra economia tornerà a un percorso di crescita stabile nel più breve tempo possibile (…), ciò richiede investimenti rapidi e sostenibili nelle nostre infrastrutture”.
È evidente che si tratta di una mossa che ha di mira due obiettivi, che vanno in parte a sovrapporsi: per gestire la situazione finanziaria, è necessario stimolare l’economia, attraverso investimenti nelle infrastrutture, ovvero strade, ferrovie, ponti e così via. A tale scopo verranno contratti prestiti per un importo pari a cinquecento miliardi di euro, che verranno depositati in un fondo speciale. Per fare un paragone: si tratta di una cifra leggermente superiore al volume del bilancio federale, e di più di un decimo del prodotto interno lordo della Germania. È uno sforzo gigantesco, una sorta di New Deal, volto a rilanciare un’economia da due anni stagnante e in recessione.
In Germania c’è un enorme arretrato di investimenti nelle infrastrutture dei trasporti. “L’invecchiamento delle infrastrutture sta ormai limitando notevolmente il trasporto di merci e passeggeri, il che influisce negativamente sullo sviluppo economico della Germania”, afferma il rapporto annuale degli esperti economici. La Confindustria tedesca ha calcolato che, entro dieci anni, saranno necessari ulteriori fondi, circa centosessanta miliardi di euro, per la rete ferroviaria, le autostrade e le strade, il risanamento dei ponti, le vie d’acqua, i porti e l’ampliamento del trasporto pubblico. Si prevede, inoltre, la necessità di stanziare altri cento miliardi di euro per le infrastrutture educative, ovvero asili nido, scuole e università, nonché cinquantasei miliardi di euro per nuovi edifici e alloggi.
Altro aspetto della questione sono le spese militari: il fondo speciale di oltre cento miliardi per la Bundeswehr (di cui parlammo a suo tempo: vedi qui) è stato quasi completamente stanziato. Chiaro però che c’è ancora molta strada da fare se i tedeschi vogliono raggiungere una capacità difensiva accettabile. Il settore, in Germania, è stato lungamente sottofinanziato, non solo per l’eredità postbellica, ma anche per le consistenti e radicate componenti di pacifismo negli stessi partiti di governo, in particolare nella Spd. Già nel marzo 2023 la commissaria per le forze armate, Eva Högl, aveva dichiarato: “Cento miliardi di euro non saranno sufficienti a compensare tutti i deficit accumulati nel tempo”, e, secondo gli esperti militari, sarebbero necessari complessivamente almeno trecento miliardi per rinnovare e rafforzare l’esercito.
Ma c’è un problema tecnico e politico: i due partiti della coalizione in formazione, non possono decidere da soli sulla rimozione del freno, perché per modificare la Costituzione è necessaria una maggioranza dei due terzi. Nel Bundestag pre-elettorale una simile maggioranza qualificata la si sarebbe potuta raggiungere se Cdu e Spd avessero votato insieme ai verdi e/o ai liberali. Ma questi ultimi hanno sempre categoricamente respinto una riforma del freno al debito. È quindi probabile che Cdu e Spd facciano affidamento sui verdi. Però nel nuovo parlamento, che si costituirà il 24 o 25 marzo, Cdu, Spd e verdi non raggiungeranno più la maggioranza dei due terzi (i liberali sono fuori). Inoltre, la Linke e l’AfD possono bloccare una modifica della Costituzione, ed entrambe respingono l’idea della creazione di un fondo speciale: la Linke si oppone alle spese militari aggiuntive, l’AfD all’aumento del debito. Per fare approvare la rimodulazione della norma si è pensato perciò di ricorrere a un escamotage, facendo riunire il vecchio parlamento, ancora in carica, che ha i numeri per la modifica costituzionale.
Se il pacchetto di “misure XXL”, extralarge, come lo ha definito Marcus Söder, leader della Csu bavarese, dovesse passare, bisognerà trovare il modo di finanziarlo. Lo Stato potrebbe ottenere denaro fresco emettendo obbligazioni sul mercato dei capitali. Il denaro dovrebbe quindi arrivare dagli investitori, fondi pensione, istituti di credito. A lungo termine, però, i prestiti andranno rimborsati. Nel caso dei fondi speciali, il governo federale stabilisce in genere un calendario. Per esempio, l’attuale fondo speciale per la Bundeswehr dovrebbe essere rimborsato a partire dal 2031. I quattrini per rimborsare gli investitori devono provenire dal bilancio, cioè dalle entrate fiscali e da altre entrate statali. Il rischio connesso a un simile indebitamento è facilmente intuibile, così com’è facile immaginare che ci sarebbero tagli enormi alle prestazioni del welfare per fare fronte alla necessità di restituire il nuovo debito contratto.
Per contro, investimenti così massicci potrebbero costituire un fattore di rilancio economico, in particolare quelli “keynesiani” nelle infrastrutture, meno chiaro è chi profitterebbe del febbrile riarmo, della nuova Aufrüstung di weimariana memoria, che si prospetta: l’industria militare tedesca è specializzata solo in alcuni ambiti, e parecchi quattrini potrebbero finire negli Stati Uniti, ma ci saranno anche da costruire caserme, alloggiamenti, campi militari. Inoltre il “bazooka” tedesco avrà sicuramente ripercussioni a livello di Unione europea. Alla Banca centrale europea s’imporrà una dose di realismo. Anche gli altri governi avranno bisogno di indebitarsi per il riarmo, e la stabilità fiscale sarà messa in discussione. In uno scenario di fatto prebellico, gli schemi tendono a saltare. Se nel pieno della guerra in Ucraina, qualche politico gridava: “Vogliamo la pace o i condizionatori accesi?”, ora pare che saremo chiamati a scegliere tra sicurezza, prestazioni welfariane e stabilità dei prezzi. Il passaggio dal welfare al “warfare” richiede, quindi, non solo un prezzo sociale molto alto per finanziare i massicci investimenti pubblici, ma anche un allentamento della politica monetaria, con conseguenze difficilmente valutabili. Si apre un’epoca piena di incognite.