
La notte tra il 4 e il 5 marzo, un muro di cemento ha spezzato l’orizzonte di Fiumicino, davanti al vecchio faro, sulla lingua di terra che separa il delta del Tevere dal Tirreno. Cinquecento metri di cosiddetti jersey, barriere di sicurezza modulari, hanno recintato la spiaggia, separando i bilancioni, le storiche palafitte da pesca del litorale, dall’acqua. Un risveglio amaro per i residenti, che si sono trovati sbarrati l’accesso al loro tratto di costa. “Ci obbligano a restare qui e a non andare verso il mare”, ha denunciato Gianfranco Miconi, detto Attila, residente in uno dei bilancioni e testimone di questa operazione notturna. È il primo mattone di un progetto ambizioso e controverso (di cui “terzogiornale” ha già parlato qui), il nuovo porto crocieristico di Fiumicino.
Nel 2022, la Fiumicino Waterfront s.r.l., società controllata dal colosso delle crociere Royal Caribbean, si è aggiudicata all’asta la concessione demaniale di 55mila metri quadrati di terreno e 988mila metri quadri di specchio acqueo. Lo smisurato spazio di litorale laziale è stato acquistato per soli undici milioni e 450mila euro (una spesa minima per l’azienda, considerando che una sua nave costa 1,4 miliardi di dollari), con l’idea di realizzare un’infrastruttura capace di ospitare navi da crociera di classe Oasis, grattacieli del mare che ospitano oltre cinquemila passeggeri. Preoccupati per le conseguenze sull’ambiente e sul tessuto sociale del loro territorio, un insieme di cittadini e associazioni si era riunito nel comitato Tavoli del Porto, per contrastare la grande opera privata. Oggi sono loro a denunciare: “Lo scenario che si presenta ai cittadini è una spiaggia mutilata da un lungo muro di cemento”. Nonostante, infatti, il progetto sia inserito nel programma di cantieri legati al Giubileo 2025, che garantiva l’accelerazione delle procedure, la costruzione è stata fermata dalle richieste di integrazione della Soprintendenza, che ha domandato il parere approfondito del ministero dell’Ambiente e del ministero della Cultura (Mic).
A oggi il parere del Mic non è ancora pervenuto, mentre si è espresso il ministero dell’Ambiente, avallando il progetto, ma con delle remore. Infatti alla Valutazione di impatto ambientale (Via) sono allegate diciassette prescrizioni: si richiede alla Fiumicino Waterfront di risolvere questioni legate alla mobilità, al rischio idrogeologico, ai dragaggi necessari dati i bassi fondali dell’area, e di considerare la compatibilità con il vicino aeroporto, che limita l’altezza delle navi. Si impone, inoltre, il monitoraggio delle emissioni, e l’azienda ha promesso l’elettrificazione delle banchine e dei servizi portuali. Secondo chi si batte contro la struttura, tuttavia, il porto danneggerà l’ecosistema costale e marino, anche con pesanti conseguenze sulla salute pubblica. “Per la politica rischio idrogeologico, mobilità, emissioni e sicurezza non sono importanti come i profitti”, si legge nel comunicato pubblicato il 15 gennaio dal Collettivo No Porto, che, dal 2013, si batte per la salvaguardia della costa: “Stiamo assistendo alla svendita del territorio ad affaristi e politici senza scrupoli, mettendo in pericolo l’intera balneazione di Fiumicino”.
La vicenda ha anche connotazioni politiche e amministrative poco chiare. Accordi tra amministratori locali e rappresentanti del governo, compresi l’ex sindaco di Fiumicino Esterino Montino e l’attuale sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, hanno portato all’inclusione del progetto nel piano delle opere pubbliche del Giubileo 2025, quando il progetto, finanziato da un’azienda privata e non ancora iniziato, certamente non ha a che vedere con l’anno santo.
Fino a cinque anni fa, le concessioni demaniali marittime erano competenza della Regione, mentre dopo la legge n.1 del 2020, sono passate alla gestione comunale. È quindi il Comune di Fiumicino ad aver avuto all’epoca la possibilità di gestire l’asta per la concessione. Tuttavia, la legge n. 84 del 1994 sulla portualità, che categorizza i porti, riservando all’Autorità portuale nazionale quelli commerciali, sembra messa in discussione. L’operazione della Fiumicino Waterfront, e quindi della Royal Caribbean, vorrebbe la creazione di un porto crocieristico, e non solo turistico o diportistico, a gestione privata. “È come se la Ryanair si costruisse un aeroporto”, diceva nel 2023 l’ex vicesindaco di Fiumicino, Ezio di Genesio Pagliuca. La situazione è un unicum nel panorama nazionale ed è un precedente pericoloso per la creazione di nuovi centri di comunicazione su suolo pubblico, appaltati a società private straniere.
Nel gennaio scorso, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcom, anche nota come antitrust) ha inviato un parere al comune di Fiumicino per segnalare il mancato rispetto di alcune regole sulla concorrenza nelle modifiche alla concessione, sostenendo la necessità di “una procedura a evidenza pubblica che garantisca la possibilità che altri operatori presentino eventuali istanze di concessione concorrenti basate su progetti possibilmente migliori”. I pareri dell’antitrust hanno un valore consultivo, e di per sé non sono vincolanti, anche se spesso riescono ad avere un’influenza in questo tipo di procedure.
Se quindi la Fiumicino Waterfront non ha la facoltà di iniziare a costruire, perché la costa è stata recintata? “Chiediamo che l’Amministrazione chiarisca la natura dell’intervento”, scrivono i Tavoli del Porto nel comunicato del 5 marzo: “Visto che il progetto è ancora fermo alla procedura di Valutazione di impatto ambientale e constatato che del supposto cantiere non vi è neppure un cartello informativo a segnalazione delle autorizzazioni, delle motivazioni, né tantomeno di chi sovraintenda tali lavori”.
La zona ha una lunga storia di speculazione immobiliare, che ha già avuto gravi conseguenze. Nel 2010, Francesco Bellavista Caltagirone aveva ottenuto una concessione – la stessa oggi acquistata dalla Royal Caribbean – per la costruzione di una grande marina, il Porto della Concordia. Il progetto però è stato fermato da un’indagine giudiziaria, che vedeva coinvolta l’azienda di Caltagirone per frode in pubblica fornitura.
Da allora, il tempo qui sembrava essersi fermato. I macchinari del Porto della Concordia ancora arrugginiscono sulla costa, mentre un molo di ottocento metri ha causato l’insabbiamento della costa. In questi anni, però, la popolazione locale si era ripresa gli spazi pubblici. “Questo posto era di tutti e ora diventerà solo di qualcuno”, diceva già due anni fa Emiliano Bovo, attivista del collettivo No Porto, che nel 2012 aveva occupato uno dei bilancioni per contrastare la costruzione del progetto di Caltagirone, e che ora si trova nuovamente a lottare. Anche per la salute dei cittadini.
“Secondo stime dell’Unione europea, una sola nave inquina come 14mila automobili”, ricordava nel 2023 David Di Bianco, portavoce dei Tavoli del porto. E ancora: “Il dipartimento di epidemiologia della regione Lazio ha stimato che a Civitavecchia, cittadina del litorale laziale dove attualmente attraccano le navi da crociera, la popolazione residente entro cinquecento metri dal porto è soggetta a un incremento di mortalità del 31% per tumori al polmone”. Davanti al rischio idrogeologico e al timore per la propria salute, poco importa che la Royal Caribbean voglia trasformare Fiumicino in un hub crocieristico di rilevanza internazionale. “È così che agisce il male del ‘progresso’, recintando e calpestando il mare in piena notte”, scrive ancora il collettivo No Porto: “Non c’eravamo e ne hanno approfittato. Continuano a ‘riqualificare’, e cioè a distruggere il luogo più amato e fotografato di Fiumicino, insieme alla sua memoria”.
Ora che la costruzione del porto sembra inevitabile, la protesta continua, con l’impegno a non lasciare che un bene comune naturale venga dato in pasto agli interessi di pochi. Una lotta locale – ma a suo modo universale –, un confronto che va al di là del semplice aspetto urbanistico, diventando un modo in cui i cittadini fanno sentire la propria voce contro la logica del profitto.