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La Cpac (Conservative Political Action Conference) si è conclusa qualche giorno fa a Washington. I nazional-populisti europei e americani si sentono gasati come non mai dopo la vittoria di Trump, e dopo che, con Musk e Vance, hanno lanciato la loro Opa ideologica sul vecchio continente (come scrive “Le Monde” del 25 febbraio). Tutto ciò che detestiamo si è riunito nella capitale statunitense: c’erano i suprematisti bianchi, i criminali che hanno dato l’assalto al Campidoglio e sono stati graziati dal loro capo ridiventato presidente; c’era Bannon che, più razzista e xenofobo di chiunque altro, dal palco ha fatto il saluto romano; c’era in videocollegamento anche Meloni, che ha dato ragione a Vance sulla questione delle regole europee, della burocrazia e quant’altro, ma barcamenandosi – da autentica postfascista postberlusconiana – ha tenuto fermo, per il momento, il suo sostegno a Kiev.
La questione della guerra o della pace in Ucraina, del resto, non è affatto il punto dirimente. Non sta lì il nocciolo dell’internazionale nazional-populista. Possono reclamare la pace e potrebbero, altrettanto bene, gridare alla guerra. Abbiamo già chiarito, su queste pagine, come un’estrema destra possa presentarsi all’occorrenza come pacifista (vedi qui). Non ci lasciamo ingannare. Il nucleo programmatico di questa compagnia di morti viventi – perché tali sono, anche se al momento appaiono vincenti – sta in tre passaggi: 1) smantellare lo Stato sociale, sull’esempio di Milei in Argentina; 2) chiudere la porta in faccia agli immigrati, anzi deportarli, come sta già facendo l’amministrazione statunitense; 3) realizzare una comunicazione via Internet senza regole, nell’interesse dei grandi gruppi del web. Sono tutte e tre delle minacce sul capo dell’Unione europea, i cui valori e princìpi costitutivi vanno esattamente in direzione contraria.
Dunque i leader europei – Merz, cancelliere tedesco in pectore, sembra averlo compreso, stando a quanto ha dichiarato nelle ore immediatamente seguenti al successo elettorale (sia pure meno ampio di quanto avesse sperato) – devono ormai procedere considerando che gli Stati Uniti non sono più gli alleati che furono. Al tavolo delle trattative devono farsi sentire facendo valere la propria autonomia. La questione decisiva non è se inviare in Ucraina forze militari di interposizione o di supporto (per parte nostra, continuiamo a pensare che questo compito andrebbe svolto dall’Onu), ma è quella di parlare con una sola voce, qualsiasi cosa si abbia da dire.
E poi, per quanto riguarda specificamente la sinistra – cioè le forze politiche del socialismo europeo e le formazioni più radicali ma capaci di comprendere il frangente in cui stiamo vivendo, senza alcuna scimmiottatura di posizioni sovraniste –, beh, queste forze dovrebbero dare vita a una conferenza internazionale per chiarirsi le idee su cosa fare, su come far avanzare le proprie proposte dinanzi agli elettorati europei, in controtendenza all’ondata nazional-populista che minaccia di sommergerci.
La capitale più indicata per organizzare la riunione è Madrid. La Spagna ha dimostrato una notevole capacità di resistenza nei confronti della destra conservatrice e dell’ultradestra, che si sentivano già la vittoria in tasca ed erano pronte a governare insieme. Inoltre, qui il Psoe di Sánchez e la sinistra radicale, dopo non poche difficoltà di dialogo, da anni propongono qualcosa che potrebbe diventare, a breve, dal punto di vista della tattica politica, la carta vincente per battere le destre: questo qualcosa si chiama unità.
Per arrivarci, tuttavia, le forze di progresso – che non vogliono semplicemente difendere lo Stato sociale ma migliorarlo e svilupparlo, che non puntano, o non dovrebbero puntare, ad amministrare l’esistente, ma a mettere in moto un processo di ridistribuzione del reddito mediante la leva fiscale e, conseguentemente, di ridistribuzione del potere nella società, quelle forze che vogliono gli immigrati accolti e integrati attraverso vie legali, e che infine ci tengono alle regole, anche nella comunicazione via Internet – dovrebbero incontrarsi e stendere una specie di programma comune di massima. Non sarebbe difficile organizzare a Madrid una riunione del genere. All’insegna della domanda – se non ora quando?