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Non avremmo preteso che il capo dello Stato facesse sue le parole di Luca Baccelli, ordinario di Filosofia del diritto nell’Università di Camerino, il quale, senza mezzi termini, aveva dichiarato sulle pagine del “manifesto” che le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele “risalgono almeno a quando il sionismo si è rivelato un progetto di colonialismo”. Ma, con il garbo che lo contraddistingue, far presente al suo omologo israeliano, Isaac Herzog, nei giorni scorsi in visita in Italia, che dopo il 7 ottobre a Gaza è stato perpetrato un massacro di palestinesi, e che quanto successo non dovrebbe più ripetersi, questo sì, ci saremmo sentiti di pretenderlo.
Invece – al di là del solito insopportabile mantra “diritto di Israele alla difesa, e due popoli due Stati” – Mattarella non è andato. Anzi, il tema di questi giorni, ovvero la questione del rispetto del diritto internazionale, per come è stata affrontata dall’inquilino del Quirinale, ha riproposto i “due pesi e due misure” che hanno caratterizzato la politica planetaria all’indomani della Seconda guerra mondiale, e in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino.
Una serie di affermazioni, di repliche e controrepliche, con al centro un tema così importante – dirimente per garantire una civile convivenza tra Stati, e alla base della nascita dell’Onu –, ha avuto inizio il 5 febbraio scorso, quando Mattarella si è lasciato andare, più o meno indirettamente, sebbene l’interpretazione delle sue parole sia legata alle convenienze politiche, a un’arrischiata e antistorica equivalenza tra Adolf Hitler e Vladimir Putin, prendendo spunto anche dall’incontro di Monaco sulla sicurezza (del 14-15-16 febbraio scorsi) che ha fatto tornare alla memoria quella del 1938, nella capitale bavarese, quando la Germania nazista discusse con la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia il futuro dei Sudeti, regione della Cecoslovacchia a maggioranza tedesca. Un parallelo per la verità non nuovo, visto che, all’indomani dell’invasione russa in Ucraina, questa lettura dei fatti (definita dallo storico Luciano Canfora “propaganda politica”) ha riempito la testa dei fautori della guerra a oltranza, quelli che si ponevano l’obiettivo della caduta dello zar del Ventunesimo secolo, così come avvenne per il Führer. Una lettura messa da parte negli anni successivi all’invasione, ma tornata ora a galla con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump, il quale, come promesso, ha riaperto un dialogo con Putin isolando il resto del fronte occidentale. Considerate le caratteristiche non esattamente democratiche dei due attori, non è stato difficile riesumare con più forza la citata narrazione, autorizzando così il nostro presidente, poco incline di solito a gettare benzina sul fuoco, a pronunciare parole inopportune a cui il Cremlino ha risposto energicamente per bocca della portavoce del ministro degli Esteri, Sergej Lavrov. Dopo giorni di silenzio, arrivava quindi la replica del Quirinale che, pur riconoscendo alla Russia un ruolo fondamentale negli equilibri mondiali, la invitava al rispetto del diritto internazionale, violato prima con l’annessione della Crimea e dei territori russofoni del Donbass e del Donetsk, e poi naturalmente con l’invasione dell’Ucraina.
Date queste premesse, l’arrivo del presidente israeliano Herzog – con tutta evidenza in sostituzione del premier Benjamin Netanyahu, su cui pende un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale –, alla testa di uno degli Stati del mancato rispetto della legalità internazionale, avrebbe potuto suscitare delle polemiche, sebbene invece si sia registrato un sostanziale silenzio sull’evento anche da parte della sinistra più vicina ai palestinesi.
Senza cimentarsi nella lettura di testi filopalestinesi, sarebbe stato sufficiente che Mattarella sfogliasse l’insospettabile quotidiano “La Stampa” per sapere che Israele si è reso colpevole, in dieci anni, di 174 violazioni del diritto internazionale. Per gli israeliani si tratterebbe solo di un pregiudizio, condito da un antisemitismo ormai onnipresente. Ma basti ricordare la risoluzione 242 del 1967, che imponeva allo Stato ebraico il ritiro dai territori occupati in Cisgiordania, dalla striscia di Gaza, dalle alture del Golan, oltre che dalla penisola del Sinai, restituita all’Egitto dopo gli accordi di Camp David del 1978, e inoltre la risoluzione 478 del 1980, che riguardava il ritiro da Gerusalemme Est, annessa nel 1967, per capire che tirare le orecchie alla Russia sul rispetto del diritto internazionale alla vigilia di un’altra visita, diciamo così, complicata riguardo agli stessi temi, avrebbe meritato un minimo di accortezza in più. A meno che, come ormai è sotto gli occhi di tutti, dinanzi allo stesso disprezzo per le regole, agli amici si concede di fare quello che vogliano, mentre ai nemici non è permesso. Un modo di vedere le cose che l’arrivo di Trump sta mettendo a dura prova, in attesa di una ridefinizione geopolitica di fronte alla quale Mattarella e molti altri rischiano di trovarsi impreparati. Potremmo essere domani in difficoltà nel capire chi sia il nemico e chi sia l’amico; e a quel punto sarebbe opportuno, una volta per tutte, stabilire che le regole internazionali vanno rispettate senza eccezioni.