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Let’s go back to plastic! (“Torniamo alla plastica!”), ha scritto il presidente degli Stati Uniti su X il 7 febbraio, annunciando un ordine esecutivo che ripristina l’uso della plastica monouso, una misura impensabile solo fino a qualche settimana fa.Negli ultimi anni, i repubblicani statunitensi non solo hanno resistito strenuamente a ulteriori cambiamenti in direzione della sostenibilità, ma hanno spinto per restaurare modelli di consumo che sembravano ormai largamente superati, nel nome di un’industria che non riesce a rinnovarsi. Durante i suoi primi cento giorni di governo, Trump ha cancellato i riferimenti ai cambiamenti climatici dai siti governativi, e ha voluto gli Stati Uniti fuori dall’accordo di Parigi, che, siglato nel 2015, impegna i firmatari a limitare le emissioni per mantenere la temperatura mondiale al di sotto di +1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Gli Stati Uniti sono il primo Paese per emissioni storiche di gas serra, con 641 miliardi di CO2 equivalente, staccando di venti punti la Cina, al secondo posto con 437 miliardi.
A gennaio, il presidente uscente Biden aveva vietato nuove trivellazioni nella maggior parte delle acque costiere, dichiarando che “la crisi climatica minaccia le comunità del Paese”, e che tutelare la biodiversità delle coste è fondamentale per le future generazioni. Nonostante la legge federale Outer Continental Shelf Lands Act protegga alcune aree offshore da futuri leasing di petrolio e gas, le trivellazioni sono riprese in modo incontrollato in diverse zone.
Le misure del tycoon, però, vanno al di là dei semplici interessi petroliferi, che hanno sempre avuto un’influenza sul Congresso. Attraverso il suo principale sostenitore, Elon Musk (e autentico presidente in carica, almeno a detta del figlio), vuole prendere il controllo dei database climatici della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia governativa attiva dal 1970, responsabile del monitoraggio dei disastri ambientali e delle previsioni meteorologiche. Ai vertici è stato inserito Neil Jacobs, già nell’esecutivo della Noaa durante il primo mandato di Trump, protagonista di un episodio per cui è stato citato per “condotta antiscientifica” dalla stessa agenzia. Nel 2019, infatti, aveva sostenuto la tesi di Trump sul percorso dell’uragano Dorian in Alabama, contro l’evidenza dei dati tecnici rilevati in loco. Oggi, il neonato Dipartimento per l’efficienza governativa, noto come Doge, sotto la guida del tecno-miliardario sudafricano, ha condotto una massiccia revisione dei dati raccolti della Noaa, arrivando a chiedere il licenziamento di funzionari pubblici.
Recentemente l’agenzia aveva diffuso un report sui disastri ambientali, dal costo superiore al miliardo di dollari, che indicava il 2024 come il secondo anno peggiore, dietro solo ai ventotto eventi avvenuti l’anno precedente. Considerando che il 2025 si è aperto con le scene drammatiche di una Los Angeles in fiamme, non ci si può aspettare molto di meglio nei prossimi mesi. Quello degli istituti come il Noaa, il National Weather Service o l’Hurricane Center, è un ruolo tutt’altro che marginale, che può salvare vite anticipando e coordinando le azioni della protezione civile, e allertando i cittadini in caso di necessità. Diverse località degli Stati Uniti, specialmente nell’area meridionale, sono soggette a frequenti eventi climatici estremi: cicloni, uragani, incendi, che dimostrano quanto dovrebbero essere i dati a influenzare la politica statunitense, e non il contrario.
Negli ultimi giorni, anche un’altra agenzia, l’Environmental Protection Agency (Epa), come riporta “The Guardian”, è stata influenzata dalla partecipazione attiva di lobbysti legati all’industria del petrolio e del gas. Per guidarla, è stato scelto un ex parlamentare repubblicano, Lee Zeldin, che in passato ha votato contro alcune norme a favore dell’ambiente. Per esempio, aveva spinto per la decadenza del divieto di fracking, una tecnica di estrazione degli idrocarburi ritenuta particolarmente invasiva a causa del rischio di contaminazione chimica delle falde acquifere.
C’è quindi chi è tornato a citare il manifesto dell’ultradestra statunitense “Project 2025”, redatto da diversi ex collaboratori di Trump, che considera la Noaa “dannosa per la prosperità degli Stati Uniti”. Eppure, la quasi totalità della comunità scientifica ammette il cambiamento climatico: lo dimostra uno studio del 2021, della Cornell University (Mark Lynas, Benjamin Z. Houlton e Simon Perry) che evidenziava come secondo il 99% dei report sull’ambiente l’innalzamento della temperatura globale è frutto dell’impatto antropico.
La privatizzazione della raccolta di dati diventa una scelta politica inquietante, che potrebbe portarci indietro di anni rispetto a problematiche urgenti e trasversali per tutti e tutte, ovunque. In un mondo in cui la realtà è registrata da numeri, e l’informazione da algoritmi social, è quantomai facile privatizzare e interpretare diversamente dati che determinano le leggi e le normative in materie come l’emissione di gas dannosi e l’utilizzo di materiali fortemente impattanti.D’altronde, come i veri imprenditori che non guardano se non al profitto, Musk si è presentato come il paladino della sostenibilità quando lanciava la sua auto elettrica di lusso Tesla – costruita saccheggiando il litio africano –, e oggi si schiera apertamente a favore dell’eliminazione dei sussidi per l’acquisto delle macchine elettriche.
Per la tecno-destra l’ambiente è in cima alla lista dei nemici pubblici in tutti i Paesi occidentali. Anche in Europa. “È imperativo che il parlamento intraprenda un’azione rapida, massiccia e concreta per proteggere le nostre aziende, i nostri cittadini e il nostro futuro”, ha scritto Bardella, capogruppo dell’estrema destra di Patrioti per l’Europa e presidente del Rassemblement national, in una lettera del 28 gennaio agli altri gruppi della destra europea. L’intento è quello di ridurre le misure volte a rendere l’Unione neutrale dal punto di vista delle emissioni entro il 2050, discutendo la sospensione temporanea del Green Deal, tacciato come “fanatismo climatico”.Dopo le “rivolte dei trattori” dell’anno scorso, l’estrema destra prova a cavalcare il malcontento tra i settori colpiti dalle norme europee in materia di transizione ecologica e, purtroppo, trova consensi, sebbene rimanga incomprensibile come si possa affidare la gestione del pianeta a chi antepone il profitto economico a questioni come la salute pubblica e la crisi climatica.
Tante però sono le associazioni e le organizzazioni che si oppongono. L’8 febbraio, a Monaco, duecentomila persone sono scese in piazza contro il negazionismo climatico dell’estrema destra. La risposta all’antiecologismo della tecno-destra richiede una mobilitazione civica continua, non solo nelle strade ma anche nei media, nelle organizzazioni locali, tra sindacati e industrie.