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Non è bastato un mese di trattative per trovare un accordo. La formazione del nuovo governo in Austria è ulteriormente rinviata, dopo che i colloqui tra i conservatori del Partito popolare e l’ultradestra del Partito della libertà, sono andati a monte. Herbert Kickl ha restituito nelle mani del presidente Van der Bellen il mandato ricevuto, in quanto partito di maggioranza relativa; e questi discuterà nei prossimi giorni con le parti su come procedere. L’estrema destra non l’ha presa bene: “Con nostro grande rammarico, alla fine i negoziati non hanno avuto successo”, ha affermato Kickl in una lettera inviata al capo dello Stato. I popolari, a loro volta, hanno attribuito all’interlocutore la responsabilità della mancata formazione di un governo: “La trattativa è fallita a causa della sete di potere e dell’atteggiamento intransigente di Kickl”, ha affermato il segretario del partito, Alexander Pröll, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa austriaca Apa.
Certo, il carattere aggressivo e poco incline al compromesso del leader del Partito della libertà, che sente di avere a portata di mano un’occasione unica per consolidare il primato ricevuto nelle urne, non ha agevolato il confronto tra i due partiti, che a lungo erano parsi vicini a una convergenza. D’altro canto, anche il Partito popolare era in buona posizione per trattare sulla base di un 26,3%, ottenuto alle elezioni, che lo avvicina da presso al 29% ottenuto dai rivali.
Molti i motivi del fallimento dei colloqui: se i popolari erano intenzionati a cedere su alcuni punti, sono però rimasti intransigenti su alcune questioni di fondo. Fin dall’inizio i negoziati per una coalizione sono stati offuscati dalle divergenze, soprattutto sulle questioni di politica estera e di sicurezza. L’estrema destra è fermamente contraria a fornire ulteriore sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. Inoltre, è portatrice di istanze estremamente critiche nei confronti dell’Unione europea, mentre i popolari sono europeisti.
Le differenze sono emerse chiaramente durante i colloqui protrattisi per quattro settimane: nonostante i tentativi di avvicinamento, le due parti hanno una visione del mondo diversa. Mentre il Partito popolare punta sulla stretta integrazione internazionale della piccola repubblica, il Partito della libertà ha continuato a ribadire ossessivamente il suo slogan isolazionista che inneggia alla “Fortezza Austria”. Uno dei leader popolari, Christian Stocker, ha invitato pubblicamente il Partito della libertà ad abbandonare le posizioni da destra oltranzista, riavvicinandosi al centro, in vista delle nuove responsabilità di governo, facendo capire che, a determinate condizioni, si sarebbe trovata un’intesa; ma il suo appello è rimasto senza risposta. Anzi, nel corso delle trattative, il clima è diventato sempre più teso. Oltre alle grandi questioni di politica internazionale e di collocazione politica, la disputa è stata particolarmente aspra sull’attribuzione di due ministeri di centrale importanza, quello degli Interni e quello delle Finanze.
L’estrema destra voleva ottenere a tutti i costi, oltre alla cancelleria, anche Finanze e Interni. Ha proposto una spartizione in base alla quale si sarebbe presa solo sei ministeri, mentre ai popolari ne sarebbero andati sette, tra cui il ministero degli Esteri. Ma i conservatori moderati non volevano mollare sui ministeri ritenuti cruciali. Hanno proposto, invece, di creare un ministero ad hoc, a guida Partito della libertà, per l’Asilo e l’immigrazione. In cambio, i popolari si sarebbero presi il ministero degli Interni, inclusi i servizi segreti, e il ministero delle Finanze. Tra l’altro, sugli Interni, pesava proprio la questione dei servizi, che dovevano rimanere nelle loro mani, perché i servizi segreti occidentali avevano già chiarito che, in considerazione della posizione filorussa di Kickl, avrebbero escluso l’Austria dallo scambio di informazioni particolarmente sensibili se il ministero se lo fosse preso la sua parte politica.
Insomma, nessuno dei due litiganti era minimamente intenzionato a mollare l’osso. Al Partito della libertà le Finanze stavano particolarmente a cuore, perché, accoppiato alla cancelleria, questo ministero avrebbe permesso di partire con quel risanamento del bilancio continuamente riproposto in campagna elettorale. E Kickl non voleva lasciarlo nelle mani dei popolari, che già lo controllavano nel governo precedente, cui vengono imputate le difficoltà finanziarie in cui versa il Paese.
Il fallimento dei colloqui impedisce a un populista di destra di diventare, per la prima volta, capo del governo austriaco. La potenziale coalizione era stata vista con grande preoccupazione da una parte consistente della popolazione. Le forze della sinistra si stanno muovendo: il 4 febbraio scorso c’è stata una grandissima manifestazione a Vienna contro la destra, circa trentamila persone in piazza per manifestare contro l’imminente svolta a destra. È stata ricordata la resistenza che Vienna oppose al fascismo di Dolfuss, nel febbraio del 1934, con i nazisti che alcuni mesi dopo, al momento dell’Anschluss, dovettero “epurare” casa per casa i quartieri operai della Vienna rossa, piegati con deportazioni ed esecuzioni sommarie; e ancora le ribellioni che, per ben due volte nel corso della guerra, furono soffocate dalla Gestapo.
Difficile dire cosa avverrà ora, dopo il fallimento dei colloqui: anche nuove elezioni sono una possibile opzione. Ma i socialdemocratici e i liberali del Neos hanno recentemente fatto una campagna serrata per lanciare un secondo tentativo di colloqui di coalizione a tre, con i popolari, dopo il fallimento delle trattative tra i partiti democratici in gennaio.
Il problema è che l’atteggiamento di sfida e da asso pigliatutto di Kickl non è poi così peregrino. Il Partito della libertà non pare temere ulteriori elezioni. Dopo la vittoria dell’autunno 2024, oggi, secondo i sondaggi, il partito è in ulteriore crescita e potrebbe raggiungere circa il 34%. Secondo le stesse stime, popolari e socialdemocratici prenderebbero, rispettivamente, circa il 20% dei voti; il Neos circa il 10 e i verdi l’8%. Ecco perché, subito dopo la chiusura delle trattative, il Partito della libertà si è messo subito a strepitare chiedendo a gran voce un’immediata nuova tornata elettorale.
Il presidente Van der Bellen per il momento frena: in alternativa a nuove elezioni, potrebbe anche proporre la nomina di un governo di esperti o di transizione. In pratica, ci sono quattro possibilità su come potrebbero evolvere le cose: il Consiglio nazionale potrebbe decidere di indire nuove elezioni, potrebbe essere formato un governo di minoranza, potrebbe essere convocato, per un certo periodo di tempo, un governo di tecnici, oppure potrebbe essere trovato un governo di maggioranza, con il coinvolgimento dei partiti di centro.
Il Partito popolare ha fatto un rischioso tentativo di “addomesticare” l’estrema destra senza riuscirci; Kickl non è né Jörg Haider né Heinz-Christian Strache, figure controverse, come abbiamo ricordato su queste pagine (vedi qui), ma legate a momenti storici diversi da quello attuale – e non è neppure Giorgia Meloni. Kickl e il suo partito hanno fatto un salto di qualità: vagheggiano una rivoluzione di destra. I loro modelli di riferimento e l’orientamento ideologico si possono ritrovare nei teorici della “Grande sostituzione”, ovvero della sostituzione etnica, e in politici come Steve Bannon o il francese Eric Zemmour; potremmo dire, insomma, che il Partito della libertà è più vicino a CasaPound che a Fratelli d’Italia. Kickl apprezza il confuso magma identitario di coloro che si vedono come i salvatori della razza bianca e della civiltà. Di qui il delirio della lotta contro la decadenza della cultura occidentale, contro i diritti di genere e la cultura woke, e contro ogni mescolanza etnica attraverso la “re-migrazione” e l’isolazionismo. Qui dunque l’errore dei popolari: con una simile visione del mondo e della politica, non si può e non si deve trattare. In ogni caso, il fallimento di Kickl mostra che, fortunatamente, non è ancora così facile per la destra estrema guadagnare credibilità e farsi strada nelle istituzioni, a meno di non scendere a compromessi importanti, rinunciando alla rigidità ideologica e al bagaglio di credenze assurde.