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Daniel Noboa e Luisa González si contenderanno la presidenza dell’Ecuador in un ballottaggio il prossimo 13 aprile, dopo il “pareggio tecnico” verificatosi nelle elezioni del 9 febbraio. Con quasi la totalità delle schede scrutinate, entrambi i candidati raggiungono il 44% dei voti, con Noboa avanti di qualche decimale. I due si erano già affrontati nelle elezioni del 2023, quasi quindici mesi fa, quando Noboa era stato eletto per terminare il mandato del suo predecessore, Guillermo Lasso, dimessosi per evitare l’impeachment, diventando il più giovane presidente nella storia del Paese (vedi qui). González ha celebrato quella che ha descritto come una “grande vittoria”, dato che il responso delle urne le ha assicurato un risultato migliore del previsto. Il voto ha premiato una campagna che ha scelto di parlare ai quartieri più poveri della costa, e questi l’hanno ricambiata regalandole una prestazione storica. Ha ottenuto il miglior risultato per il suo movimento, in un primo turno, da quando Rafael Correa ha lasciato la presidenza otto anni fa.
Avvocata quarantasettenne, madre single di due figli, è stata la carta elettorale giocata dal movimento politico Revolución ciudadana, formazione progressista anti-neoliberista guidata dall’ex presidente Correa, esule in Belgio dopo essere stato condannato definitivamente a otto anni di carcere per tangenti, nel quadro dello scandalo Odebrecht. González è stata una delle personalità politiche più vicine a Correa, presidente nel decennio 2007-2017. Il suo è il secondo tentativo di conquistare la presidenza, dato che nel 2023 era stata battuta al ballottaggio proprio da Noboa. Vanta esperienze prima al ministero del Lavoro, e poi come deputata dell’Assemblea nazionale, sciolta da Guillermo Lasso a metà del 2023. In precedenza, aveva ricoperto altre posizioni dirigenziali in istituzioni pubbliche e delegazioni diplomatiche presso il consolato dell’Ecuador a Madrid. Nel 2024, ha assunto la presidenza della Revolución ciudadana, di cui è stata anche segretaria. La caratteristica che la contraddistingue è il suo agire discreto teso a evitare la polemica, una peculiarità che la pone agli antipodi rispetto al modo di fare di Correa. “Abbiamo infranto il voto storico della Revolución ciudadana degli ultimi dieci anni. Grazie al mio popolo, grazie alla mia patria. (…) Non dimentichiamo ciò che stiamo affrontando: contro un candidato alla presidenza, che ha usato il potere dello Stato e i suoi beni per fare campagna elettorale”.
Originaria della provincia di Manabí, è cresciuta in campagna, dove ha lavorato nei campi. Ha conseguito un master in Economia presso la Complutense di Madrid. Ha mosso i primi passi nella destra neoliberista del Partito social-cristiano (Psc), e ha fatto il salto a sinistra attratta dal messaggio cristiano-socialista di Correa, del quale dai suoi detrattori è considerata una marionetta. Un’accusa ingiusta, che in qualche misura le ha complicato la vita, come riesce a complicargliela il suo appartenere a un movimento visto come una riproposizione del “vecchio” in politica – contrariamente al camaleontismo cui Noboa ha fatto ricorso per travestire di novità la sua proposta di governo.
González si propone di combattere “il neoliberismo criminale” e “la destra rabbiosa”, rappresentata da Noboa. In cambio, offre “pace e sicurezza, lavoro dignitoso e stabile, salute e istruzione gratuite”. Per questo dice che il ruolo dello Stato deve essere “recuperato”. Se vincerà, diventerà la seconda donna ad arrivare al potere in Ecuador, dopo i tre giorni di interinato di Rosalía Arteaga che, nel 1997, aveva sostituito Abdalá Bucaram, che si era guadagnato il ripudio popolare a causa della condotta imbarazzante, dei suoi molteplici scandali per corruzione e del suo piano economico neoliberista. Destituito dal Congresso, nel febbraio 1997, per “incapacità mentale” di governare.
Appreso il risultato del voto, González ha subito chiesto l’unità della sinistra in vista del secondo turno, rivolgendosi in particolare a Leonidas Iza, leader della formazione indigenista e socialista Pachakutik, braccio politico della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie), che ha ottenuto il 5,26%. Come terzo candidato più votato, Iza diventa determinante, mentre il suo risultato si è rivelato ampiamente migliore dei pronostici della vigilia, a scapito dei tentativi di screditarlo per il ruolo nello sciopero nazionale del 2019 e per il suo discorso radicale (vedi qui). Il leader indigeno però non si è sbottonato su quale dei due candidati appoggerà. “Qui non daremo voti a nessuno, coloro che sono disposti a difendere come noi difendiamo il Paese lo sapranno pubblicamente e collettivamente. Nel frattempo, dovranno avere pazienza per capirci e ascoltarci”, ha dichiarato. “I partiti politici che hanno dominato in questo periodo sono scomparsi. La vecchia politica è rappresentata in questo momento dal candidato di destra. (…) Stiamo vivendo un processo polarizzato dall’odio; ma c’è un 5% che è disposto a combattere per il popolo. E su questa base costruiremo un Ecuador diverso”, ha detto, attaccando duramente Noboa. Ma Pachakutik muove forti critiche anche all’operato dell’ex presidente Rafael Correa e di Revolución ciudadana, il cui governo accusa di corruzione e di avere applicato politiche estrattiviste, che mettono a rischio l’ambiente. Un tema molto sentito nel Paese, che recentemente ha anche approvato alcuni referendum ambientalisti. Vista la sua collocazione a sinistra, pare lecito pensare che Pachakutik farà confluire i suoi voti su Luisa González, o, in alternativa, ingrosserà il voto bianco e nullo, essendo in Ecuador obbligatorio votare.
Quanto all’altra González, Andrea, candidata di estrema destra, ha superato di poco il 3%, mentre sono risultati irrilevanti gli altri dodici candidati al di sotto dell’1%. Sono tutti voti, compresi i nulli e i bianchi, che faranno gola all’uno e all’altro schieramento, visto che poche migliaia di consensi saranno decisivi per vincere la partita presidenziale. In attesa del risultato finale del conteggio, che tarda a venire, Luisa González ha affermato di avere superato Noboa di due punti percentuali, e ha incolpato il Consiglio elettorale nazionale per il fatto che questo risultato non si riflette nel suo sistema.
Nel nuovo parlamento, Acción democrática nacional (Adn), il partito di Noboa, dovrebbe ottenere tra i 65 e i 68 seggi, mentre Revolución Ciudadana (Rc) ne avrebbe 64, sui 151 che compongono il Congresso. Nessuna delle due principali forze otterrebbe la maggioranza indispensabile per approvare leggi, ed entrambe dovrebbero cercare accordi con altri movimenti che hanno ottenuto risultati minori. Con Pachakutik, che avrebbe ottenuto circa otto rappresentanti, o con il conservatore Partido social-cristiano (Psc), che avrebbe tra i quattro e cinque deputati, e con la formazione di centrodestra, Construye, che dovrebbe avere un solo seggio, mentre alcune forze locali ne avrebbero due o tre. Nei prossimi giorni, avrà inizio la fase delle trattative. Di fatto, nonostante il sogno di vincere al primo turno sia sfumato, nel nuovo legislativo l’Adn è la prima forza, mentre in quello uscente la formazione più consistente era quella di Correa.
Noboa non ha saputo nascondere la propria delusione, e ha sorpreso tutti disertando la conferenza stampa, preparata per lui durante la notte dei risultati. Ci si aspettava che parlasse al Paese, e il suo silenzio ha creato sconcerto nella stampa. Soltanto in seguito si è fatto vivo con un messaggio su X: “Grazie per la speranza e il coraggio di credere di nuovo che questo Paese può essere diverso. Ora, continuiamo a lottare”, ha dichiarato. Ma nessuno di Adn ha rilasciato dichiarazioni sul risultato, mentre una festa, organizzata in un hotel di Quito, è stata cancellata.
Trentasette anni, Noboa, dopo la rinuncia di Guillermo Lasso, è passato da membro dell’assemblea parlamentare poco conosciuto a più giovane presidente eletto, come già detto, nella storia dell’Ecuador. Il suo scopo era quello di distanziarsi dall’impopolare Guillermo Lasso, senza rompere con la destra, dove intendeva pescare la maggioranza dei suoi voti. Per questo, all’inizio, si è presentato come un esponente del centrosinistra, non rompendo il dialogo con il correismo, e promuovendo di se stesso un’immagine di uomo nuovo, diverso dalla politica tradizionale ecuadoriana. Appartiene alla terza generazione di una famiglia di ricchi imprenditori di Guayaquil che ha accumulato fortune esportando banane, e ha espugnato il Palacio de Carandolet, sede presidenziale, al suo primo tentativo; mentre suo padre Álvaro non ci era riuscito con cinque candidature. Nessuno ci aveva provato più di lui nella storia dell’Ecuador. Incarna i destini di una dinastia imprenditoriale che aspira a prendere in mano le leve del potere politico: anche se, musicista nella sua formazione giovanile, aveva inizialmente preferito l’organizzazione degli eventi artistici alla commercializzazione della produzione di famiglia. Il suo primo mandato da capo dello Stato si è caratterizzato per il frequente vacillare delle garanzie dei diritti umani e per la conseguente forzatura delle prerogative presidenziali.
Le votazioni si sono svolte sotto lo stato di “conflitto armato interno”, dichiarato da Noboa all’inizio del 2024 per affrontare il crimine organizzato, principale responsabile dell’aumento della violenza in Ecuador. Nel 2023, il Paese ha registrato il più alto tasso di assassini in America latina, rendendo la sicurezza un tema chiave della campagna, con un tasso di omicidi cresciuto da sei ogni centomila abitanti, nel 2018, a trentotto nel 2024, superando il record di quarantasette nel 2023. Un tempo sicuro, se paragonato alla Colombia o al Perù, soffre ora della presenza di bande criminali che, con i cartelli messicani, impongono il terrore. Grazie alle misure adottate è stato possibile ridurre gli omicidi da 8.248, nel 2023, a 6.987 nel 2024; ma gennaio è stato il mese più sanguinoso nella storia dell’Ecuador, dato che ne sono stati registrati 731, quando, per esempio, nel 2021, ce ne furono solo 119. Alla fine, la politica di Noboa in tema di sicurezza non ha portato i risultati promessi, e il voto popolare ne ha preso atto.
Una vittoria di Luisa González potrebbe offrire più di qualche possibilità a Correa, il padre di Revolución ciudadana, di poter far ritorno in Ecuador grazie a qualche provvedimento che cancelli la sua condanna definitiva. Un desiderio da lui da tempo accarezzato, giustificato dalla voglia di riscattare la sua figura dall’ignominia della sanzione penale, che considera nient’altro che uno sporco caso di strumentalizzazione della giustizia. Se ciò accadesse, Correa potrebbe ritornare a dettare l’agenda politica del Paese, convinto, com’è, della sua insostituibilità. Un abbaglio di cui, tolto Pepe Mujica, sono stati vittime recentemente anche Evo Morales e altri. Al punto che una seria riflessione sul tema del ricambio delle leadership della sinistra latinoamericana condurrebbe a porci qualche domanda sulla vera natura di questi movimenti, rischiando di portarci davvero molto lontano.