Si chiama We-Z: è un progetto di rigenerazione urbana rivolto agli abitanti delle case popolari di Vigne Nuove, quartiere della periferia nord di Roma, nato all’inizio degli anni Settanta e realizzato da un gruppo di progettisti coordinato dall’architetto Lucio Passarelli, allievo di Bruno Zevi e autore di opere considerate, all’epoca, innovative e tutte all’insegna del modernismo. Oggi l’opera di Passarelli appare come un blocco compatto di cemento grigio triangolare, che evoca l’immagine di una grande muraglia, con alte torri cilindriche esterne che contengono gli ascensori. Al suo interno 524 alloggi per 3300 abitanti, su un’area triangolare di otto ettari. Per gli abitanti del Terzo Municipio della capitale, quella costruzione (paragonata a volte al serpentone di Corviale) è diventata nel corso degli anni “Stammheim”, per una non tanto vaga somiglianza con il penitenziario di Stoccarda.
E ora Stammheim vuole rinascere, a partire dalla condizione dei più giovani, che nel quartiere vivono condizioni difficili. We-Z si rivolge infatti a tutti i residenti di Vigne Nuove, alle scuole e alle associazioni della società civile, ma in particolare ai giovani tra i 10 e i 25 anni, da qui il nome We-Z. Particolare attenzione sarà dedicata alla salute dei giovani, che sono sempre più in crisi, dall’ansia ai disturbi alimentari. Si tratta quindi di un progetto di rigenerazione urbana e sociale, che punta a trasformare il quartiere di Vigne Nuove attraverso “la valorizzazione del patrimonio naturale, urbano e umano”. We-Z, sostenuto dal Municipio di Roma III e ideato dal Dipartimento di Architettura di Roma Tre, ha avuto un finanziamento di cinque milioni di euro nell’ambito della European Urban Initiative-Innovative Actions del programma New European Bauhaus in Region and Cities. Il progetto – che si basa quindi esclusivamente su fondi europei, senza risorse dirette del Comune – è per Roma una novità, come spiegarono all’atto della presentazione il presidente del III Municipio, Paolo Marchionne, e l’assessora alla Rigenerazione urbana, l’architetta Biancamaria Rizzo. “È la prima volta che la città di Roma riceve un finanziamento in questa area progettuale, cosa che ci inorgoglisce ancora di più – spiegarono Marchionne e Rizzo – per un risultato possibile grazie alla stretta collaborazione con il Dipartimento pianificazione strategica di Roma Capitale, al fondamentale contributo dell’Università Roma Tre, e in particolare del professor Giovanni Caudo e della dottoressa Federica Fava, in partnership con Asl Roma 1, Ater Roma, Soprintendenza statale e con il supporto di una vasta rete di realtà locali”.
Per il Terzo Municipio si tratta di una occasione importante per dimostrare le grandi potenzialità della progettazione urbanistica e sanitaria, entrambe sempre più svalutate e messe in disparte dalla grande architettura e dalla gestione politica del territorio. Nel progetto, convergono non a caso vari aspetti che lo caratterizzano immediatamente come una scommessa contro corrente proprio nell’anno del Giubileo, che nella dimensione cittadina allargata sembra indirizzarsi, al contrario, verso il format del grande evento e dell’attrazione commerciale del turismo “mordi e fuggi” (vedi qui). E se al centro trionfano sempre di più gli interventi dei marchi del lusso, in periferia si punta ad attivare “una riqualificazione profonda dell’ambito urbano – come spiegano Marchionne e l’architetta Rizzo – e ad avviare processi rigenerativi propedeutici a garantire il benessere delle persone, soprattutto dei giovani, che lo abitano”.
D’altra parte, il protagonista dell’impresa, Giovanni Caudo, docente di urbanistica all’Università Roma Tre, con una grande esperienza anche amministrativa alle spalle, non è nuovo a questo tipo di progettazione architettonica-sociale. Prima di Vigne Nuove, nel 2017, ha avviato infatti l’esperienza del Laboratorio di Città Corviale, dove all’interno del lungo serpentone l’Università è intervenuta per sostenere i progetti di risanamento interno delle famiglie che si erano autocostruite spazi di abitazione al quarto piano del grande blocco di cemento. Con il progetto Vigne Nuove si prosegue su quella stessa strada, ma facendo dei passi avanti rispetto alla qualità urbanistica e, al tempo stesso, psicologica dell’intervento. “La nostra idea forte – spiega Caudo – si basa sul coinvolgimento delle persone, sulla partecipazione attiva e quindi sulla formazione di piccole comunità che sappiano discutere dei bisogni del quartiere e individuare insieme i possibili interventi”. All’interno del grande complesso di cemento, si ricaveranno quindi degli spazi di incontro, a partire dalla sede operativa di We-Z, già in funzione. Fa una certa impressione visitarla da parte di chi è abituato a vedere Stammheim dall’esterno. Imboccati i corridoi di passaggio al piano rialzato dei grandi palazzoni, ci si imbatte a un certo punto in una piccola piazzetta, davanti a una vetrata delle sale di We-Z. L’aria, più che alla periferia romana, fa pensare ad ambienti mitteleuropei, evocati anche dalle ricercatrici e dai ricercatori di Roma Tre che parlano con naturalezza, a due passi dal Tufello, dell’esperienza del Bauhaus, la grande scuola di arte e design ideata da Walter Gropius, che operò in Germania durante la Repubblica di Weimar, dal 1919 al 1933, fino all’avvento del nazismo (ci lavorò anche Paul Klee).
La scommessa, per tornare nella nostra periferia, è quella di passare dalla teoria architettonica alla pratica sociale. Ma non sarà facile, perché il quartiere ha subito una regressione nel corso degli anni e non ha permesso di realizzare gli scopi iniziali dei progetti che al tempo, in pieni anni Settanta, puntavano sulla grande dimensione, con numerosi abitanti insediati in un edificio unitario, e con l’utilizzo delle conseguenti attrezzature collettive come condizione necessaria per diminuire la sensazione di lontananza dalla città. Per raggiungere, così pensavano gli architetti che collaborarono con Passarelli, quell’effetto urbano che mancava nella confusa periferia romana. Il risultato fu però il contrario delle aspettative, e quella prospettiva, che avrebbe dovuto collegare (almeno idealmente) la periferia al centro, si è andata progressivamente chiudendo.
Con We-Z si tenterà di invertire prima di tutto la tendenza all’isolamento attraverso il risanamento. Si partirà dalla rigenerazione di un’area verde, che nei progetti iniziali degli architetti che progettarono il complesso avrebbe dovuto diventare un parco pubblico, ed è invece stata abbandonata. Simbolico un ponte che attraversa una delle strade confinanti con il grande triangolo di cemento di Vigne Nuove, che avrebbe dovuto portare i residenti direttamente nel parco. Il ponte è rimasto sospeso nel vuoto, il parco è diventato una mezza discarica.
Ma l’altra parte del progetto, il livello di intervento sulla salute e in particolare sulla salute mentale, ha anch’essa una notevole importanza, vista la domanda e i bisogni di salute oggi compressi da politiche che negano il welfare pubblico, e spingono verso una privatizzazione dei servizi sanitari che escluderanno, negli anni, sempre più persone. Se n’è cominciato a discutere la scorsa settimana, in una iniziativa organizzata da Roma Ricerca Roma (il gruppo di studiosi, ricercatori, giornalisti, attivisti sociali, artisti, scrittori e creativi che elabora proposte per Roma) nella sede di We-Z di Vigne Nuove, con esperti e operatori del settore. Di particolare interesse gli interventi della ricercatrice Patrizia Di Caccamo, che ha presentato dati mondiali sulla diffusione delle malattie del cavo orale e dei denti. Un fenomeno che colpisce soprattutto i bambini e gli adolescenti delle aree più povere del mondo, ma che sta tornando di grande attualità anche in Italia, dove le famiglie sono costrette a fare delle scelte che portano in numeri crescenti alla rinuncia alle cure. Anche a quelle dei figli. Durante la stessa iniziativa, è intervenuta Elisabetta Papini, infermiera e soprattutto attivista del Forum per il diritto alla salute, che ha presentato un programma in sedici punti elaborato insieme a Medicina democratica. Insomma, un hub in periferia dove si vogliono coinvolgere le persone per realizzare un progetto di rigenerazione dal basso, in cui echeggiano grandi esperienze storiche, tra il Bauhaus e Giulio Alfredo Maccacaro, medico, biologo e partigiano, che fondò nel 1972 Medicina democratica e il movimento di Lotta per la salute, proprio mentre si cominciava a costruire la Stammheim del Tufello.