La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, reduce dal viaggio d’affari in Arabia Saudita e dal clamore internazionale suscitato dalla sua presenza (unica politica europea) sul palco americano di Trump, cerca ora un’altra “vittoria” in casa: l’appoggio ai banchieri che puntano alla scalata di Mediobanca, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri, il fiduciario degli eredi di Del Vecchio. Una scalata, quella di Mps, il Monte dei Paschi di Siena salvato con soldi pubblici, che secondo gli osservatori più attenti punterebbe in realtà al vero colpo grosso: la conquista delle Generali, considerata la cassaforte del risparmio degli italiani. Nel frattempo, sullo sfondo, si sta consumando un altro scontro tra giganti, quello che ha per protagonista Unicredit, che negli ultimi tempi ha mostrato un attivismo straordinario, passato dalle tentate scalate alle banche tedesche (Commerzbank) a quelle nazionali, Bpm, la Banca popolare di Milano, altro fortino storico della finanza.
Si ripropone così, in forma di “risiko” bancario, quella che una volta veniva definita “la guerra per banche”. Si tratta di una sorta di terremoto negli assetti del potere economico e finanziario, ma soprattutto di una vicenda che meriterebbe di essere conosciuta e analizzata oltre gli steccati degli esperti e della stampa specializzata. È infatti una partita politica quella che si sta giocando, uno scontro che nasconde ambizioni di potere che vanno molto al di là degli assetti dei singoli istituti bancari o assicurativi. I politici della destra (ormai tecnodestra), a partire dalla premier, con questo nuovo protagonismo anche nel campo dell’alta finanza, sembra che abbiano portato a conclusione una virata culturale radicale maturata negli ultimi dieci anni: dall’antico attacco populista e nazionalista al complotto pluto-giudaico-massonico, e ai finanzieri rapaci alla Soros, visti come Dracula mangia-soldi del popolo, ora la destra assume una posizione molto più aperta al capitale finanziario, e che anzi si traduce sempre più spesso in una vera e propria apologia del capitalismo dominante. Dai banchieri nemici del popolo ai banchieri, e agli speculatori finanziari, osannati e cercati come alleati nel consolidamento dei poteri costituiti. Fanno testo, in questa direzione, le immagini degli incontri ravvicinati di Meloni con i boss della finanza e con Musk in particolare. E fanno testo (dietro al palco) gli appoggi espliciti ai Caltagirone di turno, che vengono presentati come gli alfieri della finanza nazionale contro la cattiva finanza internazionale. La “rivoluzione passiva” atterra a Piazza Affari.
Apparentemente, la partita sembra giocarsi quindi tra “nazionalisti” e “globalisti”, perché sia Meloni sia i suoi ministri leghisti, Giorgetti e Salvini, dicono di preferire i capitalisti nostrani (Caltagirone) ai banchieri aperti alle alleanze straniere, come sembra volere fare Unicredit guidato da Andrea Orcel. In realtà lo scontro non è affatto ideologico o di puro posizionamento politico. Il governo Meloni si mostra per quello che è realmente: un crocevia di interessi che vanno da Siena a Piazzetta Cuccia, fino a Trieste, dominata dal leone delle Generali. Ma lo scontro è anche camuffato, perché il governo non ha alcun interesse a difendere il carattere “nazionale” dell’economia italiana, e non ha più alcun residuo di “statalismo”, come dimostrano le mosse del ministro Salvini, che ha sollevato un gran polverone sul sabotaggio della rete ferroviaria solo per avvicinarsi al suo obiettivo principale: la privatizzazione completa delle Fs.
Il bluff della destra sull’ideologia della nazione prima di tutto, della patria agli italiani e degli italiani prima di tutto, si mostra anche in questo nuovo risiko bancario. Si usa l’argomento della difesa dell’italianità per coprire tutt’altre scelte. Caltagirone sarebbe davvero il paladino degli interessi dei lavoratori e dei risparmiatori italiani? E poi, i risparmi degli italiani sono più tutelati e messi a frutto se a controllarli si scelgono i paladini del capitale nazionale? E ancora, in un’epoca di mondializzazione, esistono ancora capitalisti nazionali? Qualcuno risponde di sì, perché nella scalata a Mediobanca non ci sono solo i capitalisti “privati”, ma c’è anche il capitale pubblico rappresentato dal ministero dell’Economia e della Finanza, guidato attualmente da Giancarlo Giorgetti.
Il gioco però è un altro – ed è truccato. Perché l’obiettivo di Giorgia Meloni non è sicuramente quello di salvaguardare il risparmio degli italiani e di indirizzare le enormi risorse delle famiglie verso l’economia nazionale. Lo ha spiegato molto bene, sul “manifesto”, l’economista Emiliano Brancaccio che si pone una domanda “scientifica” prima che politica: “È proprio vero che affidare il controllo delle banche e delle assicurazioni italiane a famiglie di capitalisti nazionali garantisce che il risparmio sia reinvestito nel Paese? Siamo sicuri cioè che banchieri privati nazionali favorirebbero il territorio nazionale?”. Una volta (forse) sarebbe stato così. I banchieri avrebbero raccolto il risparmio dei loro clienti a livello territoriale e avrebbero favorito, finanziandole, le imprese di quel territorio specifico. “Oggi però il mondo è cambiato – scrive Brancaccio –, la centralizzazione dei capitali ha ormai avvinghiato la banca moderna al mercato finanziario, in un abbraccio che ne muta radicalmente la natura”. Così il banchiere contemporaneo ha ancora “le sue aderenze territoriali”, “ma non può privilegiare il territorio d’origine. Il suo obiettivo vitale, infatti, è creare per i clienti un valore almeno pari a quello che offrono le altre attività sul mercato. E a tale scopo deve mobilitare il risparmio in ogni dove, purché siano garantiti i rendimenti”.
Potremmo aggiungere che, nonostante la ventata protezionistica che arriva dall’America di Trump, l’economia mondiale è sempre più connessa in un’unica rete. Basta guardare gli andamenti delle piazze finanziarie. Negli ultimi giorni, tutte le Borse europee hanno chiuso in ribasso in attesa delle decisioni sui tassi della Fed e della Bce, in agenda rispettivamente per domani e giovedì, e sulla scia della performance di Wall Street, che ha aperto in profondo rosso per i timori indotti dall’ultimo modello di intelligenza artificiale della startup cinese DeepSeek, nuovo programma di intelligenza artificiale generativa a basso costo. L’altra faccia dell’incertezza delle Borse è determinata dalla posizione degli Stati Uniti in materia di dazi (anche alla luce della vicenda colombiana). Per quanto riguarda il nostro cortile di casa, non basterà seguire le prossime puntate del “risiko”. Tramontati i tempi della “nostra banca”, sinistra e sindacato non hanno più niente da dire?