Svetta altera sul panorama circostante, in cui gli edifici raggiungono tutt’al più gli otto piani. È la Torre Milano di via Stresa, un grattacielo residenziale di ventiquattro piani, ora al centro del primo processo per la “palazzopoli” milanese. A guardarla da vicino colpisce, oltre che per le dimensioni, per la sensazione di lusso che dà. Non è bella, sebbene voglia rifarsi ad altre più nobili architetture milanesi: strizza l’occhio ai grattacieli progettati da Luigi Mattioni, come la Torre Breda, guarda alla Terrazza Martini, di cui offre però una versione involgarita dalla necessità di guadagnare spazi, di sfruttare al massimo l’investimento. A tratti massiccia, pesante, è l’emblema di una Milano a caccia di real estate, di investimento in solido mattone e di spazi privilegiati.
Nonostante stilisticamente vi sia un richiamo razionalista, e appaia ispirata ai grattacieli simbolo del boom economico, tenendo conto delle vicine architetture di Giò Ponti e Luigi Caccia Dominioni, dà una strana impressione. Quella di un Kitsch un po’ gelido, con tratti di brutalismo, una sorta di non celata arroganza da nouveaux riches, per il modo in cui si impone in un paesaggio urbano fatto di residenze basse e ricche di verde, caratteristiche dei circostanti quartieri del Villaggio dei giornalisti e della Maggiolina. La Torre consiste in oltre cento appartamenti distribuiti su ventiquattro piani, e raggiunge gli 82 metri. All’interno, è dotata di un giardino, di tutti i servizi, tra cui spicca la portineria con addetto in divisa. Al piano terra, un’eccezionale dotazione di servizi: una palestra, una piscina e un campo da bocce; mentre, nei piani interrati, sono stati realizzati centocinquanta box auto.
Il belvedere del ventiquattresimo piano ha prezzi vertiginosi – ma neppure scherzano gli appartamenti ai piani alti, per cui si parla di cifre intorno ai 13.000 euro a mq. Gli appartamenti hanno tagli estremamente razionali e, secondo le agenzie immobiliari, presentano una cura quasi maniacale alla vivibilità. Non manca, come sempre, il green, dato che identifica l’attenzione prestata alla sostenibilità: classe energetica A, pannelli fotovoltaici, vasca per la raccolta delle acque piovane per l’irrigazione, impianto di ventilazione controllata, ampia area di verde condominiale. Torre Milano è decantata, negli annunci, anche per un record curioso: rappresenta il primo progetto in Italia di collaborazione tra una società di sviluppo immobiliare e Amazon, che con il suo dispositivo Alexa, integrato nel sistema MyHome, incluso nel capitolato degli appartamenti, pare dovrebbe consentire a chi lo desideri di controllare con la voce le principali funzioni del sistema domotico (termoregolazione, videocitofoni, luci, tapparelle).
“La città ti porta in alto” – era lo slogan che accompagnava il progetto della Torre Milano, che ha regalato a molti milanesi abbienti il sogno di una casa esclusiva in pieno centro. Ma ora il grattacielo rischia di trascinare verso il basso sia chi l’ha costruito sia chi ha permesso che fosse realizzato: rinviati a giudizio, infatti, per abuso edilizio e lottizzazione abusiva, otto tra imprenditori, progettisti, tecnici, funzionari e dirigenti dello sportello unico dell’Edilizia e della Direzione urbanistica del Comune di Milano. Nel mirino dei giudici, una costruzione che avrebbe portato “ingiusto vantaggio economico” agli imprenditori. Il processo si aprirà il prossimo 11 aprile. Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri – Paolo Filippini, Marina Petruzzella e Mauro Clerici –, l’intervento per la realizzazione della Torre Milano è stato “qualificato come ristrutturazione edilizia, con totale demolizione e ricostruzione e recupero integrale della superficie lorda di pavimento preesistente”. Tuttavia, la struttura “andava integralmente qualificata di ‘nuova costruzione’”, con regole sulle volumetrie ben diverse, ben diversi oneri per i costruttori. Questo il modo, secondo l’accusa, con cui sarebbe stato procurato un “ingiusto vantaggio economico” ai soggetti coinvolti. I pubblici ministeri contestano anche il reato di falso, dato che, a loro avviso, si tratterebbe di un edificio del tutto nuovo, soggetto perciò a normative diverse per quel che concerne le dimensioni.
Certo, il palazzo dalle cui ceneri è nata la Torre Milano era un rudere degradato e occupato, poi sgomberato e demolito. Alcuni degli abitanti della zona avevano salutato con soddisfazione la sua distruzione, salvo poi ricredersi quando la nuova costruzione, sorta al suo posto, ha oscurato completamente le loro case, tenendole in ombra per diverse ore al giorno. La costruzione è iniziata nel 2018 e terminata nel 2023, con la realizzazione di un edificio che secondo i pm è dunque da considerarsi “completamente nuovo”, e non una “ristrutturazione”, come invece era stato qualificato, secondo il consueto sistema di fare rientrare nella normativa prevista per la Scia anche operazioni edilizie di grande respiro.
Pare quindi che i nodi (in questo caso i palazzi) stiano venendo al pettine. Cominciano a profilarsi altri processi per la “palazzopoli” milanese, mentre il decreto SalvaMilano (vedi qui), dopo una partenza a razzo alla Camera, con approvazione da parte di un fronte trasversale, con il solo voto contrario dell’Alleanza verdi-sinistra e dei 5 Stelle, sta rallentando il suo iter per i molti dubbi e critiche che ha sollevato. Ma la partita non si gioca solo a livello giuridico e parlamentare. L’appello di centoquaranta urbanisti, unitamente al coraggioso lavoro di denuncia e demistificazione da parte della giornalista e saggista Lucia Tozzi (vedi qui), sta provocando un risveglio: si moltiplicano gli incontri per denunciare, da sinistra, la sottrazione di risorse e spazi pubblici e l’intreccio tra Palazzo Marino, costruttori e immobiliaristi che ha condotto alle quindici inchieste in corso. E queste potrebbero essere solo la punta dell’iceberg di un “sistema Milano” di gestione della città tutt’altro che trasparente.
Il sindaco Sala appare in difficoltà, mentre strani emendamenti, proposti da Fratelli d’Italia al SalvaMilano, sembrano profilare un’operazione politica che mira non solo alla salvaguardia e al consolidamento di quanto avvenuto in passato, ma sottintende un’autorizzazione a proseguire su questa linea. Quale che sia l’esito della partita, su un piano più generale molto rimane da dire sui limiti di un’economia urbana come quella milanese, avvitata tra immobiliarismo e grandi eventi, incapace di inserirsi nei settori più avanzati e di competere nelle grandi sfide tecnologiche.