Quando Elly Schlein vinse le primarie del Partito democratico, il 28 febbraio del 2023, per essere poi incoronata segretaria il 12 marzo (vedi qui), in molti temettero che il Pd cominciasse a “dire cose di sinistra”. Questa preoccupazione determinò alcune fughe dal partito fondato da Walter Veltroni, da parte di parlamentari e dirigenti – non risultano abbandoni importanti di militanti – come il liberale Carlo Cottarelli, che mise in guardia da una possibile deriva minoritaria del Nazareno, o il cattolico moderato Beppe Fioroni, che accusò incredibilmente la segretaria di averlo “sfrattato dal partito”. Altri restarono – ma con forti mal di pancia, e in ogni caso con la non tanto celata speranza di un fallimento elettorale della ex vicepresidente dell’Emilia-Romagna, così da riaprire i giochi, pur con le conseguenze catastrofiche che possiamo immaginare.
Questa variegata area centrista si è confrontata, sabato 18 gennaio, in due differenti appuntamenti. Il primo a Milano, con “Creare legami, guarire la democrazia”, organizzato da Comunità democratica di Graziano Delrio, a cui ha preso parte un pezzo di mondo cattolico, però con importanti defezioni, come quella di Rosy Bindi, che ha comunque avviato una interlocuzione attraverso un articolo uscito su “La Stampa”. L’incontro è stato arricchito da un intervento a distanza dell’ex premier Romano Prodi e dalla presenza della new entry Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle entrate, che a più riprese ha negato l’intenzione di volersi impegnare in politica, malgrado i fatti dicano tutt’altro.
Secondo appuntamento a Orvieto, dove l’associazione Libertà eguale, nella figura del costituzionalista cattolico ed ex deputato democratico Stefano Ceccanti (fondatore venticinque anni fa dell’associazione, con Enrico Morando e Giorgio Tonini), ha chiamato a raduno, nell’iniziativa “Idee per una sinistra di governo”, “riformisti” laici e cattolici, tra i quali spiccava l’ex commissario europeo, nonché ex premier, Paolo Gentiloni, cattolico doc, convertito da tempo a un moderatismo tecnocratico europeista dopo anni trascorsi a sinistra.
Pur avendo tratti in comune, i contenuti dei due convegni si sono caratterizzati per delle differenze. Se tra i protagonisti dell’incontro di Milano c’erano anche personaggi annoverati tra i “pacifisti” – come Paolo Ciani, riferimento della Comunità di Sant’Egidio, e la presidente dell’Umbria Stefania Proietti –, non mancavano comunque atlantisti doc, come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che avrebbe trovato logicamente più cittadinanza in quel di Orvieto, dove non tirava alcun’aria di sinistra. A Milano ci si è interrogati sul “che fare” rispetto alla guerra in Ucraina e intorno al ruolo della Nato, cercando di individuare strade diverse da quelle percorse finora, per non lasciare solo in mano alla peggiore destra una soluzione del conflitto. A Orvieto, invece, è stato ribadito che si deve andare avanti come prima; e, alla ricerca di possibili convergenze con la destra, non si è proferita parola alcuna contro il pericoloso disegno di legge sulla sicurezza, che ha visto tutta l’opposizione (a eccezione di Italia viva) suonare l’allarme democratico in Europa, insieme con le associazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Per non parlare del liberismo, che in quest’area politica non si intende mettere in discussione più di tanto, malgrado le disuguaglianze, le povertà crescenti e un lavoro sempre più precario.
Del resto, se ad alcuni fa tanta paura il pur timido spostamento a sinistra del Pd, è perché il partito di sinistra non è mai stato; con l’eccezione del periodo della segreteria di Bersani, che fece un’alleanza con Sel (Sinistra ecologia libertà) vincendo le elezioni del 2013, senza però riuscire a formare un governo, malgrado si fosse avvicinato al 30% dei voti. A dimostrazione, comunque, che stare a sinistra paga, sebbene in quel caso non fosse stato sufficiente, anche a causa dell’atteggiamento allora ostile dei 5 Stelle. Al contrario, nel 2022, con la sciagurata segreteria di Enrico Letta, iperatlantista e più draghiana di Draghi, responsabile della mancata alleanza con i 5 Stelle, il Pd ha conseguito la peggiore sconfitta elettorale della sua tormentata storia.
Era da un po’ che non spiravano i venti anti-Schlein, silenziati dai successi elettorali alle europee e, sia pure parzialmente, alle amministrative, con la riconquista della regione Umbria. Ma il tiro a segno ora ricomincia. E a questo punto le ipotesi sono due: formare un nuovo partito centrista, quel terzo polo finora fallito, ma che con i cattolici – i quali, a più di trent’anni dalla fine della Democrazia cristiana, sono senza casa – potrebbe avere una timida chance, senza particolari illusioni. Nascerebbe così una sorta di “Margherita 2.0”, che sancirebbe di fatto, una volta per tutte, il fallimento veltroniano, visto che si ritornerebbe al punto di partenza, non si sa con quali consensi elettorali. Oppure, messa da parte l’ipotesi di un partito, non è da scartare una scalata al Pd, come quella di renziana memoria, con tanto di ricerca di un federatore: per esempio, il solito Gentiloni per fare un nome che, secondo qualcuno, farebbe crollare l’astensionismo, mentre, più verosimilmente, sarebbe il “de profundis” del centrosinistra.
Sta ora alla segretaria – e al gruppo dirigente che la sostiene – tenere a bada queste scosse che potrebbero mettere seriamente a rischio un partito che, pur godendo al momento di buona salute, deve ancora stabilizzare un’alleanza con i 5 Stelle, l’Alleanza verdi-sinistra e altri soggetti, contro una destra divenuta, soprattutto dopo la vittoria del duo Trump-Musk negli Stati Uniti, più difficile da fronteggiare, e dinanzi alla quale non ci si può permettere né scissioni – ma in questo caso la parola sarebbe fin troppo nobile – né miserabili tentativi di far fuori, con giochi di potere, una leader eletta democraticamente.
“Forse suggerirei alla segretaria Elly Schlein – sostiene Rosy Bindi – di fare discutere, di avviare una fase costituente, onde evitare che si formino aggregazioni di potere che magari strumentalizzino le culture ma hanno altri fini”. Insomma, l’era dei parenti serpenti è ben lungi dall’essere relegata nel passato del Pd, alle cui carenze si deve gran parte del successo della destra e della crisi della democrazia italiana.