Che succede se la destra governa bene? È una domanda che le opposizioni dovrebbero regolarmente porsi. Tanto più se di sinistra. E con una certa tenacia, se si trovano in una congiuntura in cui sono le opposizioni che sembrano fuori dalla storia, come in questo attuale passaggio. Il tema ce lo siamo posto nel ventennio berlusconiano, sicuri che il conflitto d’interesse, e le contraddizioni interne a una maggioranza, nata come furbesca convergenza di spezzoni naturalmente alternativi, avrebbero se non fatto esplodere almeno impantanato l’esecutivo. Cosa che alla fine avvenne. Ma allora, a metà degli anni Novanta, dopo il ciclone “mani pulite”, e con il lungo mandato clintoniano alla Casa Bianca, anche il contesto internazionale sembrava parlare alla sinistra riformista.
Oggi abbiamo a palazzo Chigi la fiamma del Movimento sociale: M come Meloni, verrebbe da dire. Abbiamo una premier che, per quanto segua con accortezza un copione che mira a inserire stabilmente Fratelli d’Italia nel novero delle élite politiche conservatrici d’Europa, rivendica la sua origine di estrema destra. Senza lasciare nessuna scappatoia ad amici e nemici. Tanto più che il vento che arriva dall’Atlantico spinge la politica italiana oltre ogni limite reazionario, arrivando a un estremo di anarco-capitalismo dove solo la proprietà è il motore della governance istituzionale.
E proprio in questo gorgo nero rifulge la stella di Giorgia, che ha trovato un tocco magico nel bilanciare toni e forme delle due destre ormai padrone del campo: quella tradizionalmente conservatrice, che sta avviandosi a governare la Germania, e quella radicale e sovranista che si candida a guidare la Francia. Il tutto con un occhio a Washington, dov’è maturata una tecno-destra che, all’ombra dell’allegra accoppiata Trump-Musk, sta sovvertendo persino le identità delle formazioni più reazionarie, combinando un libertarismo proprietario con i valori più sanfedisti, quali Dio, Patria e Famiglia. Una tecno-destra che si sta ibridando con i grandi gruppi monopolisti della Silicon Valley, garantendo uno scudo contro ogni tentazione di imporre limiti regolatori da parte dell’Unione europea, che viene sollecitata a lasciare via libera a ogni pulsione totalitaria delle nuove tecnologie psicobiologiche. È qualcosa di più di una strategia globale per le culture autoritarie: è una visione dell’evoluzione della specie umana. E Giorgia la cavalca.
La sorprendente soluzione del caso di Cecilia Sala è il suggello di questo corso vincente della leader della destra italiana. Meloni, fruendo della tradizionale sagacia dei nostri servizi di sicurezza, che in Medio Oriente vantano una ancora buona reputazione, con grande prontezza ha combinato le opportunità negoziali, che offriva un regime in disarmo quale quello iraniano, con il disorientamento che, nella fase di passaggio dei poteri, ancora frena la diplomazia americana; e, liberandosi da ogni bardatura procedurale con la sua maggioranza, è volata nel salotto privato del presidente, ottenendo il via libera all’intesa, oltre che un accreditamento come interlocutrice privilegiata in Europa.
Uno smalto rafforzato dai riconoscimenti in economia. La conclusione della legge finanziaria ha ricevuto il plauso delle autorità europee oltre che delle lobby industriali ed economiche internazionali. Il ministro Giorgetti, aiutato anche dall’offuscarsi della leadership di Salvini, è stato indicato come grande vincitore di questa tornata, incoronato come migliore titolare dell’economia di un Paese continentale. Anche in questo caso, il governo si è staccato dalla sua maggioranza, conducendo ogni negoziato sui singoli centri di interesse – la previdenza facilitata per la Lega o gli alleggerimenti fiscali per Forza Italia – con mano ferma, e imponendo un percorso rigoroso, o comunque senza illusioni di favori elettorali.
In questo quadro, la domanda con cui abbiamo aperto il nostro ragionamento diventa ancora più inesorabile: che fa la sinistra se la destra governa bene? Di più: che fa la sinistra se una destra estrema e autoritaria diventa civile e assennata? È un quesito che dovremmo forse abituarci a porci anche in altri Paesi europei. Ma ora è l’Italia il laboratorio di questa imprevedibile alchimia.
La risposta è forse meno arzigogolata di quanto potrebbe sembrare. Finalmente la sinistra potrebbe fare la sinistra e non quel papocchio fumoso e opportunista che si è ammantato del titolo di “partito della nazione”, che peraltro non è stato nemmeno foriero di grandi fortune, visto che da quando venne varato, al tempo della vocazione maggioritaria, i disastri non hanno mai avuto fine. La sinistra deve diventare parte di un campo che si allarga alle ali, si radicalizza e mette al suo centro non la convergenza moderata di un quieto vivere che si trincera nella routine amministrativa, ma la domanda di elettrici ed elettori di cambiamenti che aggancino il Paese al vorticoso salto permanente della storia.
Se la destra governa bene, la sinistra deve ritrovare le ragioni del proprio antagonismo, non della propria bravura a sputtanare i ministri della maggioranza. La sinistra non deve affidare all’arroganza di essere da decenni élite di un Paese diseguale, costruito dalla sinistra nelle irrimediabili diseguaglianze di stile, linguaggio e di opportunità. La sinistra non deve bearsi della propria istruzione, sapendo che proviene dal privilegio di essere classe agiata dei master, rispetto alla fatica delle lauree triennali. La sinistra deve gareggiare con una destra ambiziosa e tecnocratica, contestando i contenuti e le tipologie delle tecnologie, e non riprodurre con fare stupito e subalterno quella corsa alla speculazione, come avviene nei suoi convegni e meeting in cui si celebrano le start up più furbe ad acchiappare fondi pubblici.
Infine, la sinistra deve trovarsi un proprio popolo, un proprio radicamento sociale rassegnandosi al fatto che la politica, a differenza di quanto sostengono i suoi aedi di “Repubblica” (come Concita De Gregorio), non è abilità comunicativa, ma duro lavoro per la rappresentanza di ceti sociali che possano negoziare gli assetti economici del Paese.
Se Meloni si bea della sua facilità di incontro con un popolo in cui la rabbia per la povertà è diventata paura di un impoverimento per la concorrenza di chi è ancora più povero, allora la sinistra deve proporre un altro sogno, con la capacità di riprogrammare la magia del calcolo, adeguando la rete a un’ambizione di partecipazione di ogni cuoca che voglia governare lo Stato. La sinistra deve essere motore di un socialismo del reale, che oggi significa innovare l’innovazione e non esorcizzarla.