Dopo qualche iniziale timido segnale di riprovazione, pare proprio che l’Austria e l’Unione europea si stiano preparando a un governo guidato dal leader dell’estrema destra, Herbert Kickl. Quali conseguenze potrebbe avere la resistibile ascesa del Volkskanzler, del “cancelliere del popolo”, come ama farsi chiamare, con terminologia storicamente allusiva e pesantemente carica? L’Austria diventerà una seconda Ungheria? Dopo che il presidente della Repubblica, Alexander Van der Bellen, gli ha a malincuore affidato la formazione del governo, è un momento di trionfo per Kickl, che se lo gode tranquillamente, continuando come suo solito a fare dichiarazioni fuori dalle righe. Il leader del Partito della libertà ha infatti avviato le trattative con i conservatori della Övp con una sorta di roboante dichiarazione di guerra nei confronti dei partiti storici del Paese, rei di avere cercato di costituire una coalizione a tre per escluderlo. Il progetto di una coalizione tripartitica, senza di lui, sarebbe stato a suo dire un “esperimento irresponsabile”.
È il profilo di un uomo politico che è stato considerato a lungo troppo aggressivo per la prima fila, e che è giunto al potere quasi malgré soi. Lui stesso ha dichiarato che preferirebbe stare nella “sala macchine” del suo partito piuttosto che al timone. Invece gli tocca ora cercare di realizzare ciò che i suoi due predecessori, molto più carismatici avevano tentato senza successo. Jörg Haider è stato un abile seduttore, capace di riscuotere seguito popolare, e ha indotto l’Unione europea a imporre sanzioni quando ha guidato per la prima volta il Partito della libertà a ricoprire un ruolo importante nel governo nazionale, un quarto di secolo fa. Il simpaticone Heinz-Christian Strache, che si è presentato come un semplice uomo del popolo, ed è diventato vicecancelliere nel 2017, ha cercato di fare dimenticare come avesse trascorso la sua giovinezza in un ambiente neonazista prima di venire travolto dallo scandalo “Ibizagate”, di cui abbiamo in precedenza parlato (vedi qui).
Rispetto ai predecessori, Kickl non è né affascinante né gioviale: è duro, testardo, sospettoso e spesso arrogante. Ministro degli Interni durante il governo Kurz, la posizione ottenuta ha contribuito alla crescita della sua popolarità tra la base del partito. Come responsabile della sicurezza e della immigrazione, è stato percepito come il membro del governo che meglio rappresentava le questioni fondamentali. Tornato poi all’opposizione, ha sfruttato la pandemia per rilanciare il partito dopo il crollo dello “Ibizagate” e l’allontanamento di Strache. Kickl ha cavalcato la protesta contro la linea restrittiva imposta dal governo e si è messo alla testa dei “no vax” e dei “pensatori laterali” che si opponevano alle misure anti-Covid, proponendo rimedi strampalati e riscuotendo un successo di tali dimensioni da proiettarlo al vertice del partito.
Il suo successo è anche legato a uno stile politico estremamente polemico e aggressivo, diventato normale in Austria, nel corso dell’ultimo decennio, in cui la situazione di crisi ha alimentato l’insoddisfazione nei confronti dei partiti tradizionali. Quando Kickl invoca la “remigrazione”, sulla scia dei cugini tedeschi di AfD, annuncia di voler fare come Orbán, fantastica sulla creazione di liste di ricercati o descrive l’élite del Paese come frutto di maneggi tra poche famiglie: tutto questo armamentario di argomentazioni grottesche non scoraggia più gran parte degli elettori. In questo modo una figura rimasta nell’ombra per decenni ha avuto finalmente l’occasione per venire alla ribalta.
I colloqui preliminari sono cominciati in un luogo tenuto per ora segreto con Christian Stocker, il nuovo capo dei conservatori del Partito popolare (Övp), ed è molto probabile che, dopo lo sdoganamento ricevuto con l’incarico di formare il nuovo governo, Kickl possa raggiungere un accordo. Se le trattative in corso con la Övp dovessero avere esito positivo, Van der Bellen sarà costretto a ratificare la nomina del nuovo cancelliere. Sarebbe una svolta non da poco: per la prima volta il capo del governo non proviene dai socialdemocratici o dai conservatori, che hanno costruito la Repubblica austriaca e ancora ne permeano le istituzioni. Per la prima volta, sarebbe il rappresentante di un partito che originariamente era stato fondato da ex nazionalsocialisti per ex nazionalsocialisti.
Preoccupa certo che l’Austria possa essere governata da un uomo che ha definito il primo ministro ungherese Orbán un “modello per l’Europa”. Ma è davvero possibile una “orbanizzazione” dell’Austria? La situazione austriaca è molto diversa. Orbán ha ristrutturato sistematicamente la democrazia ungherese, si è costruito una vera e propria fortezza di potere, basata su un sistema elettorale modificato nel tempo e decisamente anomalo, in cui vi è una forte preferenza per i mandati diretti. Il suo partito, Fidesz, ha una maggioranza di due terzi in parlamento. Orbán ha creato una nuova Costituzione, poi ha cambiato la legge elettorale e ha coperto tutti i posti chiave del Paese con persone di Fidesz, che controlla anche i media e la magistratura. In Austria la situazione è ben diversa: l’estrema destra non avrebbe la maggioranza dei due terzi nemmeno insieme al suo potenziale partner di coalizione. Il Partito della libertà ha solo 57 dei 183 seggi in parlamento, corrispondenti a circa il 29% ottenuto alle elezioni.
Certo, Kickl considera ancora Orbán un modello da seguire. Ha dichiarato: “L’Ungheria e l’Austria sono Paesi piuttosto piccoli in Europa, con poco meno di dieci milioni di abitanti ciascuno. Ciò rende ancora più importante difendere i nostri interessi e la nostra sovranità nazionale contro i grandi. Questo è esattamente ciò che sta facendo Viktor Orbán, ed è quindi il suo un Paese modello per molti in Europa”.
Se l’Austria, come l’Ungheria, diventerà un altro elemento di disturbo nell’Unione dipende anche da chi si imporrà nella possibile futura coalizione. La Övp è favorevole all’Unione, contrariamente agli euroscettici di Kickl. La politica estera è comunque il luogo in cui potrebbero sorgere le maggiori controversie nei negoziati, perché Kickl, come Orbán, è vicino alla Russia, chiede la fine del sostegno militare all’Ucraina e il ritorno all’utilizzo del gas russo. Uno degli altri principali punti critici, nei negoziati per la coalizione, sarà probabilmente il bilancio federale. Lo ha detto lo stesso Kickl, nella conferenza stampa di martedì 7 gennaio: “L’Austria si trova ad affrontare un enorme deficit di bilancio e rischia di sbattere contro un muro”. Secondo lui la colpa va attribuita ai partiti precedentemente al governo. Questi non solo hanno “messo il Paese con le spalle al muro”, ma hanno anche ingannato i cittadini: “La minaccia alla nostra posizione economica è completamente diversa da ciò che è stato detto agli elettori”, ha affermato. Non è del tutto chiaro se il Partito della libertà e i conservatori possano creare un accordo di coalizione in grado di far uscire il Paese dalla crisi finanziaria. Il nuovo cancelliere si troverà di fronte alla necessità di misure di austerità impopolari o di aumenti delle tasse.
Nella conferenza stampa, tenuta dopo aver ricevuto il mandato, Kickl aveva inizialmente promesso solo un “governo onesto” e una “lotta per l’onestà in Austria”. Ma il leader spingerà la sua onestà fino a decidere misure che avranno un impatto enorme sui portafogli dei cittadini, e quindi con ogni probabilità allontaneranno gli elettori? Il nuovo governo dovrebbe risparmiare un totale di diciotto miliardi di euro per evitare una procedura di deficit dell’Unione europea, circa sei miliardi di euro solo quest’anno. La politologa Katrin Steiner-Hämmerle ha affermato, in una intervista televisiva, che ci sono “pochi punti di partenza nel programma elettorale del Partito della libertà in cui questi soldi dovrebbero essere risparmiati”. È facile pensare che gli attuali dialoganti, già scettici riguardo al cambiamento climatico, risparmieranno innanzitutto sulla protezione del clima. In cima alla lista dei risparmi c’è la cancellazione del bonus climatico, erogato annualmente a tutti i cittadini austriaci, che mira a rendere più attraenti i comportamenti rispettosi dell’ambiente.
Kickl vuole anche riservare l’erogazione del reddito minimo solo agli austriaci, escludendo i migranti; ma questo difficilmente farà risparmiare molto denaro. Anche le pensioni potrebbero essere un punto di contesa, nei colloqui di coalizione tra Övp e Partito della libertà. La Övp pare intenda aumentare l’età pensionabile a 67 anni, ma Kickl si rifiuta categoricamente. Finora l’età pensionabile in Austria è stata a 62 anni.
Se, come già avvenuto per i colloqui trilaterali tra Övp, socialdemocratici e liberali di Neos, nemmeno l’estrema destra e i conservatori riuscissero ora a mettersi d’accordo su un programma comune, rimarrebbe solo l’alternativa di nuove elezioni. E in questo caso Kickl ha sottolineato minacciosamente che anche il suo partito è già “attrezzato” per una nuova campagna elettorale, in cui potrebbe guadagnare ulteriori consensi.
A livello europeo, il panorama politico austriaco consente di trarre solo conclusioni molto limitate sugli sviluppi analoghi in corso in altri Paesi, come la Germania; è difficile dire se stia prendendo forma in Europa un vero e proprio progetto trasversale di destra radicale. I populisti di destra sono da decenni parte integrante della politica interna austriaca. La partecipazione del Partito della libertà al governo, sotto i cancellieri conservatori Schüssel e Kurz, ha fatto da tempo crollare ogni firewall contro l’estremismo. In cinque dei nove Länder austriaci ci sono governi regionali con alla guida la Övp e il Partito della libertà. Pertanto analogie con la situazione in Germania possono essere per ora abbozzate solo in misura molto limitata, anche se il vento di destra che continua a soffiare rischia di portare a situazioni imprevedibili nell’Unione. Dopo l’eventuale cancellierato Kickl, il prossimo grande test delle elezioni tedesche è dietro l’angolo.