Perché tornare a parlare oggi di Rosa Luxemburg? Le sue battaglie e i suoi scritti hanno ancora qualcosa da dirci? Secondo il sociologo e studioso di Marx, Peter Kammerer e la storica Chiara Giorgi, docente di Storia contemporanea alla Sapienza, che hanno partecipato a un recente incontro organizzato dalla Fondazione Lisli e Lelio Basso a Roma, la risposta è positiva. A più di un secolo di distanza dalle battaglie politiche della filosofa, economista e rivoluzionaria polacca naturalizzata tedesca, i suoi insegnamenti possono tornare utili a una sinistra che non riesce a elaborare una sua visione del mondo e a proporre una prospettiva di uscita dalle logiche imposte dal capitalismo. E in particolare il nodo teorico sull’alternativa tra “riforme sociali e rivoluzione” (intesa come superamento radicale del sistema economico dominante), pur sembrando una questione di pura archeologia politica, torna interessante in un momento di “rivoluzione passiva”, come avrebbe detto Antonio Gramsci, che parlava di una trasformazione delle strutture politiche e istituzionali messa in atto dalle forze dominanti per evitare un processo sociale veramente rivoluzionario. In un momento storico, insomma, in cui i diseredati di tutto il mondo sono divisi e combattono gli uni contro gli altri, e a capo della rivoluzione (passiva) si è messo un miliardario.
Un sistema dai “secoli contati”
Sarebbe troppo complicato sintetizzare in poche righe i contenuti del dibattito e le tante ricerche proposte dalla Fondazione Basso (Lelio Basso è stato il primo traduttore e curatore in Italia delle opere della Luxemburg). Ci concentreremo quindi solo su alcuni degli spunti emersi nell’incontro romano, in particolare su quelli legati più direttamente all’attualità politica dei nostri tempi, anche se il confronto-scontro tra la giovanissima Rosa Luxemburg (allora poco più che ventenne) e uno dei capi storici della socialdemocrazia tedesca, Eduard Bernstein, a cavallo tra Ottocento e Novecento, contiene elementi che, pur volando molto più in alto della cronaca dei nostri giorni e pur apparendo ai nostri contemporanei semplice astrazione teorica, ripropongono riflessioni che possono ancora darci qualche indicazione. Si può riformare dall’interno il capitalismo? Questo sistema che, secondo la felice espressione di Giorgio Ruffolo, ha i “secoli contati” e che secondo altri studiosi sopravviverà al Pianeta Terra (Kohei Saito), è destinato a un crollo come pensavano alcuni dei socialdemocratici tedeschi, o è un’idra che rinnova continuamente le sue spire?
Militarismo e politica doganale
Per Peter Kammerer, che cita l’introduzione di Lelio Basso al libro di Rosa Luxemburg, uno dei pregi più importanti del lavoro della teorica polacca era il metodo. La sua capacità di applicare con intelligenza e senza dogmatismi gli studi di Marx sul capitalismo, e le analisi storiche sulle guerre della borghesia del tempo, le hanno dato la capacità di leggere i fenomeni del ritorno del militarismo e dei conflitti legati alle politiche doganali del protezionismo nazionalista. E le hanno dato gli strumenti per schierarsi contro le scelte del governo imperiale, ma anche dei socialdemocratici che le accettarono. Elementi che sembravano sepolti dalla storia e oggi ritornano in primo piano con le politiche di riarmo, il ricorso alla guerra al posto della politica e le barriere doganali di Trump contro la Cina.
Rileggere Rosa Luxemburg – spiega Chiara Giorgi – è una sfida di grande valore, non solo da un punto di vista scientifico, ma anche da un punto di vista politico, soprattutto alla luce degli ultimi due anni, cioè alla luce delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Si subiscono le logiche di riarmo e di militarizzazione, che pervadono anche l’economia italiana, alla luce di un riassetto globale del capitalismo.
“Quando lo sviluppo ha raggiunto un determinato grado, gli interessi della borghesia come classe e quelli del progresso economico cominciano a divergere, anche in senso capitalistico” – scriveva Rosa Luxemburg in Riforma sociale o rivoluzione?. “Noi crediamo che questa fase sia già stata raggiunta e ciò si manifesta nei due fenomeni più importanti della vita sociale odierna: la politica doganale e il militarismo”. Nella storia del capitalismo, argomenta Luxemburg, entrambi questi fenomeni, politica doganale e militarismo, hanno avuto una funzione indispensabile, e pertanto progressista e rivoluzionaria. Senza la protezione doganale sarebbe stato quasi impossibile il sorgere della grande industria nei singoli Paesi. “Ma oggi le cose stanno diversamente. Oggi il dazio protettivo non serve a permettere lo sviluppo di industrie giovani, ma a mantenere artificialmente forme di produzione antiquate. Dal punto di vista dello sviluppo capitalistico, cioè dal punto di vista dell’economia mondiale, oggi è completamente indifferente se la Germania esporta più merci in Inghilterra o l’Inghilterra in Germania”. Basta cambiare i nomi delle nazioni e siamo alla cronaca contemporanea.
Con un’ulteriore precisazione che ci aiuta a capire meglio anche il presente: “[…] i dazi oggi non hanno più la funzione di mezzi protettivi di una produzione capitalistica in fase ascendente di fronte a una più matura, ma di mezzi di lotta di un gruppo capitalistico nazionale contro un altro. Inoltre i dazi non sono più necessari come mezzi protettivi dell’industria, per creare e conquistare un mercato interno, bensì come mezzi indispensabili per la cartellizzazione dell’industria, cioè per la lotta del produttore capitalista con la società consumatrice”. Il successivo riferimento di Rosa Luxemburg al ruolo svolto dall’agricoltura fa pensare, in modo impressionante, ai fatti europei di oggi e alla potenza delle lobby agricole che si oppongono alle scelte sulla “sostenibilità” ambientale.
Crediti di guerra
Mentre la lettura del sociologo Kammerer e della storica Giorgi dell’opera di Rosa Luxemburg a proposito di dogane e militarismo convergono, confermando la critica della rivoluzionaria al riformista moderato Bernstein, nel corso del dibattito alla Fondazione Basso sono emersi punti di vista diversi sulle scelte concrete dei due personaggi storici e sul giudizio complessivo circa le loro teorie. Kammerer, per esempio, rimette in discussione l’immagine consolidata dell’opportunismo di Bernstein, almeno per quanto riguarda la questione più importante che ha caratterizzato la crisi (o forse la fine?) della socialdemocrazia tedesca: la scelta dell’adesione alla Prima guerra mondiale da parte della sinistra. L’accusa di Rosa Luxemburg, che ha costruito per Bernstein l’immagine dell’opportunismo – e che da allora è rimasta affibbiata al vecchio dirigente della Spd –, nascondeva in fondo una piccola calunnia, perché nei tantissimi dibattiti sull’opportunismo dei revisionisti tedeschi, non si ricorda mai (o quasi mai) il fatto che Bernstein, nel 1914, decise di votare contro i crediti di guerra, una scelta che ebbe come conseguenza la sua espulsione dal partito, insieme alla battagliera avversaria. I destini dei nostri due protagonisti furono però molto diversi negli anni a seguire. Bernstein, dopo l’espulsione, fu tra i fondatori del Partito socialdemocratico indipendente di Germania (Uspd), che riuniva tutti i socialdemocratici contrari alla guerra mondiale. Luxemburg – che fece parte dello stesso partito, ma poi fondò con Karl Liebknecht il Partito spartachista (dal nome dello schiavo Spartaco della Roma antica) – venne uccisa nel 1919, durante la rivolta che fece seguito a uno sciopero generale. Un omicidio compiuto, pare, anche con l’avallo dei politici della Spd che partecipavano al governo provvisorio della Repubblica di Weimar. Pochi mesi prima del rientro di Bernstein nel partito.
Azione o movimento?
“In principio era l’azione”, era una delle frasi ricorrenti di Luxemburg, che si rifaceva alla soggettività della classe operaia e legava sempre le lotte all’orizzonte generale del socialismo (da qui il concetto di coscienza di classe) nella prospettiva di un proletariato internazionale e, al tempo stesso, con una critica molto forte nei confronti di chi, all’interno della socialdemocrazia tedesca, aveva rinunciato a questo orizzonte generale. Accanto al primato dell’azione e allo sviluppo di una coscienza alternativa al capitalismo, centrale era anche il concetto di “totalità”, un elemento portante – secondo Chiara Giorgi – della battaglia contro le posizioni moderate della socialdemocrazia tedesca ed elemento centrale per recuperare la rivoluzione come fine del socialismo.
Questo era il campo di maggiore attacco della giovane Luxemburg al dirigente Bernstein, che aveva rimesso in discussione la visione ideologica classica del marxismo. Qual è il fine ultimo del socialismo, lo scopo finale? “Questo scopo – è la risposta passata alla storia – qualunque esso sia è per me nulla, il movimento è tutto”. Ma per Luxemburg la contrapposizione tra la realtà immediata e l’obiettivo rivoluzionario, caratteristica del pensiero revisionista, “alla fine farà cadere anche il movimento”. È necessario invece unire sempre la soluzione dei compiti pratici quotidiani allo scopo finale, “cioè considerare la lotta di classe come un compito della strategia politica”. L’attacco al saggio di Bernstein (I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia) fu durissimo e accompagnato dalla richiesta di espulsione dal partito.
Sono temi che rimangono aperti anche oggi, e che al tempo, come sappiamo, ebbero un esito favorevole ai revisionisti. Nel Congresso di Hannover del 1899, e poi nel Programma di Erfurt, il partito si schierò con Bernstein e isolò la rivoluzionaria polacca. La Spd rinunciava progressivamente alla lotta per un nuovo modo di produrre e spostava il baricentro delle politiche socialdemocratiche sulla redistribuzione della ricchezza, verso una società “giusta”, anzi “più giusta”. Ed erano anche gli anni dell’avvento delle iniziali forme di welfare, dato che nel 1889 la Germania era stata la prima nazione al mondo ad adottare un programma pubblico di pensioni di vecchiaia, progettato dal cancelliere Otto von Bismarck.
“Si procede per sconfitte”
Peter Kammerer, rispondendo a Chiara Giorgi sulla visione della lotta politica, si è detto abbastanza preoccupato della formula luxemburghiana. È vero, il movimento operaio va avanti attraverso le sconfitte, ma “io ho trovato sempre questa frase molto preoccupante”, perché quando si guarda alla storia non ci si può limitare a considerare i successi o gli insuccessi di una singola classe sociale. Perché oggi, come allora, quando si parla di socialismo, ci si deve riferire ai progressi o ai ritorni indietro di tutta l’umanità, soprattutto oggi che il futuro del Pianeta è messo in discussione proprio dal sistema produttivo capitalista e della sua voracità nell’esaurimento delle risorse naturali. Ci si dovrebbe quindi interrogare sul concetto generale: che cosa intendiamo per sconfitta “produttiva”?
Su un punto però i due contendenti, Rosa Luxemburg ed Eduard Bernstein, erano d’accordo: la critica della fraseologia astratta della sinistra. Bernstein, ancora secondo Kammerer, fu il primo a denunciare la fraseologia rivoluzionaria, che spesso copre un vuoto sotto i grandi successi politici (elettorali) del Partito socialdemocratico tedesco. Per Bernstein, la Spd era un partito radicale che faceva solo ciò che fanno tutti i partiti borghesi radicali. Se non fosse per il fatto che “noi simuliamo la realtà sotto un linguaggio interamente sproporzionato alle nostre forze”. Ma anche su questo le differenze tra Bernstein e Luxemburg sono rimaste grandi, e molto diverso è stato il loro destino a livello di fama e di ricordo nella storia. Rosa, forse anche per la sua fine tragica, è rimasta saldamente impressa nella memoria della sinistra europea e mondiale. Eduard, invece, è rimasto quasi uno sconosciuto ai più. Anche se, storicamente, il suo ruolo non fu affatto secondario e fu molto importante il suo rapporto diretto con Engels.
Le risposte della storia
Secondo una famosa battuta di Franz Mehring (che fu spartachista con Luxemburg e Liebknecht, e poi fondatore del Partito comunista tedesco), le convinzioni di Bernstein avrebbero avuto una risposta (intesa come smentita) dalla storia. Il dirigente socialdemocratico, visto il grande sviluppo economico della Germania di quegli anni, era convinto che non ci sarebbero state più crisi, e che il sistema capitalistico serbasse in sé tutte le risorse per rinnovarsi continuamente. In realtà, come scriveva Lelio Basso nella prefazione a Riforma sociale o rivoluzione?, una crisi economica arrivò subito agli inizi del secolo (il Ventesimo, ndr), i salari non avrebbero espropriato i profitti, mentre l’accumulazione capitalistica viaggiò da allora in poi a vele spiegate. Bernstein non fece in tempo a vederle, ma altre smentite alle sue teorie si sarebbero aggiunte negli anni successivi: due guerre mondiali, la crisi del 1929 e la dittatura nazista. L’idea di una evoluzione progressiva e pacifica, governata dalla politica e basata su un reticolo sociale formato dalle cooperative dei produttori, com’era stata immaginata da Bernstein, non si tradusse mai in realtà.
Un altro dei punti cardine del pensiero di Bernstein – quello relativo al superamento dell’idea di attribuire a una sola classe sociale, la classe operaia, il compito di realizzare il socialismo – è stato messo presto al vaglio della storia , ma la questione, su cui Luxemburg si è impegnata totalmente, ribadendo la centralità di una conflittualità di classe (anche se non di una sola classe), rimane aperta come questione da risolvere per tutti coloro che si pongono sul piano (oggi quasi deserto e pieno di cocci) del superamento del modo di produzione capitalistico. Se Luxemburg ribadiva la centralità di una lotta dal basso e di un governo consiliare, Bernstein pensava che lo sviluppo della democrazia (parlamentare) non avrebbe dovuto essere appannaggio degli operai, perché non si trattava più di una questione di classe, ma genericamente di ideali democratici da difendere e far crescere.
Socialismo o barbarie
Il 4 agosto del 1914 la socialdemocrazia tedesca approvava i crediti di guerra, legittimando così l’ingresso della Germania nella Prima guerra mondiale. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, assieme a un drappello di socialisti europei, si opposero. Ed è stato questo il contesto storico del saggio di Luxemburg del 1915, La crisi della socialdemocrazia, testo firmato con uno pseudonimo per evitare ripercussioni giudiziarie. Proprio in questo libro si trova lo slogan divenuto famoso all’interno delle sinistre, “socialismo o barbarie”, un’alternativa secca tra due poli opposti, che Rosa Luxemburg sostiene di avere tratto da un’affermazione di Engels: “La società borghese si trova a un bivio, o la transizione al socialismo o la regressione alla barbarie”. In realtà, secondo il politologo Massimiliano Tomba, che ha curato l’edizione del 2023 del famoso libro, la frase non era neppure di Engels, era piuttosto una parafrasi di un passaggio del Programma di Erfurt del 1892.
Accantonando le ricostruzioni filologiche, potremmo comunque dire che il successo della formula è meritato. Il suo messaggio rispunta in modo carsico, venendo declinato in modi, tempi e zone diverse del mondo. Rispunta, per esempio, nell’ambito della cultura ecologista e del cosiddetto ecosocialismo. Uno degli esponenti di questa corrente, che ha fatto proprio lo slogan di Rosa Luxemburg, è Michael Löwy, di cui si veda Ecosocialismo. L’alternativa radicale alla catastrofe capitalista (Ombre corte, 2021). Ma negli anni passati c’era già stato Alex Langer, ecologista della prima ora, secondo cui l’ecologismo sta al marxismo come il nuovo sta al vecchio testamento: è marxismo aggiornato con la “rivelazione” ecologica, cioè con l’idea dei limiti dello sviluppo. Di recente si sono sviluppati studi sull’elaborazione ecologica dell’ultimo Marx (ci sarebbero suoi manoscritti ancora inediti tutti dedicati alla natura e al rapporto tra Pianeta e uomo capitalistico), e anche sui testi di altri teorici marxisti, che mettono in luce la contraddizione ecologica del sistema capitalistico, spiegando come il capitale, quando ha sfruttato lo sfruttabile, entra in crisi di sovrapproduzione, ed entra nella guerra, in un momento di passaggio epocale, in cui tutta l’umanità rischia il collasso ecologico e climatico – l’era dell’antropocene, che molti scienziati considerano da tempo iniziata.