Non si sa quale coniglio possa ancora uscire dal cappello di Macron, ma è piuttosto improbabile che un presidente che ha preferito appoggiarsi a destra nominando Barnier, tiri fuori adesso un nome di sinistra. La cosa più drammatica, per lui, sarebbe quella di doversi rimangiare per intero la sua “politica dell’offerta”, che sarebbe quella di favorire i ricchi: quindi forse cercherà qualcuno capace di rimettere in sesto le finanze francesi con qualche taglio al welfare, ma senza disturbare troppo i ceti abbienti con una manovra fiscale pesante. Barnier però è caduto proprio su una legge di Bilancio che era più un colpo al cerchio (cioè tagli) che alla botte (tasse); e inoltre perché, privo com’era di una maggioranza, ha fatto ricorso al famigerato codicillo della Costituzione, il 49.3, che permette al governo di passare senza un voto, nella speranza che i lepenisti non avrebbero poi dato il loro assenso a una mozione di sfiducia presentata dalle sinistre. Ma Marine Le Pen ha i suoi guai (un processo che la vede imputata di détournement di fondi pubblici, che potrebbe concludersi con una condanna alla ineleggibilità), ed è perciò interessata a stringere i tempi, oltre che attenta a non perdere la sua componente elettorale “sociale” lasciando passare una legge di Bilancio antipopolare.
Così ora la palla è ritornata a Macron. La domanda che ci si pone è quanto ancora potrà durare senza dimettersi. Ricordiamo che, in virtù della Costituzione, non può più sciogliere l’Assemblea nazionale fino alla prossima estate. Nel caso di una elezione presidenziale anticipata, invece, la situazione si azzererebbe, e la Francia potrebbe votare contestualmente per un nuovo parlamento e vedere poi come si mette.
Tuttavia – lo diciamo con la necessaria preoccupazione – la tattica che la gauche dovrebbe seguire non è quella di spingere Macron alle dimissioni immediate. Nella situazione che si è creata, infatti, c’è un alto rischio che l’eventuale partita sia vinta da Le Pen. È l’avventurismo di Mélenchon, il suo narcisismo, che consiglierebbe di andare il più presto possibile a uno scontro presidenziale, in cui il candidato di sinistra non potrebbe che essere Mélenchon stesso. Con quante chance di spuntarla nei confronti della leader di estrema destra?
Macron è ormai cotto, su questo non ci sono dubbi. Ma proprio la sua debolezza attuale spingerebbe a cercare un’intesa parlamentare dell’intero cartello delle sinistre con il blocco centrista macroniano. Nell’Assemblea nazionale questo schieramento avrebbe la maggioranza assoluta, e dunque nessun bisogno di ricorrere al 49.3. Per fare cosa? Anzitutto una legge di Bilancio non antipopolare, diversa da quella presentata da Barnier, proveniente dalla destra ex gollista. Per questo, sarebbe sufficiente una personalità centrista come premier – qualcuno dello stesso campo macroniano, insomma, che sappia dialogare a sinistra.
È probabile che i socialisti, che hanno votato compatti la sfiducia a Barnier, cercheranno di seguire questa linea: quella cioè di imporre a Macron e ai suoi un’alleanza di fatto, una non-sfiducia, diciamo così, in cambio di pochi punti programmatici qualificanti e del varo di una legge di Bilancio. Per arrivare almeno fino all’estate prossima, quando si chiarirà fino a che punto Macron potrà resistere. E soprattutto se le sinistre saranno in grado di accordarsi, nel caso di un voto anticipato per la presidenza della Repubblica, sul nome di un candidato unico che non sia quello ormai usurato di Mélenchon, presentatosi già per tre volte alle presidenziali.
Post scriptum (6.12.24) – Si susseguono le notizie intorno alla crisi di governo: la più importante è quella che il segretario socialista, Olivier Faure, fino a questo momento fermo sostenitore dell’alleanza a sinistra, avrebbe aperto a una collaborazione con i macroniani e con la destra moderata (ex gollista) per cercare una soluzione. Non è ancora chiaro quali potrebbero essere i termini dell’accordo (per esempio riguardo alla sorte della iper-contestata legge sulle pensioni), e soprattutto quale sarebbe il premier, sebbene il nome che si fa sia quello di Bayrou, capo della formazione MoDem (Movimento democratico), centrista della prima ora e stretto collaboratore di Macron. Ma la questione politica è quella di non lasciare, a sinistra, un’opposizione guidata soltanto da Mélenchon. Il Partito socialista dovrebbe farsi promotore di un negoziato tra i partiti di sinistra nel loro insieme e il campo macroniano, lasciando a questo la formazione del governo, e rifiutando l’apporto della destra moderata.