“Disarmiamo il patriarcato, per fermare la guerra, nelle case, sui corpi, sui territori e sulle nostre vite. Ci volete vittime, saremo marea!”: queste le parole che chiudevano il comunicato con cui Non una di meno, associazione transfemminista attiva dal 2016, convocava la manifestazione di sabato 23 novembre a Roma e a Palermo. E marea è stata. Circa centocinquantamila persone hanno sfilato per le vie del centro della capitale, da piazzale Ostiense fino a piazza Vittorio. Tutte le età, tutti i generi, unite contro la cultura dello stupro, contro la violenza dell’uomo sulla donna, ma anche contro la militarizzazione e la devastazione ambientale senza controllo. Viola, fuxia, multicolore, la folla ha sfidato il freddo di novembre per dare un segnale di rivolta alla politica attuale: “Ci siamo, siamo unite e non ci spaventiamo”.
La marcia, come ogni anno, dedica un minuto di silenzio e un minuto di grida, alle donne che non ci sono più. Centoquattro i femminicidi, transicidi e lesbicidi, registrati fino all’8 novembre dall’Osservatorio dedicato di Nudm (Non una di meno). Nonostante l’Italia non sia tra i primi posti in Europa per numero di femminicidi rispetto alla popolazione, è ugualmente molto preoccupante che ogni anno muoiano così tante donne per mano di uomini violenti. Ciò che dovrebbe allarmare di più le istituzioni è la mancanza di prospettive per chi subisce stalking o minacce continue. “Lo Stato non ci protegge, le sorelle sì”, era scritto su un cartello in mano a una ragazzina liceale, zaino da scuola e capelli colorati. Innumerevoli, infatti, sono le storie di donne uccise dopo avere denunciato, anche dopo aver chiesto aiuto. “Preferisco registrarmi da viva prima che diventi l’ennesimo caso di femminicidio”, ha detto recentemente in un video Chiara Balestrieri, una donna torinese preoccupata perché l’ex compagno violento è tornato troppo rapidamente a piede libero: “Mi domando perché in Italia bisogna aspettare la tragedia prima di fare qualcosa”.
Quest’anno i dati dell’undicesimo rapporto Eures sui femminicidi registrano un aumento nelle regioni del centro Italia e nei piccoli comuni. È cresciuto il numero delle figlie uccise in atti volti a colpire la coniuge o l’ex partner, come anche gli omicidi di donne over 65 (ben trentasette). Giovani o ultrasessantenni risultano essere gli autori dei delitti. Crescono gli omicidi causati da under25 (da quattro a dodici), mentre la maggior parte delle donne cade per mano di uomini di oltre 64 anni.
Un altro numero cruciale (contrario a quanto sostenuto dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e dalla premier Giorgia Meloni) è quello relativo agli stranieri. Mentre diminuiscono del 30,4% gli autori di nazionalità non italiana, crescono le vittime straniere. “Ciò significa che, mentre il 45,8% dei femminicidi con vittime straniere sono commessi da autori italiani, solo nel 4% dei casi (tre vittime in valori assoluti) le vittime di femminicidio italiane sono state uccise da un autore straniero”, si legge nel report.
La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall’Onu, nel 1999, in ricordo di tre donne violentate e uccise, il 25 novembre 1960, nella Repubblica dominicana. Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal furono massacrate per motivi politici. Si battevano, infatti, contro la dittatura di Trujillo: erano parte del Movimento del 14 giugno, che chiedeva la fine del regime. Trujillo stesso pianificò il loro rapimento e omicidio: mentre andavano a trovare i loro mariti in carcere, gli agenti del servizio segreto militare le catturarono e torturarono per poi buttarle in un burrone fingendo un incidente. La giornata nasce per ricordare queste donne, uccise dal patriarcato – e dal fascismo derivante da quest’ultimo o, più in generale, dai regimi violenti creati da uomini.
Ci sono state polemiche sulla foto del ministro Valditara bruciata davanti al ministero dell’Istruzione, prima dell’inizio del corteo. L’azione è stata giudicata violenta in un contesto in cui la violenza è la prima cosa da combattere. Ma l’eccessiva attenzione mediatica verso quest’unica azione, di natura studentesca, mostra piuttosto l’intenzione di svalutare il movimento.
La forza della marea transfemminista, a livello globale, sta nella sua comprensione delle tematiche trasversali che attraversano i territori. Non sono ferme al singolo obiettivo, dal cambiamento della tassazione sugli assorbenti (beni di prima necessità, tuttora al 10% di Iva) all’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, ma abbracciano tutte le questioni sensibili dei nostri tempi, dall’immigrazione alla crisi climatica. Durante il corteo, tra gli interventi, è stata citata, tra le altre, Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana arrestata dopo essersi spogliata nel cortile dell’università, in segno di protesta contro il sistema repressivo del regime teocratico. In tutti i contesti, a livello internazionale, le donne resistono.
Sabato scorso, dai due carri a trainare, con musica e interventi dalle varie zone del Paese, c’è chi ha parlato dell’accesso all’interruzione di gravidanza, chi dei finanziamenti ai centri antiviolenza e chi ha voluto porre l’accento sul disegno di legge Sicurezza e sugli investimenti sugli armamenti. Come ogni anno, prima dell’evento, l’associazione ha voluto divulgare le regole di accessibilità e di gestione del corteo, e comunicare la presenza di un servizio di cura e sicurezza per ogni possibile evenienza.
Tante bambine e bambini, e anche uomini, hanno sfilato come alleati della lotta. Parlando con un ragazzo, che studia per diventare documentarista, è emerso il tema dei gruppi di autocoscienza maschile. Ha detto: “Noi la sentiamo sulla nostra pelle, quest’aggressività della guerra, questa violenza crescente, c’è la necessità di capirla e analizzarla per combattere la spinta a schierarsi”.
Se le donne devono essere unite, essere marea, in un mondo che non le rappresenta, superando migliaia di anni di soprusi, e provando a reinterpretare il potere in un’ottica transfemminista, spogliandolo quindi della violenza, gli uomini dovrebbero guardarsi dentro. Solo parlando tra loro, attraverso un’intima condivisione, possono riconoscersi e trovare confidenza e aiuto nell’altro. Anche per tutte quelle donne che non ci sono più.