Vince Trump per la seconda volta. E si può dire addio al “sogno americano”. Non che sia mai stato un granché: dalla distruzione dei nativi d’America alla concorrenza e alla competizione selvagge, fino all’uso generalizzato delle armi, tra sparatorie e uccisioni a non finire, e con la pervicace applicazione della pena di morte ancora ai nostri giorni. Tutto il contrario di quello che per noi è il “sogno di una cosa” che ha nome socialismo.
Ma non c’è dubbio che la vita sarà più difficile all’interno degli Stati Uniti: con la compressione dei diritti, con la guerra dichiarata agli immigrati, con una teppaglia scatenata – quella che diede l’assalto a Capitol Hill – che adesso potrà sentirsi vittoriosa. L’elemento che dimostra incontrovertibilmente la pochezza del sistema statunitense è che non si sia riusciti a fermare la ricandidatura di un vecchio criminale un po’ pazzoide, che la scorsa volta aveva resistito alla sconfitta elettorale di misura mobilitando una sua folla di desperados. Indice di una democrazia profondamente malata.
Ciò nonostante, sul piano della politica internazionale, che è quella che ci interessa di più, non ci saranno grandi cambiamenti, se non un irrigidimento del protezionismo economico, che certo non favorirà l’Europa nelle sue esportazioni. È la logica di un’economia ormai “deglobalizzata”, come si dice, che non va più nel senso delle “magnifiche sorti e progressive”, come poteva sembrare trent’anni fa. Del resto, chi ci aveva mai creduto se non dei liberaldemocratici con gli occhi chiusi sulla realtà, avvolti fino ai capelli nella loro ideologia, che avevano fatto della globalizzazione la panacea di ogni male? Certo, il protezionismo è peggiore del liberoscambismo spinto, perché accresce le tensioni internazionali e, alla fine, può condurre alla guerra. Ma la questione da porre – già lo sanno i nostri lettori – è quella del modello di sviluppo globale, che non può più essere basato sull’appropriazione privata se si vogliono ridurre le possibilità di conflitti e salvare il pianeta. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ripropone implicitamente l’alternativa, attorno a cui si può dire che “terzogiornale” sia nato, “socialismo o barbarie”.
Lasciando però ora da parte la questione epocale, che cosa aspettarsi? È probabile che la guerra tra la Russia e l’Ucraina (non si sa con quali conseguenze all’interno di questo secondo Paese) vada a chiudersi: nei fatti è già conclusa, e ciò a cui stiamo assistendo è solo un batti e ribatti in attesa del cessate il fuoco e di un congelamento della situazione sul campo (non di una vera pace, comunque). Al contrario, ci sarà un’intensificazione sul fronte mediorientale, con una sempre più marcata volontà “imperiale” – usiamo questo termine, sia pure ironicamente – di Israele. È noto che Trump è un sostenitore dello Stato ebraico ancora più sfegatato di quanto lo fossero Biden e Harris. Ed è praticamente certo che una delle ragioni della sconfitta democratica negli Stati Uniti sta nel non essere riusciti a fermare la guerra in Medio Oriente. Ma con Trump andrà peggio, e una guerra aperta all’Iran è da mettere in conto, con gravi ripercussioni sulla cosiddetta pace mondiale, perché esiste uno schieramento internazionale potenziale, dalla Russia alla Cina, favorevole alla Repubblica islamica.
La cosa quasi incredibile, per alcuni, è che gli Stati Uniti possano essere diretti, per la seconda volta, da un simile personaggio: a pensarlo sono i filoamericani nostalgici di un’America che fu. Ma questi dovrebbero comprendere che – ancor più di una svolta nel senso di una estrema destra populista, presente del resto, ahinoi, anche in Europa – l’egemonia statunitense è ormai alla frutta. Si sta andando, attraverso un grave disordine mondiale, nella direzione di un nuovo assetto. A tutti gli esseri umani di buona volontà il compito di evitare che questo avvenga, come nel passato, con una catastrofe bellica globale.