“C’è uno spazio per i democratici. Speriamo che un segnale di riscossa venga subito dalla Liguria. Ma, in ogni caso, siamo sulla strada giusta e anche in Liguria abbiamo fatto il massimo. La strada è lunga per noi, ma lo è anche per loro (la destra, ndr), rispetto all’obiettivo di spiantare la sinistra”. Si conclude con queste parole l’intervista a “il manifesto” di Goffredo Bettini, dirigente storico del Pd, che torna a parlare dei rapporti tra opposizione e governo e perfino della maturità di un’alternativa a Giorgia Meloni. Bettini è ottimista, sia a livello nazionale sia a livello internazionale: i democratici americani sono in grado di battere Trump con Kamala Harris, in Europa si possono risvegliare le forze progressiste che lavorano per la pace e oggi sembrano sbandate, e questo è possibile nonostante la svolta a destra di Ursula von der Leyen (che va “monitorata giorno per giorno”).
Intanto, in Italia, si sta costruendo la possibilità di riportare lo schieramento democratico al governo con schemi costruiti su campi larghi o larghissimi, i cui confini vanno da Calenda a Fratoianni. L’accordo con i 5 Stelle di Conte non si tocca. Le elezioni liguri saranno la prova di questa linea. Almeno si spera.
Bettini, nell’intervista al “quotidiano comunista”, ha parlato di tutto; ma riassumendo l’indice dei temi trattati ci accorgiamo che spicca un vuoto, un’assenza o un’omissione: il Pd. Neppure una parola sulla situazione del partito, neppure un accenno allo stato dell’arte di quello che avrebbe dovuto essere il grande rinnovamento, dopo le sconfitte degli ultimi anni e l’evidente calo dei consensi elettorali, spiegabile con l’avanzata del partitone dell’astensione. Eppure i dati ci sono e sono pesanti, visto che, dai dodici milioni di voti del 2008, il Partito democratico è planato sui tre milioni e spiccioli del 2022.
Ma non è l’unica cosa che colpisce. Nello stesso giorno dell’intervista, troviamo su altri quotidiani nazionali tracce della presenza di Bettini, che non ama farsi chiamare “eminenza grigia”, ma che a quanto pare si vanta di dire sempre la sua sulle scelte che contano, o che comunque hanno una valenza politica nella spartizione dei poteri, o meglio delle poltrone. In questo caso, in gioco c’è la presidenza dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni, dove si sta giocando la partita tra il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e quello di Torino, Stefano Lo Russo. Durante una cena privata romana a casa di Barbara Palombelli e Francesco Rutelli, di cui è emersa qualche traccia pubblica, sempre Bettini avrebbe fatto sapere che “noi siamo con Manfredi”, contro Lo Russo, sponsorizzato invece dal sindaco di Milano, Beppe Sala, che pare non l’abbia presa bene. Ci si può chiedere a questo punto: ma “noi” chi? Quanti Pd ci sono in questi campi larghi?
E la domanda diventa ancora più stringente se – dai grandi orizzonti internazionali (gli Stati Uniti e l’Europa) e quelli nazionali – si scende per li rami della politica cittadina, ovvero si atterra sui problemi della grande urbe che si prepara ad accogliere milioni di pellegrini del Giubileo, e che nello stesso tempo non trova abitazioni a costi umani per gli sfrattati e per tutti quei giovani che non si sa con quali risorse dovrebbero accendere dei mutui nella città più cara (solo dopo Amsterdam) per i costi degli affitti (vedi qui).
In questo scenario, a Roma, pare che lo stato di salute del Pd non sia entusiasmante. Ci sono stati sicuramente tempi migliori. Alla cena di cui parlano i gossip mediatici e “socialisti” (nel senso dei social) pare fosse presente anche il sindaco Roberto Gualtieri, che, mentre viene chiamato a dire la sua sui destini dell’Anci, deve fare i conti con la sua giunta fresca di un rimpastino, dopo le dimissioni dello storico Miguel Gotor dalla carica di assessore alla Cultura. Dimissioni che sono state giustificate dall’interessato con la formula “motivi di famiglia”, ma che i maliziosi hanno voluto leggere, invece, con le lenti dello “spintaneismo” politico. Se fosse così, ci si dovrebbe chiedere chi sono stati gli “spingitori”.
In ogni caso, dopo tre anni di giunta e a tre mesi dall’apertura della porta santa, per le politiche culturali (evidentemente quello della cultura è un campo minato a tutti i livelli), il sindaco deve correre ai ripari scegliendo, come sostituto di Gotor, Massimiliano Smeriglio, che, dopo la militanza Pd e dopo qualche incomprensione con la segretaria Elly Schlein, ora è in quota Alleanza verdi-sinistra. Che problemi ci sono? La scelta di un politico di valore e per di più di sinistra non è un buon segno?
Non la pensano così in molti nel Pd romano. L’obiezione principale riguarda il metodo Gualtieri, che risponde alle critiche di accentramento assoluto delle decisioni importanti così come risponde ai cittadini: siete arrabbiati per il traffico? Vi prende un attacco di panico quando transitate per piazza Venezia o aspettate un autobus? Fatevene una ragione, noi stiamo lavorando per voi. Un “noi” che si trasforma però sempre più spesso in un “io”. I critici del metodo Gualtieri ricordano, per esempio, una scelta che ha fatto molto discutere e continua a creare notevoli tensioni sociali: quella del termovalorizzatore o “megainceneritore”, come lo chiamano gli oppositori. Lo schema è stato semplice, quasi lineare. Per quindici anni il centrosinistra, Pd compreso naturalmente, si è battuto contro l’installazione di nuovi termovalorizzatori, e ha puntato sulla grande campagna della raccolta differenziata, che, nonostante i tanti problemi, ha dato i suoi frutti. Era stata varata anche una legge regionale in questa direzione. Poi all’improvviso la svolta. Eletto sindaco, dopo pochi giorni dall’insediamento in Campidoglio, Gualtieri ha comunicato la decisione: il termovalorizzatore si farà. Le obiezioni tecniche sono tutte sbagliate, e comunque decidiamo noi. Si tratta dunque di un esempio esemplare, scusate il gioco di parole. Perché, oltre al metodo, in ballo ci sono i contenuti delle scelte, ovvero il famoso “merito”. Qual è la linea del Pd sull’ambiente? Quali sono le grandi strategie che si metteranno in campo per affrontare la questione epocale della transizione? Quali soluzioni si immaginano per risolvere il problema antico e attualissimo della casa?
Per ora, su tutto questo, ovvero su quale politica alternativa alle destre si mette in campo (evidentemente non basta più il vecchio armamentario di Bettini), nulla è chiaro. Registriamo solo un certo arretramento culturale nel dibattito interno al partito, e una riproposizione deleteria dello schema amico/nemico, squadra contro squadra, che si è reso palese in alcuni recenti episodi di cronaca politica cittadina. Pare, per scendere ancora più in profondità, dal livello nazionale a quello municipale, che a una festa di due giorni del Pd di Monte Sacro non sia stato invitato il presidente del Municipio, Paolo Marchionne, Pd. Ma questo forse Bettini non lo sapeva.