Se un ragazzino di quattordici anni viene trovato con uno 0.4 di hashish e venti euro in tasca può essere portato in un istituto penale minorile, dove probabilmente si troverà a dividere la cella con un coetaneo colpevole di un reato ben peggiore. Se poi l’adolescente è un minore straniero non accompagnato, la situazione si aggrava ulteriormente. È l’effetto del “decreto Caivano” che ha previsto l’arresto in flagranza di reato per i minori, e ha esteso i casi di custodia cautelare in carcere, disposti anche per crimini di minore entità.
Approvato un anno fa, nel settembre del 2023, in seguito a un caso di cronaca agghiacciante che coinvolgeva anche minorenni, il provvedimento ha aggravato lo smantellamento del sistema penale minorile. Il governo ha scelto di prendere una deriva criminalizzante (di cui ha parlato Agostino Petrillo qui), che vede la miseria come un morbo insidioso a cui porre rimedio con la forza, in controtendenza rispetto al resto dei Paesi dell’Europa occidentale. Insieme al cosiddetto “decreto anti-rave” e al discusso disegno di legge Sicurezza, la norma non fa che peggiorare un sistema di crescente emarginazione giovanile che genera l’incremento di casi giudiziari a carico di ragazzi e ragazze. A queste volontà repressive, invece che rieducative, si va ad aggiungere la mancanza di attenzione verso il tema della migrazione di minori, poco sostenuti e tutelati.
Sedicenni, quindicenni e quattordicenni vengono trattati alla stregua di criminali navigati, con una modalità di gestione sempre più simile a quella degli adulti, che non risponde alle esigenze di cura proprie della giustizia minorile. “Il decreto Caivano ha creato un sovraffollamento anche nel minorile che non si verificava da anni, una condizione dove i tipi di reati completamente diversi sono mischiati insieme”, dice Valentina Calderone, responsabile dell’Ufficio del garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Roma. Secondo l’ultimo report di Antigone, pubblicato nell’ottobre 2024, a un anno dall’introduzione del decreto Caivano, negli Istituti penali per minorenni (Ipm), al 15 settembre 2024, erano presenti 569 ragazzi e ragazze, una cifra mai raggiunta prima. Per fare un paragone, nell’ottobre 2022, momento in cui si insedia l’attuale governo, le carceri minorili ospitavano 392 persone. Di questi, oltre il 65% dei ragazzi si trova in carcere senza una condanna definitiva: il che evidenzia l’uso della custodia cautelare, utilizzata non come pratica eccezionale, ma come prassi per affrontare problemi di gestione sociale che richiederebbero invece soluzioni educative.
Tale sovraffollamento crea evidenti problematiche. Dei diciassette istituti minorili presenti in Italia, ben dodici superano la capienza massima e, quando aumenta il numero di persone costrette in uno spazio ristretto, peggiori diventano le condizioni generali e più frequenti sono gli scontri, sia tra i ragazzi sia con gli operatori. Nell’istituto di Treviso, per esempio, che ha un tasso di affollamento del 183%, con ventidue ragazzi ospitati in uno spazio che ne potrebbe accogliere dodici, come anche in quello di Torino, ci sono state rivolte a causa delle condizioni di vita al limite, con adolescenti costretti a dormire subrandine da campeggio o su materassi lasciati a terra.
Anche al Beccaria di Milano, diventato famoso per le agitazioni dei detenuti, il sovraffollamento (al 145%) ha creato situazioni di forte disagio, aggravando i problemi strutturali che limitano l’accesso alla luce e a spazi comuni adeguati e indispensabili alla vita di un giovane. Inoltre, gli operatori, il personale di sorveglianza e gli educatori non sono in numero sufficiente per permettere lo svolgimento delle attività sportive, ludiche e soprattutto educative. Così i detenuti sono spesso lasciati per giorni nelle celle, senza poter essere accompagnati nelle aree esterne. “La carenza di personale ha innescato un circolo vizioso che incrementa i problemi, e così risulta difficile organizzare le attività quotidiane”, denuncia Calderone. La garante sostiene come, in queste condizioni, non ci sia da stupirsi se i ragazzi distruggono le celle, si ribellino o tentino l’evasione, com’è successo l’estate scorsa all’Istituto di Casal del Marmo di Roma, da cui sono fuggiti due ragazzi tunisini.
Al contrario di quanto vogliano far credere i titoli sensazionalistici dei quotidiani, che gridano alle baby gang di minori stranieri che terrorizzano i quartieri, l’incremento di giovani detenuti non trova riscontro in un corrispondente aumento della criminalità minorile, che, anzi, negli ultimi quindici anni ha mantenuto un andamento oscillante ma generalmente stabile, senza picchi significativi. Nel 2023, i dati rilevano addirittura una diminuzione delle segnalazioni di minori denunciati o arrestati, con un calo del 4,15% rispetto all’anno precedente.
Questo scollamento tra l’andamento della criminalità e il numero di ragazzi in carcere mostra che la via giudiziaria è spesso una risposta inadeguata a problemi di natura sociale e psicologica, piuttosto che una necessità dettata da un aumento della delinquenza. I dati del report di Antigone evidenziano inoltre che la maggior parte dei reati commessi dai giovani detenuti negli Ipm sono contro il patrimonio (il 52,2% del totale). Furti e rapine sono particolarmente comuni tra i ragazzi stranieri, che costituiscono una fetta importante della popolazione carceraria minorile: 266 tra ragazzi e ragazze a settembre 2024, cioè il 46,7%. Le possibilità di essere incarcerato si moltiplicano nel caso dei minori non accompagnati, che non solo sono esposti a un percorso di marginalità e criminalizzazione dovuti alla mancata accoglienza, ma sono anche più propensi a essere incarcerati a causa dello scarso supporto familiare sul territorio.Sostiene Calderone: “I minori non accompagnati spesso si vedono già persi, già completamente senza una prospettiva a soli 16 o 17 anni”: una condizione che rende impossibile immaginare un futuro. Per i ragazzi stranieri il periodo trascorso in carcere è ulteriormente appesantito dai continui trasferimenti, utili ad allentare il sovraffollamento negli istituti. I detenuti vengono spostati arbitrariamente dal Nord al Sud Italia, e la scelta ricade spesso sui minori che non hanno legami familiari nella regione di riferimento. Questi viaggi finiscono per erodere i rapporti creati nel tempo dai giovani, anche con forti fragilità psicologiche, in un sistema che privilegia le soluzioni logistiche alla tutela dei loro diritti. Emblematico è il caso di M., nato in Egitto nel 2008 e trasferito improvvisamente dall’Ipm di Milano a uno in Campania, senza preavviso ai suoi tutori legali.
Come dice ancora Calderone: “Il carcere è l’esito di un processo che fuori non ha funzionato. Siamo responsabili di creare i percorsi per permettere ai giovanissimi di avere un lavoro, una casa, una formazione adeguata”. Le condizioni critiche che caratterizzano il sistema delle carceri minorili oggi sono il risultato di politiche che hanno progressivamente abbandonato l’approccio rieducativo, che in passato ha reso la giustizia minorile italiana un modello in Europa.
Se ora il sistema è al collasso, l’unica risposta è una maggiore attenzione a misure che riportino al centro l’educazione, l’inclusione e il rispetto dei diritti dei minori. Una visione, a quanto pare, non in linea con quella dell’attuale governo.