Tra l’Ucraina e il Medio Oriente, quale delle due guerre presenta il rischio maggiore di sfociare in un terzo conflitto mondiale? La questione potrà apparire inconsistente: è una bella gara – si dirà – essendo entrambi i conflitti molto più che regionali, con implicazioni geopolitiche non da poco. Eppure, a volere dare una risposta, si potrebbe sostenere che quello tra la Russia e l’Ucraina, dopo il fallimento dei piani iniziali di Mosca, che prevedeva di “mangiarsi” il vicino in pochi giorni di combattimenti, non è che un insensato batti e ribatti che dovrà, presto o tardi, concludersi con una specie di congelamento della situazione, più che con una pace vera e propria, in cui l’Ucraina non potrà che accettare la perdita di una parte dei suoi territori. Quanta parte? Anche con il riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea? E poi, con l’ingresso dell’Ucraina nella Nato? Sono le domande che ci si continua a porre. Ed è incredibile che, per trovare una risposta, si debba continuare a distruggere e a morire. A riprova, una volta di più, dell’assurdità della guerra.
Tutt’altra vicenda quella che va in scena in Medio Oriente. Qua ci si scanna dalla metà del Novecento. E tutti i piani di pace sembrano ormai falliti. Con la leadership israeliana attuale è diventata una chimera qualsiasi passo in direzione di una soluzione “a due Stati”, con uno palestinese, sia pure a macchia di leopardo, ma con capitale Gerusalemme Est. Dall’altra parte, però, l’egemonia conquistata nel corso degli anni dai movimenti islamisti, con l’appoggio dell’Iran degli ayatollah, ha prodotto una situazione simmetrica: neanche i palestinesi, nella condizione odierna, sono orientati ad accettare lo Stato ebraico. La resistenza dunque continuerà, con tutte le imprese “terroristiche” immaginabili. E a questo punto, se il coinvolgimento diretto, obtorto collo, dell’Iran – cui sembra puntare Israele – sarà confermato, il conflitto sarà tra Stati.
Si apre qua un enorme punto interrogativo. Si sa, infatti, che l’Occidente, cioè gli Stati Uniti e l’Europa, vedrebbero di buon occhio un cambiamento di regime in Iran. Sappiamo anche, tuttavia, che sotto un’aggressione bellica vera e propria, il nazionalismo finisce col farla da padrone: il modo migliore per rafforzare la Repubblica islamica sarebbe quindi di coinvolgerla in una guerra aperta non voluta – non solo per l’inferiorità nell’apparato militare, ma anche per la scarsa coesione interna mostrata fin qui in varie circostanze dal regime teocratico (di recente con l’episodio dell’attentato israeliano, che ha eliminato il capo di Hamas).
Nel momento in cui Iran e Israele fossero impegnati in una guerra vera e propria, come si comporterebbero gli alleati – reali o potenziali – del Paese degli ayatollah? Come si comporterebbe la Russia? Come la Cina, che, da un conflitto di ampie proporzioni, potrebbe uscire con la riconquista della sua isola separata, Taiwan? E ancora: a parte la Siria, in ginocchio dopo un decennio di guerra civile, come si comporterebbero gli altri Stati della regione? L’Arabia saudita resterebbe a guardare? O non vorrebbe cogliere l’occasione per liquidare definitivamente la controversia yemenita, in cui un ruolo non secondario è giocato proprio dall’Iran e dai suoi alleati? E la Turchia da quale parte starebbe, con il suo orientamento islamista, sia pure sunnita e non sciita? Resterebbe nel campo occidentale?
Sono le ulteriori incognite che rendono la situazione assai preoccupante. Certo, dal punto di vista di una dirigenza estremista, come quella israeliana attuale, si tratta di bazzecole: a loro interessa soltanto liquidare i “nemici”, e l’esplosione di un conflitto mondiale potrebbe anche fare comodo. La questione palestinese passerebbe in secondo piano agli occhi della cosiddetta comunità internazionale. Israele potrebbe reinsediarsi a Gaza, colonizzare definitivamente la Cisgiordania; potrebbe comunque – anche senza chiudere del tutto il discorso con la resistenza palestinese, che seguiterebbe a più bassa intensità – sbarazzarsi di un Iran che, al momento, è l’unico Paese musulmano a sostenere apertamente la causa della cancellazione della “entità sionista”.
Per tutte queste ragioni, sommariamente indicate, è proprio sul conflitto in Medio Oriente, che adesso sta nuovamente distruggendo il Libano, che ci si dovrebbe concentrare. Ma sappiamo che gli Stati Uniti di Biden, nonostante tutto, non ce la fanno a rompere con Israele, e che con Trump sarebbe perfino peggio, avendo già egli, durante la precedente presidenza, dato ampia prova di considerare l’Iran un nemico da annientare, puntando sullo Stato ebraico come su un alleato di ferro.