Sindacati americani dei metalmeccanici sul piede di guerra, scioperi e cause legali, una lettera velenosa delle associazioni che rappresentano i concessionari europei che criticano la linea “elettrica” del dirigente portoghese, sindacati italiani dei metalmeccanici che dopo anni di scontri interni si riuniscono per lo sciopero generale del settore automotive, governo Meloni in posizione pilatesca ma non amico. Sembra che in questo momento siano tutti contro Carlos Tavares il cui mandato è in scadenza, ma la cui uscita potrebbe essere anticipata, se non riuscirà a riportare la multinazionale in carreggiata.
Tavares risponderà alle domande dei parlamentari in Commissione Attività produttive della Camera proprio alla vigilia dello sciopero unitario dei sindacati metalmeccanici, fissato per il 18 ottobre (vedi qui). La richiesta di audizione era partita qualche mese fa dal parlamento, ma l’amministratore delegato, finora, si era fatto attendere. La sua decisione di presentarsi davanti ai parlamentari italiani è però diventata una scelta obbligata, in una situazione di caos e di flusso continuo di notizie negative sull’azienda.
I commenti delle forze politiche, che dovranno ascoltare le ragioni del manager, sono stati diversi in questi giorni. Alcuni partiti, per esempio Azione, hanno applaudito, mentre sono molto critici i commenti di Alleanza verdi-sinistra, che lamenta l’esclusione dei sindacati. Il parlamento, dicono, vuole sentire solo la voce dell’azienda. Critica anche la Fiom. “Escludere i lavoratori italiani dall’ascolto del parlamento è molto grave”, dice Michele De Palma, segretario generale dei metalmeccanici Cgil. I metalmeccanici, sottolinea, “da tempo chiedono un confronto con le istituzioni, a partire da Palazzo Chigi per affrontare una situazione che si fa sempre più drammatica visto che anche oggi è stata comunicata ancora cassa integrazione da parte di Stellantis”. Per questo, è “incredibile che il parlamento italiano non senta il dovere di ascoltare i lavoratori dell’automotive che il 18 ottobre sciopereranno in tutta Italia e manifesteranno a Roma per rilanciare il settore, compresa la componentistica”.
Che i rapporti sindacali siano tesi e conflittuali è fisiologico. Meno scontate le pressioni che arrivano dal mercato. Netta la presa di posizione dei concessionari Stellantis, che chiedono all’Europa di spostare dal 2025 al 2027 l’entrata in vigore dei limiti Ue sulle emissioni auto, che dall’anno prossimo scenderanno a 95 gCO2/km. “In qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti finali che spesso rifiutano i Bev (Battery Electric Vehicle, ovvero auto completamente elettriche, ndr) a causa di preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità – scrivono –, ciò ci pone in una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo, che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue. Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettrici. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione”.
Posizione molto simile, anzi fotocopia, quella dall’Acea, l’associazione di produttori di auto di cui fanno parte anche Volkswagen e Renault, ma da qualche tempo non più Stellantis. Rispetto a queste idee e a questo schieramento di forze, Tavares sembra sempre più isolato. Lo ha dichiarato in più di un’occasione e ormai tutti conoscono la sua filosofia. Secondo lui, infatti, le regole non si possono cambiare a gioco iniziato. Per questo, dopo l’attivazione di una nuova progettazione industriale (anche se comunque in ritardo di almeno quindici anni rispetto ai cinesi), modificare le norme europee sulle emissioni di CO2 sarebbe una “scelta surreale”.
Tavares (65 anni) dirige Stellantis, nata dalla fusione tra il gruppo Psa e Fiat Chrysler Automobiles, dal 2021. Il 19 gennaio di quell’anno, durante la prima conferenza stampa del gruppo, annunciò l’obiettivo di realizzare cinque miliardi di euro di sinergie, in particolare attraverso investimenti condivisi, condivisione di motori e piattaforme e un aumento delle attività di ricerca. “La presenza di Stellantis in Italia non è a rischio, perché l’Italia è il Paese in cui crediamo di poter produrre un milione di veicoli”, aveva dichiarato al “Sole 24 ore” nel marzo scorso. Ma i fatti sono andati in un’altra direzione. Gli stabilimenti Stellantis italiani continuano a produrre meno della metà del milione di veicoli annunciato e i posti di lavoro reali continuano a essere ridotti. Per ora, non si tratta di licenziamenti veri e propri, ma di dimissioni incentivate. Sono chiari comunque i segnali di disinvestimento. Per la Fiom, che non ha firmato gli accordi per gli esodi incentivati a livello territoriale, “siamo in presenza di licenziamenti collettivi camuffati dall’incentivo”. È questa dura realtà dei fatti che ha spinto i tre principali sindacati dei metalmeccanici a riunirsi dopo anni di conflitti interni. La decisione di andare allo sciopero generale con manifestazione a Roma (da piazza Barberini a piazza del Popolo) è per i tempi che corrono una scommessa difficile ma inevitabile.
Dall’altra parte dell’oceano, non si smorza intanto lo scontro tra l’azienda e i sindacati americani accusati di aver violato il contratto perché hanno deciso di scioperare. Stellantis ha avviato già otto cause legali contro quelle che ritiene le violazioni della United Auto Workers (Uaw). La battaglia legale tra le due parti si baserebbe sull’interpretazione dell’accordo dell’autunno 2023, che mise fine alla lunga agitazione (quarantasei giorni) contro le Big Three di Detroit: Stellantis, General Motors e Ford. Un contenzioso che va avanti da mesi e che non accenna a placarsi. In particolare, il sindacato chiede la reintroduzione di un meccanismo definito “Jobs Bank”, che impedirebbe ai tre grandi produttori di licenziare. Per Tavares una norma del genere “metterebbe a repentaglio il futuro stesso dell’azienda”.
La situazione insomma si ingarbuglia. Tavares spiegherà venerdì ai parlamentari la sua strategia, basata su un possibile nuovo accordo con i concessionari per tentare di arrivare a quel mix di vendite entro i limiti della conformità alle norme sulle emissioni di CO2. Il manager si autoconvince: “Siamo molto orgogliosi – dichiara – per avere raggiunto la terza posizione sul mercato delle auto elettriche, a ridosso di Tesla”. Ma proprio Tesla e i cinesi sono gli avversari più temibili. Molto più allarmanti dei venditori di auto. Nel 2025 si annuncia l’arrivo di altre vetture, sei elettriche e tre ibride mild. “Vogliamo contribuire alla battaglia contro il riscaldamento globale”. Ma intanto si preparano possibili nuovi modelli di passaggio con la Jeep Compass, il nuovo Suv che verrà offerto in varie opzioni – ma qui ci fermiamo perché rischiamo di scivolare nello spot pubblicitario.