Oggi più che mai, davanti alla repressione patriarcale delle destre globali, è fondamentale la lotta delle donne per ribadire il controllo esclusivo sul proprio corpo. Sabato 28 settembre, si celebrava la Giornata internazionale dell’aborto sicuro, un’occasione per ribadire l’importanza di garantire a tutte le donne un’interruzione di gravidanza sicura, legale e gratuita. La data è stata scelta perché è il giorno in cui, nel 1871, fu approvata in Brasile la “legge sulla nascita libera”, che sanciva la libertà dei figli nati da persone in condizione di schiavitù, a conferma del ruolo rivoluzionario della lotta transfemminista, che assume, in questo caso, anche una valenza anticoloniale. Ancora in Sud America, nel 1990, la data è stata indicata come giornata di azione per la depenalizzazione dell’aborto e, dal 2011, grazie alla Rete globale delle donne per i diritti riproduttivi (Wgnrr), ha acquisito un respiro internazionale.
In Italia, sabato scorso, l’occupazione simbolica dell’ospedale Sant’Anna a Torino da parte delle attiviste transfemministe di Non una di meno ha rappresentato un atto di protesta contro la presenza di spazi di ascolto per associazioni antiabortiste, che rappresentano una forma di ingerenza politica e morale sulle scelte riproduttive delle donne. Il movimento chiede che i fondi pubblici siano utilizzati per garantire un accesso equo ai servizi sanitari riproduttivi, alla contraccezione gratuita, e un vero sostegno sociale alla genitorialità, sfidando apertamente le derive politiche che minacciano i diritti conquistati. Tuttavia, nonostante le battaglie per rendere legale e accessibile a tutte l’interruzione di gravidanza, la situazione rimane complessa e disomogenea.
Mentre a Torino, a Milano, a Roma e in varie capitali mondiali, sfilavano i cortei femministi, il papa era in Belgio a definire l’aborto ancora una volta omicidio. Dopo essersi smarcato stizzito dalle domande del primo ministro belga, Alexander De Croo, riguardo ai casi di molestie da parte di preti a minori, e avere ancora una volta ribadito la chiusura davanti all’apertura al dicastero per le persone Lgbtqia+, ha omaggiato re Baldovino, il sovrano belga noto per avere abdicato per trentasei ore, nel 1992, pur di non firmare la legge sulla legalizzazione dell’aborto.
Se rimanessero questioni interne alla fede cattolica, discussioni etiche all’interno delle mura vaticane, sarebbe solo l’ultimo dei problemi per le donne, ma purtroppo non è così. In Italia, secondo l’ultimo report ministeriale, sette ginecologi su dieci si rifiutano di praticare l’aborto e, come riporta lo studio “Legge 194 Mai dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, ci sono settantadue ospedali con l’80-100% di obiettori di coscienza tra il personale sanitario. Negli ultimi anni, gli interventi del governo per inserire presidi dei gruppi pro-life, nei consultori e negli ospedali, hanno ulteriormente peggiorato la situazione. Varie sono state le iniziative. Tra queste, c’è stata la campagna ironica “The Impossible Pill”, nel 2023, che ha seguito il viaggio di Laura Formenti dalla Sicilia fino alla cima del Monte Bianco, per denunciare la difficoltà di accesso all’aborto farmacologico. Le condizioni variano significativamente a livello territoriale. Nel 2022, circa il 20% delle persone che ha interrotto la gravidanza ha dovuto spostarsi fuori dalla propria zona di residenza, senza alcun appoggio da parte delle istituzioni. Il quadro è particolarmente critico nel Sud Italia, dove solo il 72% ha potuto accedere all’aborto nel proprio territorio, con il 19% che ha dovuto spostarsi all’interno della propria Regione e l’8% in un’altra. Nel Nord-Est, la situazione è migliore, con l’88,6% che ha abortito nella propria zona di residenza.
Tuttavia, queste cifre non raccontano tutto: molte persone affrontano difficoltà non tracciabili dalle statistiche ufficiali, come la necessità di spostarsi per ottenere certificazioni o consultare più strutture, senza alcun sostegno. A queste difficoltà, si aggiunge lo stigma sociale che ancora circonda l’aborto in molte aree del Paese, rendendo difficile per tante donne chiedere aiuto o accedere a informazioni. Non è un caso che organizzazioni come Abortion Support Network, nel Regno Unito, abbiano dichiarato di avere ricevuto un grandissimo numero di richieste di supporto dall’Italia, dimostrando così quanto sia ancora problematico l’accesso a un aborto sicuro.
Nel 2023, Women Help Women ha inviato pillole abortive autogestite a circa duecento persone in Italia, mentre Women on Web ha ricevuto oltre settecento richieste di aiuto. L’European Abortion Policies Atlas classifica l’Italia tra i Paesi che impongono requisiti medicalmente non necessari prima di consentire l’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza, e che permettono agli operatori sanitari di rifiutare l’assistenza sulla base delle proprie convinzioni personali.
Per questo, sono ancora fondamentali le mobilitazioni delle femministe, e anche quest’anno migliaia di persone sono scese in piazza. Non una di meno ha organizzato presidi e manifestazioni in tutto il Paese, per rivendicare il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza, senza discriminazioni o stigma. Una delle principali critiche riguarda la legge 194, che seppure garantendo questo diritto, permette ancora troppi spazi per l’obiezione di coscienza e la propaganda antiabortista.
A livello mondiale, secondo i dati di Medici del mondo, ogni anno si verificano 121 milioni di gravidanze indesiderate, di cui il 60% si conclude con un aborto, che nel 45% dei casi non è garantito in condizioni sicure. In Europa, la situazione è altrettanto frammentata, tra Paesi come la Francia, in cui il diritto è stato inserito nella Costituzione, e altri, come la Polonia o Malta, che invece vietano ancora l’aborto in quasi tutte le circostanze. È nata perciò la campagna europea “My voice my choice”, che mira a istituire un meccanismo di finanziamento europeo per garantire l’accesso all’aborto in tutta l’Unione.
O che sia per la pretesa di sapere che un grumo di cellule abbia un’anima, o che sia per la difesa della procreazione del bianco europeo, l’aborto rimane argomento prediletto delle polemiche della destra oscurantista e dei difensori dei dogmi religiosi, e le donne rimangono imbrigliate in regole sociali e legali senza la libertà di decidere su cosa accade all’interno del proprio corpo.
In questa giornata di lotta, il messaggio è chiaro: il diritto all’aborto non è negoziabile, e la battaglia per renderlo sicuro e accessibile ovunque continua, in Italia e nel mondo.