C’è una quota di terribile irresponsabilità nell’escalation israeliana in Libano. È un giudizio che si può dare del tutto spassionatamente, senza cioè essere dei simpatizzanti delle milizie sciite radicali libanesi (che ne hanno combinate, tanto per dirne una, di cotte e di crude in Siria, con il loro intervento al servizio del macellaio Assad), ma tenendo conto soltanto della situazione incandescente in cui versa l’intera regione. Oggi qualsiasi ebreo, che non sia un fanatico religioso, dovrebbe fuggire a gambe levate da Israele: come si può vivere in un Paese che si è collocato, e si sta collocando vieppiù, in una guerra perpetua? Che gusto c’è a dire “ma siamo superiori militarmente!”, se bisogna tendere quotidianamente l’orecchio alle sirene di allarme, per non parlare degli attacchi terroristici ognora incombenti? Che Israele sia la massima potenza della zona, è cosa arcinota. E lo sanno benissimo i capi del regime teocratico iraniano, che hanno mostrato una paura matta a scendere su un terreno di guerra aperta. Ma ciò non vuol dire niente. Perché la catena è senza fine: anche il predecessore di Nasrallah, fatto fuori oggi, era stato eliminato, e un altro ancora (suo cugino, a quanto pare) sta per succedergli alla guida di Hezbollah.
La questione mediorientale si trascina dal secolo scorso. La ragione di fondo per cui Israele ha avuto (quasi) sempre partita vinta sta nelle divisioni del campo avversario, percorso da una serie di contraddizioni, che vanno dalla guerra civile, talora strisciante e altre volte aperta, su base religiosa (tra sunniti e sciiti) agli interessi filoccidentali (quelli riguardanti gli idrocarburi) delle monarchie e dei regimi militari che si addensano in quella zona del mondo.
È completamente priva di lungimiranza la visione bellicista israeliana. Può servire solo a favorire, dall’altro lato, la scelta di tipo jihadista. Hezbollah sta pagando l’alleanza con Hamas, d’accordo: ma per quanto tempo ancora le élite politiche mediorientali filoccidentali potranno restarsene tranquille nei propri privilegi, chiudendo gli occhi dinanzi alle devastazioni a Gaza e in Libano? O dinanzi a quanto accade ogni giorno in Cisgiordania?
L’Occidente dovrebbe tagliare i ponti con Israele, se non altro con il suo estremismo attuale. Non lo farà. Ma ciò che conforta la maggiore potenza della regione è soprattutto la debolezza del campo avversario. Fino a quando?