Ci sconvolgono le ultime notizie di cronaca che riguardano i giovani adolescenti, i veri deboli, spesso vittime degli egoismi degli adulti, presi dalla nostra corsa folle verso il nulla, incapaci di vedere e di proteggere ciò che conta e chi conta. Articoli che parlano di scuola e di olimpiadi, due mondi che si incontrano nella frazione di un secondo: ricordate le discussioni sullo ius scholae in seguito alla vittoria della medaglia d’oro della nazionale di volley italiana? Editoriali, trasmissioni, dibattitti, ipotesi, durati il tempo di una polemica estiva. Poi più niente. Oppure i mirabolanti discorsi del ministro dell’Istruzione sull’ingresso a pieno regime del docente tutor e del docente orientatore. Chi sono? A settembre un grande piano per l’orientamento. Perché?
Ci sono poi il divieto all’uso dei cellulari, il ritorno al diario cartaceo (fa strano nella scuola ipertecnologizzata) e le norme contro i diplomifici. La riforma della condotta è stata approvata in Senato e in commissione alla Camera, ed è stata incardinata per il voto finale in aula previsto in settembre. Si è parlato delle nuove indicazioni per l’educazione civica, molto meno del docente esperto, figura vaga, eterea, un eroe, anzi un supereroe, un highlander se si pensa a quanti anni di formazione sarà costretto a sorbirsi.
C’è qualcosa di tragico nella diffusione delle notizie, nella bulimia con cui consumiamo quel che arriva e passa, nell’assenza di memoria, di studio, di approfondimento, che impedisce di ponderare, pensare, analizzare, e soprattutto fare domande.
Ma adesso spostiamo l’attenzione su un episodio che può rappresentare il segnale di un cambiamento in atto. “Ci ho provato fino alla fine, mi dispiace. Però sono lacrime di gioia. Sono troppo contenta, è stato il giorno più bello della mia vita”, ha detto la 19enne Benedetta Pilato. Le lacrime di gioia rappresentano un momento di grande intensità emotiva e meritano sicuramente una riflessione più approfondita. Si può essere felici per una mancata vittoria? E, come dire, si può gioire se prendo cinque a una verifica di filosofia? Questa ragazza ci mostra che il successo non si misura solo in termini di risultati, ma anche nella capacità di trovare della gioia nel percorso. Ha fatto bene la nuotatrice a dire chiaramente che le aspettative di medaglia erano quelle dei commentatori, non le sue. Molto spesso le aspettative degli altri gravano sui più giovani e diventano tossiche. Ha fatto bene a respingere il carico di delusione che già volevano metterle sulle spalle per una medaglia mancata. Spesso vale molto di più il viaggio. Il processo.
Oggi prevale un modello ipercognitivista che vorrebbe emanciparsi completamente da ogni preoccupazione valoriale, per rafforzare le competenze a risolvere i problemi piuttosto che educare a saperseli porre. Il principio di prestazione rende l’apprendimento una gara, una “corsa a ostacoli” che non dedica tempo sufficiente alla riflessione critica, alla necessità di imparare a imparare. È quello che l’ideologia delle competenze sembra escludere, facendo prevalere una concezione meramente scientista e utilitaristica del sapere.
L’essenziale dell’insegnamento non sono i proclami, le sigle, le nuove figure calate dall’alto; l’essenziale consiste nel mobilitare il desiderio di sapere, nel rendere desiderabile l’oggetto teorico, si tratti di una poesia di Pascoli o della successione di Fibonacci. Sapere non significa solo accrescere le conoscenze, potenziare la propria istruzione, ma anche e soprattutto imparare ad aprirsi all’apertura del desiderio, aprire altri mondi rispetto a quelli già conosciuti. Quando il desiderio accade c’è un aumento del potere, da intendere come possibilità di agire, personale e comunitaria. E questo riguarda sia la pratica dell’insegnamento sia quella dell’apprendimento.
Dove c’è didattica autentica, non c’è opposizione tra istruzione e educazione, tra contenuti cognitivi e relazione affettiva, tra nozioni e valori. Perché la didattica autentica è sempre attraversata dal corpo e dalla pulsione. Ecco il miracolo della classe, della lezione. Spiegare una poesia di Ungaretti, le leggi della termodinamica, i concetti di intercultura, una lingua nuova, non è mai trasmettere asetticamente contenuti da un recipiente a un altro, ma riuscire a mantenere vivi gli oggetti del sapere generando quel trasporto amoroso verso la cultura, che costituisce il più potente antidoto per non smarrirsi nella vita.
Allora il linguaggio diventa fondamentale, un dono che sa allargare gli orizzonti del mondo. Come avviene? Con l’amore col quale un insegnante rende un oggetto capace di causare il desiderio. La trasmissione del sapere avviene solo per contagio, per testimonianza.
Purtroppo, però, la lezione è marginalizzata, schiacciata sotto la pressa di una valutazione sempre più ridotta a misurazione. L’impeto valutativo vorrebbe imporre scansioni dell’apprendimento uguali per tutti, depersonalizzando, rendendo tutto misurabile e quantificabile. Questa degenerazione docimologica della scuola riflette il culto feticistico del numero e della quantificazione, idolo imperante del nostro tempo. Lo stesso che ci fa dire: se arrivi terzo va bene, se arrivi quarto non va bene.
Ma qualcosa può e deve resistere. Resiste l’insegnante nel suo rapporto con il desiderio di sapere. Resistono la parola come esperienza della trasmissione, la scrittura come testimonianza capace di unire in modo singolare e irripetibile la vita al senso. Resistono le parole che entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire.
Cos’è, allora, una classe, una scuola? È un incontro con l’ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come un evento. Anche quando i suoi oggetti sono teoremi, equazioni, testi, formule chimiche, non solo quadri di Van Gogh, dialoghi di Platone, poesie di Saba o di Rilke. Accade ogni volta che la parola di chi insegna apre mondi nuovi. Ogni volta è un risveglio. Ogni volta sorge un nuovo mondo. Non bisogna disperare: la bellezza genera bellezza, coltivarla può avere alla lunga effetti sorprendenti. Come le lacrime di Benedetta.