Le pretese del nuovo governo di costruire un’egemonia alternativa a quella dominante hanno indotto molti a fare due errori: predisporsi a criticare un revival neofascista e concentrarsi sulle questioni più strettamente culturali. Adottando questi due criteri, era fin da subito ovvio che niente di serio sarebbe successo: oggi nessuna destra europea – in qualche modo legata al fascismo e al nazismo storici – è in grado di proporre una visione del mondo che sia realmente alternativa al blocco di idee e di politiche dominante; blocco che ha peraltro nel comparto culturale un ambito subordinato e secondario. Il punto è che l’egemonia al potere è già di destra, di una destra con un profilo preciso e molto forte, anche se né neofascista né neonazista. Gli sberleffi di molti politici e addetti alla cultura nei confronti della parabola dell’ex ministro Sangiuliano, assunta a simbolo della catastrofe del progetto culturale meloniano, sono quindi superficiali, e anzi sintomatici di un’incomprensione profonda dei reali rapporti di forza ideologici.
Proprio il profilo del nuovo ministro della Cultura ci aiuta ad arrivare al nocciolo della questione. La reazione prevalente rispetto alla biografia di Giuli è consistita nel puntare l’indice su una giovanile militanza in un gruppo di estrema destra (oltre alla mancanza di un titolo di laurea, accusa che rientra tra le scorie di un “competentismo burocratico” in questo caso assurdo, visto che il neoministro ha sicuramente un’idea di cultura, e non è nemmeno detto che sia perdente in partenza in una sfida con i suoi critici laureati).
Non pare che sia stato adeguatamente notato il fatto che Giuli è stato giornalista e addirittura condirettore de “Il Foglio”, cioè del giornale che meglio esprime l’ideologia (di destra) dominante. Quando Giuliano Ferrara saluta l’ex collaboratore neoministro con “Ben scavato, vecchia talpa”, quella che leggiamo è più di una battuta: è il sigillo non tanto della vittoria di un giornale militante, ma del fatto che quest’area politico-culturale ha guadagnato una centralità impensabile solo alcuni anni fa. Com’è potuto accadere?
In breve, “Il Foglio” è un giornale neo-neocon, cioè non trumpiano ma visceralmente impegnato nella difesa aggressiva dell’egemonia americana su scala globale, con una serie di corollari geopolitici (dai conflitti in Ucraina e Israele all’atteggiamento nei confronti della Cina) espressi in maniera estremamente netta. Questa posizione, che non ha eguali nel dibattito pubblico per radicalità e sistematicità, è legata ad altre posizioni, altrettanto nette: per esempio, in materia di crisi ecologica, “Il Foglio” è ancora oggi su posizioni negazioniste, con sistematici rimandi al magistero del professor Franco Prodi e alle sue tesi circa l’origine non antropica del riscaldamento globale.
In tema “diritti” (ricordato che il suo fondatore scese in campo nel 2008 con la lista “Aborto? No grazie”) il giornale è solidamente orientato su posizioni “anti-liberal” in materia di aborto e fine vita. Si potrebbe continuare – ma ai fini del nostro discorso tutto questo è già sufficiente per sostenere che, al di là dei singoli posizionamenti e al netto di diversioni e “aperture” più o meno strategiche, questo giornale fa riferimento a un sistema politico, ideologico e culturale strutturato, che nelle sue prospettive economiche e geopolitiche è semplicemente espressione della logica che ha regolato la politica assunta da Stati Uniti ed Europa negli ultimi anni – prima, con il “nuovo secolo americano”, adesso, con economia e politica di guerra assunte come necessità, se non come principio. Peraltro, le posizioni della direzione e di vari collaboratori del giornale in tema di aborto e fine vita, pur non maggioritarie, sono molto vicine a quelle della ministra Roccella. La nomina del ministro Giuli giunge quindi dopo una lunga marcia attraverso le istituzioni, per stare al frasario della sinistra.
Abbiamo sostenuto che questa destra è in presa diretta con gli assunti politici ed economici centrali dell’Occidente attuale, e che questi assunti sono legati a una serie di posizioni, magari non dominanti ma influenti in ambito etico. Cosa manca a questa posizione per vantare un’egemonia? Ad avviso di chi scrive, intendendo per “egemonia” quanto inteso da Gramsci, non manca proprio niente: se esistono espressioni del mondo culturale disallineate rispetto ai poteri economici e politici oggi dominanti, si tratta di espressioni nella migliore delle ipotesi eroicamente deboli, nella peggiore decorative o conniventi. Può esistere un’egemonia senza prodotti dell’alta cultura conseguenti? Certo che sì, il Nord del nostro Paese lo dimostra da decenni; ma in realtà è ora del tutto possibile colmare il gap che separa l’egemonia (che è solidamente di destra) dall’egemonia nei beni culturali (che è liberal o radical): basta smettere di cercare il nuovo Sironi o il nuovo Blasetti (facendo smettere di divertirsi gli ometti laureati) e prendere come modello le pagine culturali de “Il Foglio”. Sono ben fatte, originali, con collaboratori brillanti – e spesso perfino non di destra.