Alla fine dello scorso mese di luglio, la proposta di Matteo Renzi di associare la sua formazione al “campo largo” ha suscitato notevole interesse, sia da parte dei più importanti media italiani, sempre alla spasmodica ricerca di un Tony Blair, o per stare a modelli più recenti, di un Macron italiano (anche se il politico di Rignano sull’Arno è piuttosto un “Micron”, come spesso lo chiama “terzogiornale”), sia da parte di Elly Schlein, e, più in generale, dell’intero Pd. I motivi di questo atteggiamento favorevole (che è probabilmente quello di molti elettori del Pd, non solo dei suoi vertici) sono comprensibili: Renzi sostiene che solo un’alleanza che vada da Italia viva ai 5 Stelle è in grado di battere la destra.
A prima vista, dunque, non sembrerebbe irragionevole accettare la sua proposta, anche alla luce di quanto è accaduto in Francia in occasione delle ultime elezioni all’Assemblea nazionale: la coalizione molto larga (il Nuovo fronte popolare) che andava dal Partito socialista fino alla France insoumise di Mélenchon è riuscita a ottenere la maggioranza relativa e a scongiurare il pericolo di una vittoria del Rassemblement national di Marine Le Pen e del suo delfino Jordan Bardella.
Tuttavia, come pare abbia detto Calenda (dal “Corriere della Sera” del 12 agosto), “se gli fosse utile un’alleanza con Casa Pound, Renzi si alleerebbe anche con Casa Pound, perché non ha un progetto di governo”. Certo, questa acida dichiarazione è dettata dal risentimento di Calenda nei confronti dell’ex (pseudo)alleato. Tuttavia, dato che un’affermazione è vera o è falsa non in base a chi la fa, ma al suo rapporto con la realtà, possiamo domandarci quali siano le vere intenzioni di Renzi, per rispondere al quesito che ci interessa: è conveniente per il Pd e le altre formazioni del “campo largo” accettare l’offerta di Renzi? Oppure questa non è piuttosto una profferta, in quanto il suo autentico e unico scopo non è altro che quello di risollevare le ormai traballanti sorti del suo proponente?
Tornando un attimo a quanto è avvenuto in Francia, si deve osservare che il Rassemblement national aveva contro non un unico schieramento ma due (le sinistre e il centro di Macron), e che non ha raccolto i voti dell’intera destra, una parte dei quali è andata ai neogollisti (Les Républicains). Questo fatto, insieme al sistema elettorale francese a doppio turno, ha causato la sconfitta dei candidati lepenisti in numerosi collegi. In Italia, invece, la contrapposizione sarebbe sostanzialmente bipolare: anche un eventuale “centro” rappresentato da Calenda e pochi altri, riceverebbe pochi voti. Il nostro quesito si precisa dunque meglio così: l’adesione di Renzi al “campo largo” può portare a quest’ultimo i voti necessari per battere la destra, oppure no? E, se si realizzasse la prima ipotesi (la vittoria del “campo larghissimo”, cioè compreso Renzi) quale sarebbe il prezzo che il nostro “Micron” chiederebbe in cambio?
Se il “campo largo”, nonostante l’alleanza con Renzi, non riuscisse comunque a battere le destre, sarebbe evidente che l’alleanza non conviene. Potrebbe darsi, da un lato, che i voti portati da Renzi siano pochissimi: alcuni esponenti di Italia viva (come Luigi Marattin) hanno arricciato il naso all’idea di dover confluire in un’alleanza che comprenda anche i 5 Stelle, ed è possibile che queste perplessità siano condivise anche da vari elettori della formazione renziana, che potrebbero orientarsi verso altri schieramenti. D’altro lato, è possibile che una parte degli elettori più convintamente di sinistra non votino uno schieramento che comprenda i resti di Italia viva e si rifugino nell’astensione.
Immaginiamoci ora lo scenario alternativo, cioè una vittoria del “campo largo”. In questo caso, i voti portati da Renzi potrebbero risultare decisivi oppure no. Se non lo fossero, l’alleanza si rivelerebbe inutile, perché superflua. Se invece lo fossero, il Nostro non mancherebbe certamente di intestarsi il merito della vittoria, e quindi di porre le sue condizioni per la formazione della maggioranza di governo: l’intera sua carriera politica dimostra che, quando gli è possibile, utilizza i suoi eletti come ricatto per tenere in vita o far cadere governi; quindi cercherà di esercitare questo potere di ricatto per realizzare i suoi progetti. Ma questi progetti sono compatibili con una sinistra che voglia comportarsi come tale? I precedenti dimostrano il contrario. Gli esempi sono tanti, e tanto noti, che basta ricordarne alcuni, dal Jobs Act fino alla mancata adesione alla proposta (sottoscritta anche da Calenda) per l’istituzione di un salario minimo.
In questi ultimi tempi, poi, Renzi e Boschi non mancano di esibirsi davanti ai banchetti per la raccolta di firme per il referendum contro la “legge Calderoli” sull’autonomia differenziata; ma non dimentichiamo che, presumibilmente prima delle prossime politiche, dovrebbe tenersi il referendum confermativo del “premierato”. Ora, Renzi è sempre stato favorevole a una riforma del genere, tanto da presentare, nell’agosto dello scorso anno, una proposta di modifica costituzionale intitolata proprio “Disposizioni per l’introduzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio dei ministri in Costituzione”. I parlamentari di Italia viva hanno motivato il loro voto contrario alla proposta di iniziativa governativa non perché vi si opponevano in linea di principio, ma perché la giudicavano formulata in modo insoddisfacente, in quanto lasciava varie questioni irrisolte, a cominciare dalla legge che dovrebbe regolare l’elezione del premier.
Visto che la sinistra, ed Elly Schlein in primo luogo, giudicano (giustamente) il premierato come una riforma da respingere radicalmente e dichiarano che si impegneranno in questo senso, cosa potrebbe accadere in occasione del referendum, che si svolgerà, con ogni probabilità, prima delle prossime elezioni politiche? Forse una componente dell’ipotetico “campo larghissimo”, cioè quella formata da Renzi & C., si schiererebbe dalla parte di Meloni? Oppure Renzi, con una mossa perfettamente conforme al suo stile, darebbe indicazione di voto contrario alla riforma, rimangiandosi così platealmente una sua precedente proposta? In ogni caso, non sembra che il “campo larghissimo” ne uscirebbe molto bene.
In conclusione, l’offerta (o meglio, la profferta) di Renzi va respinta al mittente, perché o è inutile o è pericolosa: è inutile sia nel caso che la sinistra perdesse contro Meloni e soci, sia se vincesse, ma il contributo dei renziani non fosse determinante; è pericolosa, per i motivi accennati sopra, nel caso di un apporto determinante dei renziani alla vittoria del “campo largo”. Questa conclusione vale ovviamente per l’ipotesi di un’alleanza a livello nazionale, cioè alle prossime elezioni politiche; è invece possibile che, in determinate situazioni locali, l’alleanza tra Italia viva e le forze della sinistra possa essere opportuna; le prossime regionali in Umbria, in cui sembra che tale alleanza effettivamente si realizzi, può essere un buon test (anche per verificare il comportamento dei renziani nei confronti degli altri componenti dello schieramento, in caso di vittoria).
A tutto questo ragionamento si potrebbe obiettare che la soluzione più ragionevole è comunque quella di accettare la proposta del leader di Italia viva, sperando che i suoi voti alla fine non risultino determinanti: comunque sia, è meglio cercare di assicurare al “campo largo” il maggior numero possibile di adesioni. Ci sembra però che questa obiezione soffra, per così dire, di miopia: non tiene conto del fatto che alle ultime politiche si è registrato oltre il 36% di astenuti, un bacino di elettori molto più ampio di quello che potrebbe portare in dotazione “Micron”. È proprio a questi milioni di elettori, molti dei quali probabilmente non votano più perché non credono nella possibilità di cambiamento dell’attuale sistema sociale, che una sinistra fedele ai suoi valori dovrebbe prestare attenzione, non alle proposte di un politico che, com’è chiaro da tempo, non ha alcun ideale, né (autenticamente) riformista né conservatore, ma mira semplicemente a salvaguardare i propri interessi.